ABusan, quando fa buio, le pensiline d’acciaio del Cinema center si trasformano in una specie di secondo cielo. Quando i led di cui sono costellate si accendono, intorno agli edifici di questa enorme sala cinematografica all’aperto si scatena una danza di luci colorate. Alzando lo sguardo da sotto le pensiline si ha l’impressione che al posto del buio della notte ci siano giochi di forme e colori. È uno spettacolo.
Park Hae-myoung, però, non è qui per questo. Sono vent’anni che vive a Haeundae, il quartiere in cui si trova la straordinaria sede del Festival internazionale del cinema di Busan. Era già qui nel settembre 2011, quando fu inaugurata la struttura, progettata dallo studio d’architettura austriaco Coop Himmelb(l)au. Ormai non fa più caso ai tetti scintillanti. Quello che gli piace è la superficie libera che c’è sotto. Perché Park, 39 anni, è uno skater.
Sul liscio pavimento in pietra il suo skateboard fila che è un piacere. “Sto sempre qui”, racconta. Illuminato da luci artificiali, questo posto è uno dei motivi per cui Park Hae-myoung smentisce chi è convinto che la felicità non si può trovare a Busan ma solo nell’immensa capitale Seoul, 320 chilometri più a nord.
Visitare Busan significa toccare con mano una grande sfida in corso in Corea del Sud. Da un lato Busan, la seconda città più grande del paese, si è candidata a ospitare l’esposizione universale (Expo) del 2030. Dall’altro, i politici stanno cercando di contrastare una tendenza che sta causando uno squilibrio sociale sempre maggiore, con una capitale in cui la competizione toglie il fiato e le possibilità di carriera si riducono, mentre le altre zone si svuotano e invecchiano. Chi vuole combinare qualcosa deve andare a Seoul: lì ci sono le università migliori e più opportunità di lavoro. Così la pensa la maggior parte delle persone in tutta la Corea del Sud, Busan compresa.
Per gli stranieri non è facile capire perché: in fondo Busan è una città che vive di commercio, ha 3,3 milioni di abitanti e i prezzi degli immobili sono più bassi di quelli di Seoul. Ha mercati colorati ed è ricca di storia. Ci sono le spiagge. E una grande offerta culturale. Secondo l’ultimo indice sull’equilibrio tra lavoro e vita privata pubblicato dal ministero del lavoro, con 64,1 punti Busan supera Seoul, ferma a 62. Il porto per container di Busan è il sesto al mondo. Il suo festival del cinema, che si tiene ogni anno a ottobre, è il più grande dell’Asia.
Tuttavia, ormai nell’area metropolitana di Seoul, di cui fanno parte anche le vicine città in espansione della provincia di Gyeonggi, vive più della metà dei 51 milioni di abitanti della Corea del Sud mentre altrove, anche a Busan, secondo i dati ufficiali dell’istituto di statistica Korea data agency la popolazione si riduce. Seoul è piena di persone arrivate da Busan che sembrano avere piena fiducia nelle potenzialità della capitale. Una di loro spiega: “Mia nonna diceva sempre che i cavalli devono andare sull’isola di Jeju, perché lì ci sono le condizioni ideali per loro. Un essere umano deve andare a Seoul, perché lì ci sono le condizioni ideali per le persone”.
Né caldo né freddo
Chi resta, però, la pensa diversamente. Per esempio lo skater Park Hae-myoung, che lavora nel settore della distribuzione farmaceutica. Seduto ai piedi della grande scultura d’acciaio davanti al Cinema center spiega, nel suo inglese smozzicato e aiutandosi con i gesti, perché non ha mai voluto lasciare Busan. Gli piace avere vicino il mare e la montagna, e il clima mite della costa. “Very, very hot? No. Very, very cold? No” (molto molto caldo? No. Molto molto freddo? No). Anche la sua ragazza, Ahn Eun-jeong, che lo ha accompagnato per la prima volta ad andare in skate, è d’accordo. Al momento dei saluti Park Hae-myoung ci dà un consiglio, dettandolo in coreano allo smartphone e mostrandoci la traduzione sullo schermo: “Se volete vedere la città di notte andate al belvedere di Hwangnyeongsan”.
Hwangnyeongsan, con i suoi 427 metri di altitudine, è una delle tante montagne ricoperte di boschi di Busan. Sotto la dinastia Joseon (1392-1897), dalla sua cima le sentinelle mandavano segnali luminosi in caso di pericolo. Oggi gli abitanti ci fanno escursioni notturne per ammirare la distesa luminosa di Busan . La vista, però, è impressionante anche di giorno. La montagna svetta nel centro della città, circondata dai fitti grattacieli grigio chiaro. A sudovest si vede il porto con le gru, a sudest le eleganti torri intorno alla spiaggia di Haeundae. Anche da qui Busan sembra una città che non dorme mai mentre si prepara al futuro con architetture più o meno audaci.
Circolo vizioso
Busan ha un ruolo chiave nel tentativo di distribuire la popolazione sudcoreana in maniera più uniforme in tutto il paese: è un’alternativa all’ossessione nazionale per Seoul. In passato i governi hanno trasferito fuori dalla capitale diverse sedi istituzionali, sperando di attrarre persone, ma poi si è capito che non bastava. Più Seoul si afferma come città cosmopolita ed economicamente forte, più i sudcoreani vogliono viverci. “È un circolo vizioso”, spiega Na Yun-bin, portavoce della giunta comunale di Busan. “Dobbiamo interromperlo. L’Expo è al centro dei nostri sforzi”. Secondo il sindaco Park Heong-joon, aggiudicarsi l’esposizione universale significherebbe presentare Busan al mondo come dinamica città del futuro e dimostrare alla Corea del Sud che Seoul non è l’unica opzione.
Nel suo ufficio Na Yun-bin sfodera una cartina di Busan indicando le varie aree della città. “A nord c’è il centro storico”, in cui sorge la fortezza di Geumjeongsanseong, costruita da re Sukjeong nel 1703. “La zona est è la più sviluppata”. È dove si trova Haeundae, con la moderna area industriale di Centum city, il Cinema center e la spiaggia più bella della città. “A ovest stiamo costruendo le ‘città intelligenti’”: sono l’esperimento Eco delta city, in cui si prova a vivere in maniera sostenibile in 54 alloggi ad alta tecnologia con una rete energetica computerizzata, droni per la consegna della spesa e robot che si occupano della sicurezza.
Sempre a ovest sorgerà il nuovo aeroporto, sull’isola Gadeok. “Il tema principale dell’Expo è come cambiare il nostro mondo per un futuro migliore”, dice Na Yun-bin. Naturalmente pensa che Busan sia il luogo ideale per farlo.
Per capire Busan non basta fare qualche giretto. La città si estende su un’area di 783,4 chilometri quadrati, più dei 605,2 di Seoul, metropoli da dieci milioni di abitanti. Questo vasto territorio intorno alla foce del fiume Nakdong è anche ricco di contraddizioni. Sull’isola di Eulsukdo si osservano gli uccelli migratori, nel porto navi e pescherecci. In metropolitana si nota il gran numero di anziani.
Al mercato del pesce di Jagalchi si possono guardare i tesori del mare. Nei vicoli del mercato di Gukje le anziane accovacciate vicino ai banchi bassi servono la specialità locale bibim dangmyeon, spaghetti di riso con pesce e altri ingredienti. Però ci sono anche le nuove torri residenziali e i freddi paesaggi delle zone commerciali. L’imponente ponte di Gwangan, che porta alla spiaggia di Gwangalli. Lo scenario marino di Haeundae: la sabbia chiara, il surf, l’orizzonte e gli alberghi a cinque stelle. Qui, d’inverno, si svolge il tradizionale festival degli orsi polari con migliaia di nuotatori che sfidano il freddo.
Busan combina il fascino della natura con lo spirito del progresso e la monotonia urbana. È impossibile non innamorarsene. A novembre si decide dove si svolgerà l’Expo 2030. Le altre città candidate sono Riyadh, Roma e Odessa. In municipio non si pensa proprio alla sconfitta. “Non abbiamo dubbi”, dice Na Yun-bin. Ma è altrettanto ovvio che, in caso contrario, il suo amore per la città non sarebbe intaccato. Na Yun-bin lavorava a Seoul ma dopo due anni è tornata qui. “La metro per me era l’inferno”. Troppo affollata.
Con o senza l’Expo, anche lo skater Park Hae-myoung rimarrà fedele a Busan. Ha mai pensato di andare a Seoul? “No”. È un no che fa capire quanto gli sembri assurda l’idea di andarsene. ◆sk
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Questo articolo è uscito sul numero 1513 di Internazionale, a pagina 70. Compra questo numero | Abbonati