Il 15 aprile 2019 un incendio è divampato nella cattedrale di Notre-Dame, a Parigi, divorandone il tetto originale in legno di quercia. Le travi avevano resistito per ottocento anni prima di essere mangiate dal fuoco. Due giorni dopo l’incendio il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che la cattedrale sarebbe stata ricostruita entro cinque anni, affermando che Notre-Dame avrebbe riaperto nel 2024, in tempo per le Olimpiadi di Parigi. Da quel momento si è cercato di capire come ricostruire e chi poteva farlo.
Molti dubitavano che esistesse ancora qualcuno con le abilità necessarie a ricostruire l’antico tetto di legno. E se non fosse stato per il gruppo Charpentiers sans frontières (Carpentieri senza frontiere) e il loro fondatore, François Calame, probabilmente avrebbero avuto ragione. Negli anni Calame aveva conosciuto alcuni falegnami e carpentieri altamente qualificati che lavoravano usando tecniche tradizionali. Nel 1992 ha fondato l’associazione per mantenere vive queste abilità, in particolare le antiche tecniche della lavorazione del legno.
Rémi Fromont, capo architetto dei monumenti storici francesi, che nel 2014 aveva fatto degli studi su Notre-Dame, è stato cruciale quando si è trattato di convincere le autorità che la cattedrale doveva e poteva essere ricostruita seguendo i progetti originali. Ha convinto il comitato Rebâtir Notre-Dame de Paris, responsabile della ricostruzione, a chiamare due ditte di falegnameria tradizionale: la Perrault, per la ricostruzione della sezione del coro; e la Desmonts, con sede in Normandia e associata a Charpentiers sans frontières, per le grandi capriate del tetto della navata. Quindi è cominciata la ricerca di esperti artigiani. Uno dei 25 falegnami ingaggiati è Mike Dennis, ex militare dei royal marines britannici. Dennis ha partecipato alle guerre in Iraq e in Afghanistan, poi ha insegnato inglese in Cina e fitness sulle navi da crociera. Un giorno, quasi per gioco, ha deciso di seguire un corso di falegnameria tradizionale in Galles e ne è rimasto affascinato. “Cercavo un lavoro che mi permettesse di viaggiare”, ha detto. “Il pilota? Mi sarebbe costato cinquantamila sterline ancora prima di cominciare. Il medico? Be’, non mi piacciono molto le persone, tanto meno operarle. Ma la falegnameria? Quanto poteva essere dura?”. È finito in Canada a restaurare le impalcature di legno di un ponte a cavalletto sull’isola di Vancouver, legato a corde lunghe quaranta metri, con una motosega in mano.
Finora Notre-Dame è il suo progetto più importante. “All’inizio ero un po’ riluttante a farmi coinvolgere”, dice. “Ma era l’opportunità di mostrare al mondo che le tecniche per ricostruirla esistono ancora. Stiamo perdendo l’architettura tradizionale, soprattutto nella Francia rurale. Possiamo mostrare che tutte queste tecniche, che sono l’eccellenza del mestiere, erano usate in tutte le case. E che chiunque può farlo: servono solo tempo e fatica”.
L’albero giusto
Il team della Desmonts è stato incaricato di costruire undici capriate principali – larghe più di 14 metri e alte dieci – e 45 secondarie delle stesse dimensioni per la navata di Notre-Dame. Responsabile del laboratorio è Loïc Desmonts, che ha 25 anni. “Volevo fare l’agricoltore o, come molti bambini, pilotare un aereo da guerra”, racconta. “Poi ho conosciuto i Charpentiers sans frontières quando un gruppo di loro è venuto in Normandia una decina di anni fa. Ricordo ancora l’odore della quercia fresca, i colpi dell’ascia, le strutture in legno, le persone che parlavano lingue diverse e ridevano forte. Ho detto a mio padre che volevo fare quello, lavorare con le mie mani e la mia testa”.
Nel laboratorio dei falegnami le enormi capriate del tetto completate attendono il difficile viaggio su strada fino al centro di Parigi
Per Desmonts non si trattava semplicemente di avviare un progetto imprenditoriale. Voleva capire com’era stato possibile, ottocento anni prima, costruire un edificio così impressionante. “Non parliamo solo di storia dell’architettura: a Notre-Dame c’è la storia dell’essere umano”, afferma. “La cattedrale è stata costruita quando in Francia l’uso della giunzione ‘a mortasa e tenone’ (cioè a incastro tra due parti di legno) era appena agli inizi: quindi è interessante vedere com’è cambiato il modo di realizzare le capriate”.
Per le travi sono serviti più di 1.300 alberi: i boscaioli hanno lavorato seguendo un ordine preciso a seconda delle capriate, in modo da individuare le piante con i giusti diametri e le giuste lunghezze per il progetto. Gli alberi dovevano avere poco alburno, la parte più periferica e più fragile del tronco, ed essere senza nodi. Non c’è modo di sapere quale albero ha un eccesso di alburno finché non viene tagliato. Come dice la falegname Solène Savaëte, che ha accompagnato i boscaioli nella loro ricerca, “se fai un foro nell’albero, poi lo compri”. Sono stati perlustrati circa ottanta boschi nella regione di Rouen in cerca di querce della giusta qualità. “Molti pensavano che li avremmo distrutti, ma noi non volevamo comportarci come dei predatori. È stato più simile alla raccolta dei funghi”.
Dall’esterno, il laboratorio Desmonts somiglia a un capannone industriale. Tuttavia entrando ci si trova davanti a un muro coperto di asce che sembra un arsenale medievale. Sulla parete opposta ci sono file di motoseghe. In mezzo, carrelli con scalpelli e martelli. Il legno di quercia viene trasformato in travi lavorandolo a mano, tagliandolo con le asce come avrebbero fatto gli artigiani nel medioevo. I lavori di restauro della cattedrale sono uno dei più grandi progetti di realizzazione artigianale di capriate da più di un secolo. “Molti di noi non avevano mai avuto l’opportunità di intagliare per uno, due o tre mesi di fila; è una cosa rara”, dice Dennis impugnando l’ascia per tagliare i bordi dello chapeau di una console, una trave lunga due metri che si trova sotto la parte principale della capriata e che serve a distribuire meglio il peso.
Le estremità degli chapeaux originali erano state intagliate singolarmente. Nessuno sa perché. Forse per lasciare ogni falegname libero di esprimersi. “Mancano molte informazioni”, dice Dennis mentre usa una matita e un compasso per capire le proporzioni di un intaglio. “Fortunatamente, abbiamo qualche fotografia delle travi del tetto originale”. Dennis prende in mano un’accetta per cominciare a modellare la replica di una scultura del tredicesimo secolo. I trucioli cadono a terra mentre l’ascia intaglia la quercia, che viene poi piallata a mano.
“S’impara a capire quale ascia si adatti meglio a ogni artigiano”, dice mentre intaglia il legno. “Si considera il peso, la sua distribuzione, la curvatura della lama, la sua smussatura. Con alcuni, l’ascia farà bene il suo lavoro, con altri no”. Una buona ascia può arrivare a costare mille euro.
Per ragioni sconosciute, le prime sette capriate principali del tetto della navata originale di Notre-Dame sono state tutte costruite con disegni leggermente diversi. Si pensa che i falegnami medievali abbiano, in una certa misura, imparato lavorando. Ora, mentre interpretano i progetti precedenti, i colleghi contemporanei dei carpentieri gotici devono trarre le loro conclusioni sul perché ogni capriata sia diversa dall’altra. La squadra mi ha mostrato la capriata numero due, una struttura particolarmente complicata. “Penso che questa sia stata costruita per prima”, dice Mathieu Larigot esponendo la sua ipotesi. “Credo che quando cominciarono a costruire Notre-Dame partirono da qui, poi si resero conto di aver bisogno di travi extra e così le misero intorno alla struttura”. La spiegazione di Desmonts è più pratica: “La capriata numero due è la più rognosa da realizzare. I falegnami medievali hanno continuato a cambiare la lavorazione fino alla numero sette, poi si sono detti: ‘Questo è il modo più semplice’. E hanno continuato così”.
Questo dibattito è solo una piccola parte di una più ampia discussione su come fu originariamente costruita Notre-Dame. Gli errori di falegnameria del tredicesimo secolo sono come cicatrici che danno informazioni vitali alla squadra di oggi. L’intero progetto è una forma di archeologia sperimentale.
Falegnami nomadi
Il laboratorio in Normandia ha attirato falegnami dagli Stati Uniti, dalla Francia, dal Regno Unito, dall’Estonia e dalla Germania. “È uno stile di vita”, dice Dennis. “Probabilmente risale alla lunga tradizione del falegname ambulante, quando si partiva per un viaggio dopo l’apprendistato. In alcuni paesi si fa ancora. In noi c’è la stessa passione di girovagare, di fare cose nuove e interessanti. Perché è un mestiere artigianale e non si smette mai d’imparare; è una continua condivisione delle conoscenze”.
Andre Uus, docente di costruzioni in legno all’università di scienze della vita dell’Estonia, è venuto in Francia per quella che doveva essere una vacanza di lavoro di tre settimane. Insieme a lui, Dennis e Desmonts siamo stati per due notti a Le Petit Moulin, un mulino in disuso che funge da casa per molti carpentieri della squadra. Arrivo mentre Carlos Barbero, che ha lavorato al progetto per due mesi, sta preparando la sua festa di addio: pizza e vino. Chiede a Dennis quando si rivedranno: “Novembre? Nella Guyana Francese?”. “Forse”, è la risposta un po’ evasiva. I falegnami hanno uno stile di vita seminomade, si spostano da un progetto all’altro: s’incontrano, condividono esperienze e progettano il lavoro successivo.
Le serate sono brevi, la maggior parte degli artigiani va a dormire subito dopo le 21 e si sveglia molto prima dell’alba. Salgo una stretta scala di legno per arrivare al mio giaciglio (un semplice materasso e una lampada) in soffitta, dove ci sono anche i vecchi macchinari del mulino.
Nel laboratorio le enormi capriate del tetto completate attendono il difficile viaggio su strada fino al centro di Parigi. Nel frattempo i falegnami lavorano sui pezzi successivi del puzzle. Di tanto in tanto un artigiano viene a contemplare le strutture finite o a mangiare il suo panino sotto di esse. Qualcuno ha appeso un’amaca in alto, tra le travi, per un pisolino pomeridiano. Nel caldo del pomeriggio l’intero laboratorio scricchiola mentre il legno si riscalda. Sembra il rumore di un animale randagio che è salito sul tetto e non riesce a scendere.
Si torna a casa
Il tempo stringe e la sfida per finire la cattedrale per le Olimpiadi è dura. Dopo più di un anno d’intenso lavoro la maggior parte delle capriate è stata completata. Dennis torna a casa. Riguardo ai prossimi mesi, ci sta ancora pensando. Potrebbe partecipare come volontario a un progetto nel Suffolk, dove stanno costruendo una replica della nave funeraria di Sutton Hoo, o fare domanda per un dottorato basato sulla sua esperienza con il progetto di Notre-Dame. Uus è tornato in Estonia a insegnare all’università della sua cittadina di 15mila abitanti.
Prima, però, entrambi i falegnami si dirigono a Parigi, principalmente perché è uno scalo nel viaggio verso casa, ma anche perché è un’opportunità per vedere i risultati del loro lavoro.
È una notte calda nella capitale francese. Più tardi, in piedi tra le gru, i ponteggi e gli uffici temporanei, i due carpentieri si sforzano di individuare uno dei loro lavori sul tetto. Alla fine scorgono una capriata di quercia. Altre due sono appena visibili su una piattaforma vicino alla Senna. Una volta installato, il tetto in legno sarà difficilmente visibile, dato che si troverà a più di trenta metri d’altezza, sopra il soffitto a volta della cattedrale, e le strutture saranno per la maggior parte inghiottite dall’oscurità.
I falegnami non danno molto importanza al fatto che la loro arte rimarrà nascosta. Sanno che è lì e che l’hanno realizzata loro. Dennis ha un ultimo pensiero. Dice che è stato bello essere stati pagati il giusto, ma aggiunge: “La verità è che avremmo ricostruito il tetto di Notre-Dame anche gratis”. ◆ aru
◆ La cattedrale di Parigi è stata costruita tra il dodicesimo e il quattordicesimo secolo sull’Île de la Cité, nel cuore della città.
◆ Nel 2019 cominciano dei lavori di restauro per ripulire e consolidare la parte esterna della guglia e una serie di sculture. Nella notte tra il 15 e il 16 aprile un incendio scoppiato nel sottotetto, probabilmente a causa di un cortocircuito nell’impianto elettrico, divampa velocemente provocando il collasso della guglia e del tetto, con il crollo di una parte del transetto. I vigili del fuoco riescono a salvare la struttura portante e gran parte delle opere d’arte.
◆ I restauri cominciano nel 2022. Il 15 gennaio 2024 viene posata l’ultima trave che forma la nuova capriata dell’abside. I lavori dovrebbero essere completati entro la fine 2024. Afp
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Questo articolo è uscito sul numero 1547 di Internazionale, a pagina 50. Compra questo numero | Abbonati