L’Italia affronta per l’ennesima volta il dilemma del turismo di massa. Qualche settimana fa il sindaco di Portofino ha firmato un’ordinanza per evitare l’assembramento di turisti in determinate zone della baia: d’ora in poi, se bloccheranno il traffico in alcune aree i visitatori saranno puniti con multe fino a 275 euro.
L’ordinanza di Portofino è solo l’ultima delle misure adottate dalle amministrazioni comunali italiane per gestire le folle di vacanzieri. Nei sentieri delle Cinque Terre chi indossa i sandali o le infradito rischia fino a 2.500 euro di multa. Nel centro di Venezia e in quattro strade di Firenze è vietato consumare uno snack all’aperto. Sedersi sulla scalinata di piazza di Spagna a Roma può comportare una multa di 250 euro. Nella spiaggia di Eraclea, un comune della città metropolitana di Venezia, l’amministrazione ha impedito di costruire castelli di sabbia, considerandoli degli ostacoli inutili (anche qui si rischia una multa fino a 250 euro).
Il concetto di turismo è praticamente nato in Italia. La penisola, culla di civiltà antiche e dello splendore rinascimentale, diventò presto una meta obbligata per gli aristocratici e gli esteti. È dal seicento, dal famoso grand tour (il viaggio che le persone più ricche e colte facevano in Europa), che il turismo è una componente essenziale dell’economia italiana. Prima della pandemia il paese accoglieva 65 milioni di turisti all’anno, e secondo la Banca d’Italia il settore contribuiva per il 13 per cento al pil nazionale. Ma l’Italia, così dipendente dal turismo, comincia a soffrirne gli eccessi. In una libreria di Venezia è stato installato un display che indica in tempo reale quanti posti letto in città sono destinati ai turisti: 48.596 (al 17 aprile 2023). Un numero che si sta avvicinando a quello dei residenti della città, poco più di 49mila persone. Nel 2008 i posti letto erano dodicimila, i residenti sessantamila.
Una città da sempre preoccupata di sprofondare nell’acqua oggi teme di essere soffocata dalla presenza umana. A gennaio il comune di Venezia ha introdotto un contributo obbligatorio, tra i 3 e i 10 euro, per accedere alla città e alle isole circostanti. Le critiche per questa decisione non erano tanto per la monetizzazione del turismo (una pratica che esiste da sempre) ma perché faceva diventare la città quello che cercava di non essere: un parco divertimenti, una capsula del tempo a beneficio dei visitatori e delle loro fotocamere, più una reliquia che un luogo vivo.
Semplicità sparita
Il turismo di massa sta trasformando le destinazioni più amate nell’esatto opposto di ciò che erano. Il fascino delle Cinque Terre sta nella loro splendida semplicità e nell’appagante senso di serenità e d’ingegno, oltre a mostrare meraviglie topografiche (alti pendii terrazzati e attraversati dai sentieri, case dai colori pastello affacciate sull’azzurro del mare).
Quella semplicità non può sopravvivere a milioni di turisti ogni anno. All’inizio di aprile Fabrizia Pecunia, sindaca di Riomaggiore, uno dei comuni delle Cinque Terre, ha espresso tutta la sua frustrazione: “Non è più possibile rimandare il ragionamento sulla gestione dei flussi. Altrimenti avremo gli anni contati dal punto di vista turistico”. I problemi delle mete più popolari derivano dal fatto che fino a dieci o vent’anni fa l’obiettivo era aumentare la presenza turistica. Oggi nell’isola di Maiorca, in Spagna, in alta stagione possono atterrare più di cinquecento voli al giorno.
L’Organizzazione mondiale per il turismo prevede che entro la fine del decennio in giro per il mondo ci saranno più di due miliardi di visitatori. Il fenomeno, definito overtourism, è già così intenso che le destinazioni più popolari stanno cercando di dissuadere o impedire l’arrivo delle persone. A marzo Amsterdam ha lanciato la campagna pubblicitaria “Stay away” (stai alla larga) rivolta ai britannici, abitualmente poco rispettosi quando sono in vacanza. Nel 2017 l’isola greca di Santorini, che non supera i 76 chilometri quadrati, ha dovuto imporre il limite di ottomila sbarchi al giorno per i passeggeri delle navi da crociera, le stesse a cui Venezia ha vietato il passaggio in laguna. Nel 2015 la promessa di contrastare gli eccessi del turismo fu decisiva per la vittoria di una candidata sindaca di Barcellona.
Oltre a snervare i residenti, il boom danneggia anche i turisti. Nell’era dei social network la finzione alla base del turismo consiste nel suggerire che noi siamo da soli in quei luoghi incantevoli. Il problema è che questa solitudine dura il tempo di una storia su Instagram. Il resto è fatto di scomodità e sovraffollamento. Quando una mia amica ha commesso l’errore di visitare le Cinque Terre a Pasqua ha trovato lunghe code per accedere alle aree pedonali o per bere un caffè. Inoltre ha dovuto aspettare tre ore prima di riuscire a salire su uno dei treni sgangherati che l’avrebbero riportata a casa.
Chiunque sia stato alle cascate del Niagara, negli Stati Uniti, o a Stonehenge, nel Regno Unito, sa che le meraviglie della natura o dell’attività umana sono state spietatamente monetizzate. Oggi bisogna pagare 34 euro per accedere al tempio di Angkor Wat, in Cambogia. Più che provare sollievo, i visitatori spesso ripartono sentendosi spennati: il parcheggio, i biglietti, le bancarelle gastronomiche.
Ormai restiamo disorientati davanti all’assenza di autenticità dell’esperienza turistica. Un tempo il viaggio era fatto di avventura, di difficoltà e a volte di solitudine, ma immancabilmente anche di sorprese e spontaneità. Oggi i percorsi sono talmente dettagliati che abbiamo l’impressione di essere spinti a forza attraverso un imbuto mentre qualcuno ci sta derubando. Questo disagio è più profondo di quanto possa sembrare. In passato si viaggiava per ampliare e istruire la mente. I viaggiatori accettavano la scomodità – procedendo a dorso di mulo sulle alpi o navigando nel golfo di Biscaglia a bordo di un veliero – pur di assorbire la grandezza del mondo, per sentirsi piccoli o vulnerabili e per fare proprie le conoscenze e le culture degli altri. Ora è tutto capovolto: i rischi sono ridotti al minimo e il nostro grande ego si impone su un mondo sempre più piccolo. Così le mete turistiche non sono altro che uno sfondo per i nostri selfie, perché non viaggiamo più per imparare da nuovi luoghi, ma solo per far vedere agli altri che ci siamo stati. ◆ as
Tobias Jones è un giornalista britannico. Vive a Parma. Il suo ultimo libro in italiano è Ultrà (Newton Compton Editori 2020).
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Questo articolo è uscito sul numero 1510 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati