Il padre l’ha chiamato Urban, come il santo patrono a cui sono devoti gli abitanti di Coldrano, il paese altoatesino della val Venosta in cui vive la famiglia Gluderer. Urban, 59 anni, è cresciuto qui. Ha fatto parte della compagnia teatrale e dell’associazione sportiva. Ha portato la statua di sant’Urbano durante la processione.

Poi, però, Urban e la moglie Annemarie sono stati isolati da tutti. Urban racconta che hanno minacciato di picchiarlo e che hanno tagliato un tubo dell’impianto d’irrigazione di uno dei suoi campi. E quando è morto suo padre nessuno dei vicini è venuto al funerale. Il negozio dell’azienda agricola, spiegano i coniugi, sopravvive solo grazie alla vendita online e ai clienti che arrivano da fuori.

“È la mafia delle mele”, si lamenta Gluderer. Prima anche i Gluderer coltivavano mele come tutti, poi 34 anni fa si sono convertiti all’agricoltura biologica. Urban Gluderer racconta che i vicini dicevano che era “fuori di testa”. Nel 2005 la famiglia ha lasciato perdere le mele per passare alle erbe biologiche. Cinque anni dopo gli ispettori hanno individuato residui di pesticidi nei loro prodotti, a causa della dispersione di sostanze chimiche usate nei campi circostanti. “Abbiamo parlato con i vicini, chiesto sostegno alla cooperativa e ad alcuni esponenti politici altoatesini, ma non è servito a niente”, racconta Annemarie Gluderer. Hanno coperto i campi biologici per proteggerli. Una soluzione costosa e dannosa per le piante. Quando hanno denunciato la vicenda, anche sui mezzi d’informazione stranieri, gli altoatesini li hanno bollati come i traditori che sputano nel piatto in cui mangiano. Oggi quando Urban e Annemarie incontrano i vicini litigano. Spesso direttamente in tribunale.

Agli occhi dei visitatori la val Venosta sembra un’unica grande piantagione di mele, con case e chiese piazzate lì solo per bellezza. In realtà non è così: in media ciascuno dei settemila melicoltori altoatesini coltiva solo due ettari e mezzo di terreno e per molti, inclusi in passato i Gluderer, si tratta di un secondo lavoro. A interrompere l’uniformità del paesaggio ci sono solo gli enormi magazzini della cooperativa lungo la strada statale 38. Lì i frutticoltori depositano il raccolto. Le mele sono pesate, divise per categoria, imballate e distribuite in tutt’Italia e in mezza Europa. “Se fai il bastian contrario ti fanno problemi o magari ti buttano fuori dalla cooperativa”, racconta Gluderer, “e a quel punto ti ritrovi solo con le tue mele, e venderle diventa impossibile. I contadini sono burattini, chi comanda è la cooperativa. E allora è meglio starsene zitti”.

Residui nei ghiacciai

Lui però non è stato zitto: protestava con i vicini quando usavano pesticidi nei loro meleti, perché spruzzandoli con gli irroratori ad alta pressione si spargono sotto forma di aerosol e a volte formano nebbie fittissime che riempiono le valli. Impiegare i pesticidi in modo che finiscano solo sul proprio meleto e non sui campi biologici vicini è impossibile. Sospinta dal vento, questa finissima miscela chimica risale le montagne: sono stati trovati residui di pesticidi anche nelle acque e nei pesci di un lago alpino e su alcuni ghiacciai a 1.800 metri di altitudine.

La dispersione dei prodotti usati da altri danneggiava i Gluderer, che hanno chiesto ai vicini di fare più attenzione o di rinunciare a quelle sostanze, anche nell’interesse dei nipoti a cui piaceva giocare all’aperto. La loro nuora era incinta quando un melicoltore ha spruzzato nelle vicinanze della loro tenuta, Il castellino delle erbe, un prodotto consentito, di cui però era segnalato che può procurare danni al feto.

Siccome la nube chimica ha circondato anche la tenuta, lo hanno denunciato. “Gli hanno fatto cinquecento euro di multa che gli sono stati restituiti per un vizio di forma”, racconta Urban Gluderer. “L’ispettore non indossava la tuta protettiva obbligatoria”.

A quel punto sono arrivate le denunce dei rivali e gli ispettori hanno individuato residui di pesticidi in alcuni prodotti dei Gluderer, accusati di spacciare per biologici prodotti che in realtà non lo erano e quindi costretti a richiamare merce già venduta, generando dubbi tra i clienti “che però non ci hanno abbandonato”, dice Urban Gluderer. Nel corso degli anni sono stati sanzionati sette volte per errori nell’etichettatura, con multe tra i 3.500 e i 18mila euro. Loro invece di pagare hanno fatto ricorso. “Abbiamo sempre vinto”, spiega Annemarie Gluderer, “ma le spese legali ci sono costate ventimila euro. Abbiamo dovuto dimostrare che non usiamo pesticidi”. I Gluderer coltivano erbe e fiori commestibili, che vendono singolarmente o mischiati in tisane, spezie, oli e sciroppi. Producono pasta alle erbe e con parte del raccolto realizzano dei cosmetici, tra cui quattro diversi profumi. Reinhold Messner, leggenda dell’alpinismo, amico e sostenitore della famiglia, ha prestato il suo nome e il suo marchio gratuitamente, per sostenerli. “Siamo stati la prima azienda cosmetica con certificazione biologica di tutto l’Alto Adige”, dice Annemarie Gluderer.

La tutela del creato

Ma ormai a Coldrano coltivano ben poco: Il castellino delle erbe è circondato da meleti coltivati tradizionalmente e quindi il rischio di dispersione dei pesticidi è altissimo. Per questo Michael, il figlio dei Gluderer, ha fondato con la moglie Claudia un’azienda a Tubre, a quaranta minuti di auto da Coldrano. A 1.400 metri di altitudine coltivano erbe e frutti. Secondo i Gluderer, la giunta provinciale non sostiene le aziende biologiche e nessuno vuole sentire parlare di proibire l’uso dei pesticidi.

Annemarie Gluderer è la portavoce italiana del gruppo dei cittadini europei che chiede il loro divieto. È stata ricevuta da papa Francesco che, nell’enciclica Laudato si’, si è espresso a favore della tutela del creato. Annemarie Gluderer gli ha portato i messaggi degli ambientalisti e dei privati cittadini. Da lì è nata anche un’intervista a Radio Vaticana. Ma questo non ha colpito i suoi compaesani nella val Venosta. Eppure, i Gluderer non vogliono arrendersi: “Ci sentiamo responsabili verso figli e nipoti. Non solo i nostri”. ◆sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1502 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati