Di recente ho trovato una mia fotografia di quando ero appena nata. Sul retro papà aveva scritto: “La nostra bambina è blu”. Voleva affidarla a uno dei pellegrini che tornavano in Sudan dalla Mecca perché la consegnasse ai suoi fratelli insieme a una lettera che annunciava la nascita della sua piccola.
In tutto il mondo, le persone nascono bianche o nere, con qualche piccola variante. Di solito avere la pelle bianca porta con sé molti vantaggi, mentre avere la pelle nera causa solo complicazioni. Chi è nero è vittima di una perenne discriminazione razziale, condannato a essere inferiore finché non dimostra di non esserlo. Gli arabi con la pelle scura sono cittadini di serie b in molti paesi del golfo Persico e del Medio Oriente, stigmatizzati in quanto frutto di antiche migrazioni africane o discendenti degli schiavi.
Ogni tanto nei paesi più ricchi si versa qualche risarcimento ai neri, anche per rispondere ai requisiti di multietnicità previsti in vari posti di lavoro, ma i pregiudizi nei loro confronti non spariscono. Tra questi c’è quello di un legame con la povertà e la criminalità. È un’idea che nasce dal vecchio sistema di potere, in cui la schiavitù era legale.
Agli occhi del mondo i sudanesi, che abitano un paese vastissimo con molte tribù e componenti etniche, sono tutti neri. Il nome dello stato, Sudan, è il plurale della parola araba aswad, nero.
Ma i sudanesi usano raramente questo termine per descrivere il colore della pelle. Di nero ci sono solo le melanzane! Tant’è vero che il babaganoush – la crema di melanzane – in Sudan si chiama “insalata nera”. Per parlare del colore della pelle, invece, si usano cinquanta sfumature di nero.
I sudanesi con la pelle molto chiara sono chiamati rossi, per indicare la sfumatura rossiccia del loro incarnato. A volte sono detti halabi, aleppini, in quanto discendenti dei siriani che un tempo erano emigrati in Sudan. Per estensione, questa categoria comprende anche chi ha origini egiziane e chi ha i capelli più chiari.
Poi ci sono i sudanesi gialli, da non confondere con chi soffre d’itterizia. In questo caso, s’intende che il loro colorito bianco ha una punta quasi beige. È la carnagione prevalente tra i sudanesi che sono andati a vivere nel golfo Persico.
Questo colore gode dei privilegi associati alla pelle bianca nel resto del mondo e rientra nei canoni di bellezza occidentali. E rispetto agli aleppini, i sudanesi gialli si possono fregiare della purezza delle loro origini.
Segue il colore ambrato, come il vino o il grano, che rappresenta la prima sfumatura scura.
Con l’aumento della melanina si passa al verde, che in Sudan non è riservato solo agli extraterrestri e alle piante. La pelle verde è quella delle ragazze con la carnagione olivastra e radiosa, come datteri pieni e maturi.
Infine arriva il blu, che indica le persone che, a differenza dei Puffi, hanno la carnagione molto scura. Scura come la notte dei quadri di Van Gogh. Rientrano in questa gradazione quelli che nel resto del mondo sarebbero neri. A queste sfumature di nero in Sudan e nel resto del mondo sono associati alcuni privilegi, ma anche discriminazione e razzismo.
Quante volte ho sentito chiamare una persona blu abed, la parola araba per schiavo. Per non parlare dei commenti che mettono in dubbio l’origine araba di queste persone, esaminandone la forma del naso e quanto sono ricci i capelli, caratteristiche che per alcuni sudanesi valgono come accurati test genetici.
Le altre sfumature associano le persone blu a specifiche tribù e ai paesi africani confinanti per affermare l’appartenenza del Sudan – il paese dei neri – al mondo arabo e negare la sua africanità. I matrimoni misti sono malvisti, perché attirerebbero commenti tipo: “Come hanno potuto dare in sposa questa ragazza araba a uno schiavo?”.
I sudanesi si aggrappano all’identità araba e a una presunta discendenza dai primi califfi. Chiedere a qualcuno a che tribù appartiene è un caposaldo della vita sociale. Non c’è da meravigliarsi se un ragazzo istruito si accontenta di una ragazza senza qualità purché sia “bianca e con i capelli lunghi”.
Pressate da questi canoni di bellezza, molte ragazze ricorrono a prodotti a base di cortisone che hanno tra i loro effetti collaterali una diminuzione della melanina e un aumento della ritenzione idrica che le rende radiose. Le creme esfolianti e sbiancanti sono un must per gran parte delle giovani in età da matrimonio.
Capita che una ragazza gialla non trasmetta ai suoi figli il suo apprezzato colore, ma una carnagione del colore dell’ebano. Entrambi i miei genitori hanno la pelle chiara, un tratto perfetto da trasmettere alla loro discendenza. Infatti mio fratello ha la pelle ambrata e mia sorella gialla. Poi, contro ogni aspettativa e in barba alla genetica, sono arrivata io, che per essere precisi sono verde. O blu, come mi ha definito papà in quella lettera mai inviata, l’unica cosa che adesso mi resta di lui oltre al gruppo sanguigno e alla mia vena letteraria.
Dai miei genitori ho preso l’amore per il mio colore e per questo detesto usare i filtri di bellezza per le foto sui social.
Un giorno ero tornata a casa da scuola in lacrime: avevamo ricevuto la nostra pagella mensile e io avevo preso ottimi voti, ma mentre stavamo uscendo una mia compagna saudita, gialla, mi aveva chiamato schiava. La mamma mi aveva consolato dicendomi che quella ragazzina era gelosa dei miei voti, dei miei bellissimi occhi, delle mie sopracciglia fini e dei miei capelli lunghi.
Sono cresciuta ritenendomi bella, adoro i miei capelli e non li taglio mai, i miei occhi mi piacciono molto anche se nessuno tranne mia mamma mi ha mai fatto un complimento, le mie sopracciglia sono fini fini e mi rifiuto di usare prodotti sbiancanti.
Io guardo oltre ciò che vedono quelli che cercano di combinare un buon matrimonio.
Oltre ciò che non vede il professore dell’università che mi chiamava “cioccolatino”, e ogni volta io gli sorridevo a denti stretti ricordandogli come mi chiamavo.
Oltre ciò che non vede quella signora che per strada in Egitto mi disse “Però avete un grande cuore, un cuore candido”, per gentilezza, come a compensare la nostra brutta pelle scura.
Valiamo molto di più della melanina nella nostra pelle, e in nessuna circostanza la sua quantità dovrebbe determinare se siamo inferiori o superiori.
Non posso dire di aver sperimentato le rigide gerarchie etniche e i pregiudizi subiti dai sudanesi blu nel corso degli anni, ma come parte della minoranza scura nel Golfo e come figlia verde nata da genitori gialli ho acquisito uno sguardo e una determinazione che mi auguro possano sconfiggere questi lasciti del passato. ◆ crd
Weam al Bashir è una scrittrice d’origine sudanese. Questo articolo è uscito su Raseef22, un sito d’informazione indipendente libanese, con il titolo Lil sudaniyyin khamsuna tayfan min al aswad.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1561 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati