Una mattina di marzo del 2018 tre agenti di polizia giudiziaria sono entrati in un magazzino dell’azienda internazionale di spedizioni Dhl a Roma. Cercavano un pacco appena arrivato da Lagos, in Nigeria. Quando gli è stato consegnato l’hanno aperto e dentro c’erano due piccoli opuscoli di trenta pagine. Erano due copie dello stesso documento. La stampa era scadente, così come l’impaginazione. Sulle copertine, di cui una era girata al contrario, c’era l’immagine di un berretto verde con le parole Proudly maphite (Orgogliosamente maphite), e su ogni pagina c’era la frase: “Costituzione maphite: cosa rappresentiamo”. Un agente si è infilato dei guanti di lattice e ha appoggiato gli opuscoli su un foglio di carta bianco. Poi ci ha messo accanto un righello e ha fotografato le pagine.
Gli agenti erano lì su incarico di una squadra formata da dieci persone specializzata nella tratta di persone. Tuttavia, nel giro di poco tempo quegli opuscoli hanno assunto un significato ben più vasto. Erano copie di quella che presto sarebbe stata chiamata la “bibbia verde” e che è diventata il più importante documento nella guerra dichiarata dal governo italiano contro le presunte organizzazioni criminali in cui sarebbero coinvolti migliaia di immigrati nigeriani. Tra queste ce ne sarebbe anche una chiamata Maphite. Per anni in Italia i funzionari delle forze dell’ordine, la stampa e i politici di destra hanno descritto la Maphite e altri gruppi simili come una sorta di cosa nostra degli anni duemila. Durante un’indagine la polizia ha ascoltato mezzo milione di telefonate, seguito individui sospettati di far parte delle bande e fatto delle intercettazioni ambientali. Ma le prove erano ancora deboli. La polizia aveva bisogno di qualcosa di decisivo e lo ha trovato nel magazzino romano della Dhl.
Aperto un mondo
“Abbiamo accertato che è una vera e propria mafia, la quinta più potente al mondo”, dice Fabrizio Lotito, il funzionario che dirigeva la Squadra antitratta (Sat) di Torino. A un primo sguardo il documento sequestrato sembra un miscuglio tra un programma e una costituzione, scritto con il tono di un cattivo dei film di James Bond che illustra il suo piano diabolico. Il testo descrive la struttura e le regole della Maphite, un’organizzazione dichiaratamente illegale: “Essendo un gruppo criminale, ci occupiamo di ogni aspetto illegale che possa far avanzare e guadagnare la Maphite”, si legge in una sezione. “Ci occuperemo di droga, omicidi su commissione, prostituzione, furti su vasta scala, scommesse e armi”.
Lotito riconosce che questo non è il genere di cose che un’organizzazione criminale stampa e fotocopia. “Alcuni aspetti della bibbia verde ci sembravano strani, quasi inverosimili”, ammette. “Poi abbiamo avuto conferma dal collaboratore che invece era tutto reale, e ci ha aperto veramente un mondo”. La squadra guidata da Lotito ha fatto tradurre il documento in italiano e successivamente – lavorando con l’allora sostituto procuratore della repubblica presso il tribunale di Torino, Stefano Castellani, e con altri funzionari in Italia – lo ha usato come prova principale per arrestare e processare più di settanta persone, tra cui un politico nigeriano. Alcuni degli indagati sono stati condannati a più di dieci anni di carcere.
In generale l’elemento che accomuna gli accusati è l’appartenenza a una confraternita, l’equivalente di quelle universitarie negli Stati Uniti. Alcune confraternite nigeriane, nate negli anni cinquanta, si sono trasformate in organizzazioni violente. Altre, invece, formano ancora oggi reti di contatti tra ex studenti emigrati in Europa e in Nordamerica.
In Italia, dove su sessanta milioni di residenti cinque milioni sono stranieri, il 2 per cento dei quali provenienti dalla Nigeria, l’opinione sulle confraternite non tiene conto di queste differenze. Nel corso degli anni le autorità e i mezzi d’informazione hanno dipinto questi gruppi come sette brutali dedite a riti sconvolgenti, incluso il cannibalismo. Un importante giornale italiano ha scritto che i gruppi nigeriani mettevano in pratica ritorsioni “a metà tra la magia nera e le vendette mafiose”.
Nel 2019 il procuratore nazionale antimafia dell’epoca, Federico Cafiero De Raho, ha dichiarato che alcuni presunti criminali nigeriani usavano “rituali magici” per controllare le loro vittime. Queste tesi sono accettate senza riserve anche in ambienti rispettati, con termini che spesso sono apertamente razzisti.
Il partito di estrema destra Fratelli d’Italia, che nel 2022 ha vinto le elezioni ed è al governo, ha promesso di ridurre l’immigrazione. Nel 2019, un anno dopo l’ingresso della squadra di Lotito nel magazzino della Dhl, e poco prima che la notizia dell’esistenza della bibbia verde fosse resa pubblica, Giorgia Meloni, oggi presidente del consiglio italiana è stata co-autrice del libro Mafia nigeriana, in cui si sostiene che “i membri di queste sette praticano riti di magia nera e come iniziazione bevono sangue umano”. Il saggio mette ripetutamente in guardia il lettore sulla “sostituzione etnica” e accusa i nigeriani di “praticare il cannibalismo, strettamente legato al commercio di carne umana”. Nello stesso periodo in cui è stato pubblicato il libro, in occasione di un discorso in parlamento, Meloni ha chiesto al governo, guidato allora da Giuseppe Conte, d’impiegare l’esercito per contrastare le confraternite, che ha definito “tra le organizzazioni criminali più feroci e pericolose del mondo”.
Affermazioni simili sono state fatte anche da alcuni magistrati. “Non abbiamo le prove, ma è probabile che ci siano stati cannibalismo, violenza estrema, gente fatta a pezzi”, sostiene Stefano Orsi, sostituto procuratore di Bologna, che ha rappresentato l’accusa contro 28 persone sospettate di far parte dei maphite. Orsi ritiene che i componenti di questo gruppo tendano a essere estremamente violenti e armati, anche se riconosce che nei casi esaminati non sono state trovate armi da fuoco. Orsi e altri funzionari sottolineano che da quando l’opinione pubblica, le forze dell’ordine e i mezzi d’informazione sono venuti a conoscenza della bibbia verde, quattro anni fa, il documento è stato fondamentale per processare e condannare i criminali nigeriani. L’anno prima del suo ritrovamento nessun nigeriano era stato accusato in base alle leggi antimafia italiane. L’anno successivo, invece, i nigeriani processati sono stati 154, il 60 per cento di tutti gli stranieri giudicati per mafia. “Il documento ci ha aiutato a convincere il giudice che stavamo ragionando di qualcosa di effettivamente reale”, spiega Orsi. Il fatto che le confraternite siano state trattate come organizzazioni mafiose ha esposto chi ne faceva parte a punizioni più severe. In Italia l’associazione mafiosa è un reato grave. Sia Orsi sia Lotito hanno detto a Bloomberg Businessweek che sono state le intercettazioni a permettere di rintracciare la bibbia verde, e che il destinatario dell’opuscolo, un presunto capo della Maphite, è stato arrestato, processato e condannato per aver promosso e guidato un’organizzazione mafiosa.
Contraddizioni evidenti
Tuttavia, secondo alcuni documenti giudiziari, nel 2021 l’ispettrice di polizia Irene Coppola ha testimoniato che un informatore in carcere ha comunicato alla sua unità i dettagli sul pacco nel magazzino della Dhl a Roma e che il destinatario non era mai stato indagato. Quando gli abbiamo fatto presenti le dichiarazioni di Coppola, Orsi e Lotito ci hanno risposto per iscritto che le intercettazioni sono state fondamentali per trovare la bibbia verde e che le indagini dei tribunali ne hanno confermato la provenienza. L’ufficio del pubblico ministero Castellani ci ha inviato una dichiarazione in cui si afferma che una recente condanna dimostra la solidità delle prove raccolte. Né la presidente del consiglio Giorgia Meloni né la direzione nazionale antimafia hanno risposto alle nostre richieste di un commento.
In ogni caso queste non sono le uniche incongruenze nella storia della bibbia verde. Analizzando a fondo le circostanze del suo ritrovamento e del suo uso emerge una lunga serie di contraddizioni nell’operato delle autorità italiane. Ma sull’argomento la fonte più eloquente è proprio l’opuscolo. Uno studio attento del documento, di cui Bloomberg Businessweek ha visionato una copia, dimostra che la bibbia verde è un’accozzaglia di frasi copiate da testi di bande criminali nelle carceri degli Stati Uniti, frasi di boss famosi e film sulla mafia, compresi Il padrino e Quei bravi ragazzi. Nelle loro dichiarazioni scritte Orsi e Lotito sostengono che le prove di plagio non sono un motivo valido per dubitare della veridicità del documento. Resta il fatto che la bibbia verde,in base alla data riportata dovrebbe risalire al 1978, ma buona parte del materiale che riproduce sarebbe stato pubblicato solo molti anni dopo.
Eppure queste contraddizioni evidenti non sono sufficienti per tenere lontano dal carcere persone innocenti. D’altro canto i pubblici ministeri e i politici italiani parlano senza scomporsi di stregoneria. In Italia i mezzi d’informazione hanno l’abitudine di dipingere le attività criminali che coinvolgono i nigeriani come parte di un movimento più grande e pericoloso. Secondo Etannibi Alemika, professore di criminologia all’università di Jos, in Nigeria, specializzato nello studio del crimine organizzato, questo atteggiamento svela un misto tra ignoranza culturale, razzismo, pigrizia intellettuale e “folclore senza alcuna prova a sostegno”. Se qualcuno che ha fatto parte di una confraternita diventa uno spacciatore, spiega Alemika, non significa che l’intera confraternita sia una banda di narcotrafficanti né che gli altri componenti siano colpevoli. In Italia la parola mafia ha un potere forte, per ovvie ragioni. Quando è usata, gli imputati hanno poca scelta se non quella di accettare una richiesta di giudizio abbreviato che preveda un certo periodo di detenzione, anche se il contenuto della prova principale in mano ai magistrati è così vago da essere assurdo.
La stampa italiana ha pubblicato alcuni estratti della bibbia verde, ma il documento non è mai stato reso pubblico per intero, almeno a quanto ne sa Bloomberg Businessweek. Continua a essere usato, però, nei procedimenti giudiziari.
La prima confraternita della Nigeria, quella dei Pyrates, è nata nel 1952, al termine di un secolo di dominio coloniale britannico. Quell’anno sette studenti decisero di creare un’associazione i cui partecipanti erano parte dell’élite dell’università di Ibadan, all’epoca amministrata dall’università di Londra, nel Regno Unito. L’idea era creare una rete studentesca anticolonialista che potesse essere presa sul serio per i propri meriti accademici, sfuggendo al clientelismo e al nepotismo delle autorità tradizionali.
Come hanno confermato in seguito alcune persone della confraternita, i Pyrates si occupavano anche di organizzare feste studentesche. Il gruppo ha fatto proseliti nei campus di tutto il paese e ha spinto altri a imitarlo, in parte grazie alla sua forte influenza intellettuale. Tra i sette fondatori c’era anche Wole Soyinka, futuro scrittore, poeta, professore di letteratura e premio Nobel.
Una generazione più tardi, conclusa la guerra civile nigeriana, altri studenti hanno fondato nuove confraternite, con nomi come Black axe, Eiye e Vikings. Tra queste associazioni c’era la Maphite, nata nel 1978 con l’obiettivo dichiarato di riportare l’attenzione delle confraternite all’attività accademica. Ma nel corso degli anni ottanta e novanta, quando decine di questi gruppi diventarono onnipresenti nelle facoltà nigeriane, molti furono coinvolti in una serie di colpi di stato e cooptati dai regimi militari. Quando alcuni stati nigeriani hanno deciso di vietare tutte le organizzazioni studentesche, le confraternite hanno abbandonato i campus universitari, diventando sempre più estremiste.
A quel punto i componenti più pacifici, nel tentativo di distinguersi dagli elementi violenti, hanno ricostruito le reti tra studenti dandogli nuovi nomi. Diversi maphite sono passati a un nuovo gruppo chiamato Green circuit association. Oggi, anche se i tabloid nigeriani raccontano periodicamente episodi di violenza giovanile attribuiti alle confraternite, in generale le associazioni studentesche non sono considerate focolai d’illegalità. I componenti delle confraternite sono presenti in diversi settori della vita pubblica, dalle forze dell’ordine alle istituzioni.
Questo periodo ha coinciso più o meno con un calo della violenza delle organizzazioni criminali italiane. Per oltre un secolo le più importanti famiglie mafiose avevano dominato le comunità locali, imponendo un codice basato sull’omertà e uccidendo decine di agenti di polizia, funzionari e magistrati. Dall’inizio degli anni novanta, però, il governo italiano ha creato un gruppo di forze di polizia specializzate, la direzione investigativa antimafia, e di magistrati, la direzione nazionale antimafia, per contrastare in modo più efficace i criminali. Attualmente il codice penale italiano prevede una pena minima di dieci anni per chiunque sia ritenuto colpevole di appartenere a un’organizzazione mafiosa. La minaccia rappresentata da una condanna di questo tipo può essere sufficiente a convincere un accusato che è meglio scegliere quello che in Italia si chiama giudizio abbreviato, un procedimento penale speciale per rendere il processo più veloce, in cui l’imputato rinuncia a una serie di diritti della difesa in cambio di uno sconto di pena in caso di condanna.
A metà degli anni duemila le unità antimafia avevano sequestrato miliardi di euro di beni a cosa nostra, indebolendo una delle più grandi organizzazioni criminali italiane. Il governo attribuisce a queste unità il merito di aver incarcerato più di diecimila persone e di aver ridotto quasi della metà la percentuale di omicidi in Italia. Nel frattempo le squadre antimafia sono cresciute fino a trasformarsi in reti di agenti di polizia e magistrati con un budget annuale di circa cento milioni di euro (oggi la cifra ammonta a 120 milioni di euro, senza contare le spese per le indagini, coperte dal ben più corposo budget per la giustizia). Nel 2013 gli agenti della polizia giudiziaria avevano ormai allargato il loro raggio d’azione alle comunità di immigrati.
In Sicilia, dove i migranti stavano cominciando ad arrivare in gran numero a bordo di imbarcazioni fatiscenti partite dal Nordafrica, la magistratura ha preso di mira i presunti scafisti. Nel nord del paese, dove gli immigrati tendevano a stabilirsi per la maggiore disponibilità di posti di lavoro, le autorità hanno avviato una serie di indagini sulle loro organizzazioni sociali. Nel 2013 Lotito e Castellani hanno aperto un’indagine sui legami di alcuni criminali con la Maphite e la Green circuit association. La squadra di Lotito ha sistemato alcune cimici nella sede di un incontro della Green circuit association, la sala conferenze di un albergo alla periferia di Bologna. Secondo gli atti giudiziari, gli agenti hanno interrotto la riunione spacciandosi per operai e hanno fatto sgomberare la sala con la scusa di dover riparare l’impianto di riscaldamento. Invece hanno inserito telecamere e microfoni nelle plafoniere. Le registrazioni sono state poi usate nei processi contro almeno diciannove persone come prova della loro appartenenza a un’associazione mafiosa. Alla riunione c’erano tre uomini che sarebbero poi diventati figure centrali nella crociata dell’antimafia contro le confraternite nel processo definito da Lotito “il nostro fiore all’occhiello”. Il primo era Bright Edogiawerie, un immigrato nigeriano che viveva in Italia da circa dieci anni e lavorava come magazziniere carrellista, oltre a essere anche presidente della sezione italiana della Green circuit association. Il secondo era Osaze “Cesar” Osemwegie, funzionario governativo di basso rango in visita dalla Nigeria. Il terzo era Thomas “Oscar” Omoregie, noto anche come “Snake” (serpente), che poi sarebbe diventato il pentito chiave nei processi contro gli altri due e l’informatore principale nelle indagini che hanno portato la polizia alla scoperta della bibbia verde.
La bibbia verde contiene molte frasi rubate ad Al Capone e ad altri boss
Secondo la polizia, Omoregie, che si è trasferito in Italia da Benin City all’inizio degli anni novanta per cercare lavoro, è nel programma di protezione testimoni e per questo non è stato possibile contattarlo per un’intervista. Ma la sua collaborazione con le forze di polizia risulta da centinaia di pagine di documenti processuali. Quando ci fu la riunione nell’albergo di Bologna, Omoregie aveva già collaborato altre volte con le forze dell’ordine. Nel 2009 era stato prosciolto da un’accusa di sfruttamento della prostituzione, prima di scontare una condanna per traffico di droga e truffa a danno di alcuni possessori di carte di credito. Negoziò la sua libertà in cambio della collaborazione in almeno tre indagini correlate. Quando nel 2016 è stato arrestato con l’accusa di essere un maphite, Omoregie ha cominciato a parlare con Lotito e Castellani. Nel giro di un anno ha fatto i nomi di decine di nigeriani che avrebbero commesso crimini mafiosi per conto dei maphite, dagli affari multimilionari con armi e droga alla tratta di migliaia di nigeriani e allo sfruttamento della prostituzione in Europa. “Le cose che ho visto erano sconvolgenti”, si legge in un documento della polizia che cita una deposizione di Omoregie. “Quando entri nella Maphite non puoi più uscirne. Solo da morto”. In una dichiarazione scritta, l’avvocato di Omoregie, Luca Carnino, ha precisato che la testimonianza del suo assistito non è in vendita. “Le dichiarazioni di Thomas Omoregie sono state sottoposte a un vaglio severo dagli inquirenti e hanno sempre trovato piena conferma nella realtà”, ha scritto Carnino. “Nel corso degli anni, Omoregie e i suoi familiari sono stati più volte minacciati, per costringerlo a ritrattare. Falliti questi tentativi, è iniziata una campagna denigratoria, peraltro abbastanza puerile, volta a contrastare i risultati delle inchieste giudiziarie italiane”.
Numeri incomprensibili
Omoregie, condannato a sei anni di carcere per i fatti del 2016, è stato rilasciato nel 2018. La polizia ha sorvegliato le persone indicate nella sua testimonianza, senza però trovare alcuna prova del fatto che la Maphite fosse un’organizzazione criminale con un ampio raggio d’azione. Questo fino a quando Omoregie non ha dichiarato di sapere dove trovare le prove: in un magazzino della Dhl a Roma.
I magistrati italiani continuano a presentare come prova valida le fotografie della bibbia verde scattate nel 2018. Bloomberg Businessweek ha visionato una copia fornita da un giornalista che l’aveva da anni. Il documento combacia con le foto pubblicate finora dalla stampa italiana.
Per prima cosa si vedono le foto del pacco, con il codice di tracciamento Dhl e gli indirizzi del mittente e del destinatario ben visibili. Poi appaiono i due opuscoli con i berretti verdi in copertina. La prima frase che compare è “Siamo la Maphite (chiamata anche Green circuit association)”, seguita da un’esposizione della presunta struttura dell’organizzazione. Al vertice, si legge negli opuscoli, c’è un “don”, poi un presidente e alcuni vicepresidenti, generali, capitani, luogotenenti e sergenti, fino ai soldati semplici. Le pagine successive elencano le priorità criminali del gruppo e descrivono nel dettaglio una serie di riti di iniziazione, confessioni di crimini passati e inviti a commetterne altri. Sparsi in tutto il testo ci sono bizzarri intermezzi e frasi da gangster, che diventano comprensibili solo dopo averli cercati su Google.
L’opuscolo è una clava da usare contro i presunti appartenenti alle bande criminali
Gran parte del testo della bibbia verde è copiata parola per parola da due documenti. Uno è il programma della Mexikanemi, una gang di origine messicana presente in Texas, negli Stati Uniti, fondata nel 1991, mentre l’altro è un testo simile, attribuito alla Nuestra familia, un altro gruppo criminale i cui affiliati sono nelle carceri californiane. Nella bibbia verde i nomi delle bande sono stati sostituiti con Maphite, mentre alcuni riferimenti specifici alla storia delle due gang sono stati modificati per corrispondere a quella delle confraternita nigeriana. Per il resto, il testo è identico. Un segnale evidente del plagio è il fatto che la bibbia verde comprenda numeri misteriosi disseminati nel testo. Un’analisi dei due programmi delle gang rivela che i numeri corrispondono in realtà a quelli delle pagine copiate. In alcuni casi sono quelli degli atti giudiziari di un processo condotto negli Stati Uniti in cui il documento della Mexikanemi è stato presentato come prova. Nel contesto della bibbia verde questi numeri non hanno un senso apparente.
Risultati simili si ottengono cercando su internet altri passaggi. Molte delle frasi più provocatorie, successivamente riprese nei titoli degli articoli e nei servizi televisivi che hanno raccontato la presunta violenza delle confraternite nigeriane in Italia, sono copiate senza alcuna attribuzione dalle dichiarazioni dei boss più famosi degli Stati Uniti. Eccone alcune: “Con una parola gentile e un’arma si ottiene di più che con una parola gentile e basta” (frase attribuita ad Al Capone); “Non esistono soldi giusti o soldi sbagliati. Esistono solo i soldi” (Lucky Luciano); “I giudici, gli avvocati e i politici hanno una licenza per rubare. Noi non ne abbiamo bisogno” (Carlo Gambino). Fatto ancora più imbarazzante, alcuni passaggi particolarmente feroci riportati dalla stampa italiana sono citazioni leggermente modificate di capisaldi della cultura pop statunitense. Spesso si susseguono uno dopo l’altro all’interno della stessa pagina. Come le frasi rubate ad Al Capone e agli altri boss, compaiono in un’infinità di siti suggeriti da Google attraverso la ricerca “citazioni mafiose”. “Niente di personale, sono solo affari” viene dal film Il padrino. Un lungo passaggio sugli sforzi che gli affiliati sono disposti a fare per proteggere la loro famiglia deriva da un libro di Mario Puzo, L’ultimo padrino (Corbaccio 1996). Ma la citazione più famosa contenuta nella bibbia verde è un’altra: “Ammazzavamo con il sorriso. Sparare alla gente era una cosa da nulla per noi”. La frase è un po’ modificata, ma la sua provenienza risulta ovvia leggendo le due parole successive contenute nella bibbia verde: Good fellas (bravi ragazzi), come il titolo inglese di un famoso film sulla mafia.
Sono pochi i pezzi della bibbia verde che non sono stati copiati e spesso la fonte è semplicemente Wikipedia. La parte sui riti d’iniziazione dei maphite? Viene dalla pagina Wikipedia sui rituali mafiosi. Il lungo discorso sulla promessa di non parlare con la polizia? Lo ritrovate nella pagina Wikipedia sull’omertà. Inoltre è facilissimo individuare i passaggi che non provengono da un plagio, perché di solito sono scritti in maiuscolo. Le parti non copiate comprendono una lista di due pagine con le presunte operazioni criminali del gruppo, che corrisponde, punto per punto, a una testimonianza rilasciata da Omoregie alla polizia all’inizio del 2017. C’è anche un resoconto piuttosto insignificante degli eventi durante una riunione della Green circuit association, organizzata in Nigeria alla fine dello stesso anno, con tanto di cronaca di una partita di calcio tra i partecipanti residenti in Nigeria e quelli in visita dall’estero (la squadra della diaspora ha vinto 3-1).
Omoregie ha dichiarato di aver saputo del pacco Dhl mentre era sotto protezione, e di aver appreso i dettagli sulla consegna e il numero di tracciamento da un gruppo Facebook segreto di cui facevano parte alcuni maphite. In seguito dice di aver riferito le informazioni a Lotito e a Castellani. Le fotografie del pacco rivelano che il mittente era Osaze Timaya, residente a Lagos, mentre la destinataria era Hajia Popoli. Nessuno dei due è stato accusato formalmente, e su Popoli non sono nemmeno state fatte delle indagini. Ma a quanto pare entrambi erano conoscenti di Omoregie.
◆ Nella relazione semestrale (gennaio-giugno 2022) presentata in parlamento, la direzione investigativa antimafia (Dia) afferma che “la criminalità organizzata nigeriana concentra i suoi interessi prevalentemente nella tratta di esseri umani connessa con lo sfruttamento della prostituzione e con l’accattonaggio forzoso, nonché nel settore del narcotraffico”. Il rapporto prosegue affermando che “ulteriori settori d’interesse risultano la falsificazione di documenti, le truffe e le frodi informatiche, la contraffazione monetaria e anche nei reati contro la persona e il patrimonio”. Per quanto riguarda la tratta e lo sfruttamento della prostituzione della donne nigeriane, in un rapporto del 2017 la ong Save the Children afferma che la filiera criminale nigeriana si basa su ruoli definiti: le adescatrici, che portano le donne in Libia; le maman, che ne facilitano l’ingresso in Italia; e i sodali, che le smistano nei luoghi di prostituzione. Secondo Élodie Apard, ricercatrice presso l’Institut de recherche pour le développement, a Parigi, e specialista della tratta nigeriana, intervistata da Afrique XXI, “è difficile parlare di un’organizzazione piramidale”. “Si tratta più spesso di piccole reti familiari o comunitarie che agiscono per conto proprio”. In un rapporto del 2023 sulla tratta Save the chilndren afferma che “nel 2022 in Italia le vittime prese in carico dal sistema antitratta sono state 850, di cui il 59 per cento donne e meno del 2 per cento i minori. Arrivano soprattutto dalla Nigeria (46,7 per cento), seguita da Pakistan (8,5 per cento), Marocco (6,8 per cento) e Brasile (4,5 per cento)”.
Bloomberg Businessweek ha rintracciato Popoli all’indirizzo di Roma riportato sul pacco, dove gestisce un piccolo salone di bellezza. La donna racconta di aver incontrato Omoregie nel suo locale insieme a Timaya, suo cliente da anni (non è stato possibile contattarlo per un commento), e ricorda di aver ricevuto uno strano pacco dalla Nigeria che sembrava contenere un libro. Insospettita si sarebbe rifiutata di firmare la ricevuta o lo avrebbe buttato via. Popoli garantisce che nessun agente di polizia le ha mai fatto domande su quel pacco. “Se la polizia stava davvero seguendo una pista e sul pacco c’era scritto ‘Hajia Popoli’, perché non sono venuti da me?”, si chiede la donna indicando alcune auto della polizia parcheggiate in strada. “Lavoro qui da 26 anni”.
Né la polizia né la magistratura hanno voluto commentare il fatto che il contenuto della bibbia verde sia stato dichiarato autentico dalla stessa persona che ha contribuito al ritrovamento del pacco, tra l’altro spedito da un suo conoscente a un’altra. Lotito, che oggi lavora come consulente per la commissione parlamentare antimafia, sottolinea nella sua dichiarazione che la polizia non ha mai contattato Popoli perché riteneva che non fosse la reale destinataria della bibbia verde. Il funzionario, che ha ribadito di non avere il minimo dubbio sull’autenticità del documento, spiega che Popoli “era proprietaria di un’attività in regola” e dunque probabilmente il suo indirizzo era stato usato “per non destare sospetti”.
Il sostituto procuratore Orsi, invece, scrive che “tutta la simbologia e la ritualità della mafia nigeriana è mutuata da altre organizzazioni criminali. Nulla di strano quindi che la bibbia verde sia frutto di assemblaggi vari”. Secondo l’ufficio di Castellani, la condanna di molti affiliati dimostra che il documento è reale e che la testimonianza di Omoregie è affidabile. “Il mio assistito, Thomas Omoregie, respinge nettamente l’insinuazione che la sua collaborazione con le autorità giudiziarie italiane non sia sincera e che la copia della bibbia verde rinvenuta dagli inquirenti sia contraffatta”, scrive invece l’avvocato Carnino.
Il reato di associazione di tipo mafioso è definito dall’articolo 416 bis del codice penale, introdotto nel 1982. È un reato che si definisce associativo, perché punisce l’appartenenza a un gruppo mafioso formato da tre o più persone a prescindere dagli eventuali reati commessi. Le pene previste vanno dai dieci ai quindici anni di carcere per i componenti dell’associazione e dai dodici ai diciotto anni per chi la promuove o dirige. Il carattere distintivo di un’associazione di tipo mafioso, rispetto a una semplice associazione per delinquere, è il potere di intimidazione derivato dalla fama criminale dell’organizzazione. Questo potere genera, dice il 416 bis, “una condizione di assoggettamento e di omertà” nella comunità in cui agisce il gruppo mafioso, che se ne avvale per commettere delitti, controllare le attività economiche “o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti”. A partire dai primi anni duemila alcune procure hanno individuato i caratteri dell’associazione mafiosa anche in gruppi di origine straniera. Nel 2007 un giudice di Torino ha emesso la prima condanna basata sul 416 bis nei confronti di alcuni componenti di due confraternite nigeriane: la Black axe e la Eiye. La sentenza, emessa in seguito a un processo con rito abbreviato, è diventata definitiva con la pronuncia della corte di cassazione il 5 maggio 2010. Secondo la corte, la forza d’intimidazione dei due gruppi sulla comunità nigeriana, pur non riguardando il resto della società italiana, era sufficiente a giustificare l’applicazione del 416 bis. Negli anni successivi sono state emesse condanne per mafia contro altre confraternite nigeriane: la Vikings e la Maphite. La giurisprudenza però non è d’accordo nel considerare associazioni mafiose le confraternite nigeriane in Italia. Due recenti decisioni del tribunale di Palermo hanno affermato che la Black axe e la Eiye non sono associazioni mafiose. Nel caso della Black axe la sentenza è definitiva, mentre le motivazioni della sentenza sulla Eiye non sono ancora state pubblicate. A maggio del 2021 la terza sezione penale del tribunale di Torino ha assolto due presunti affiliati ai Maphite dall’accusa di associazione mafiosa, con una sentenza che critica duramente le tesi della procura. Il potere d’intimidazione di Maphite, scrivono i giudici, graviterebbe intorno a una vendetta non eseguita per il furto di una bicicletta: “Una vicenda insignificante scaturita da un piccolo sopruso, proseguita con due settimane di chiacchiere e che alla fine si è spenta senza alcun gesto eclatante che sia dimostrativo di potere mafioso”.
La sentenza sottolinea il rischio definito dalla cassazione di “‘bagatellizzazione’ del reato di associazione di tipo mafioso”: la “riduzione di scala” delle associazioni punibili con il 416 bis, a fronte di un continuo aumento delle pene, che sono arrivate a triplicare quelle originariamente previste dalla legge del 1982. Lo scorso luglio la corte d’appello di Torino ha ribaltato l’assoluzione con una sentenza di cui si attendono le motivazioni. ◆ Lorenzo D’Agostino
Un falso evidente
Da anni ormai la bibbia verde è usata come una clava contro i presunti affiliati delle gang, spingendoli ad accettare il giudizio abbreviato. “È una questione di pregiudizio”, spiega Cinzia Pecoraro, avvocata palermitana che ha difeso molti cittadini nigeriani accusati di reati di tipo mafioso. “C’è un pregiudizio creato dall’opinione pubblica e dai mezzi d’informazione”. Pecoraro fa l’esempio del caso che ha coinvolto Austine Johnbull, il primo immigrato nigeriano e componente di una confraternita a diventare informatore della polizia. Poche settimane prima che Omoregie cominciasse a fare i nomi dei presunti affiliati alla Maphite, Johnbull aveva denunciato i suoi compagni della confraternita Black axe, portando alla condanna di quattordici persone attraverso il giudizio abbreviato. Tuttavia, i cinque accusati che hanno scelto il rito ordinario sono stati assolti, anche perché la testimonianza di Johnbull è risultata poco credibile.
A marzo di quest’anno il giudice che ha assolto un presunto affiliato alla Black axe a Palermo ha scritto nella sentenza che, almeno in Italia, “l’esistenza di un’organizzazione mafiosa chiamata Black axe può essere esclusa”. Molti nigeriani accusati di far parte dei maphite non hanno avuto la stessa fortuna.
Il personale della Dia aveva arrestato Edogiawerie più di un anno prima della pubblicazione della bibbia verde, sulla base delle dichiarazioni di Omoregie, secondo cui il connazionale era coinvolto nel traffico di armi e droga. Alla fine i magistrati hanno ritirato tutte le accuse fatta eccezione per l’associazione a delinquere, ma la comparsa della bibbia verde è stata sufficiente a convincere Edogiawerie che fosse meglio accettare il giudizio abbreviato. Alla fine del 2018 Edogiawerie è stato condannato per associazione mafiosa. Oggi sostiene che non aveva capito cosa stava accettando dicendo sì al giudizio abbreviato, e nega di essere mai stato coinvolto in attività mafiose. Come capo della Green circuit association, spiega, gestiva un’organizzazione benefica di cui facevano parte figure importanti della società. “Ci sono medici e avvocati. L’uomo che ha aiutato mia moglie a ottenere un permesso di soggiorno nel Regno Unito aveva fatto parte dell’associazione”. Oggi Edogiawerie è tornato a manovrare il muletto a Voghera, in Lombardia, dove ha scontato la sua pena. Secondo lui la bibbia verde è un falso evidente.
Osemwegie, un funzionario che in Nigeria si occupa di arte, cultura e turismo, e di questioni legate alla diaspora, e che aveva sponsorizzato la nomina di Edogiawerie a presidente della Green circuit association in Italia, è della stessa opinione. Alla fine del 2019 Osemwegie è stato arrestato con l’accusa di associazione mafiosa mentre era in visita ufficiale ad Amsterdam, nei Paesi Bassi, e nell’estate 2020 è stato estradato in Italia. Dopo aver scelto il rito ordinario, che dà più spazio alla difesa, nel gennaio del 2021 da una località segreta ha assistito alla testimonianza di Omoregie, trasmessa in video al tribunale di Torino durante il lockdown. Nelle immagini il testimone appare confuso, come dimostrano le trascrizioni. A un certo punto l’avvocato della difesa gli chiede se ha mai visto l’accusato nell’atto di commettere un crimine. Omoregie risponde di no, prima di aggiungere spontaneamente di non aver mai saputo che i componenti della Maphite fossero una mafia, fino a quando gliel’ha spiegato la polizia. Durante il controesame, Omoregie evita più volte di rispondere alle domande e cerca di cambiare argomento. Tanto che a un certo punto il pubblico ministero gli chiede di smettere di parlare.
Osemwegie è stato assolto e da allora porta avanti una campagna internazionale per attirare l’attenzione sugli errori giudiziari nei processi contro la confraternite. Ma il 30 giugno di quest’anno la corte d’appello di Torino ha ribaltato la sentenza di assoluzione in primo grado, condannandolo a più di dieci anni di carcere.
In Italia i magistrati basano ancora interi processi sul testo della bibbia verde. Per le persone accusate, la difesa migliore rimane la scelta del rito ordinario, spiega Pecoraro. Secondo l’avvocata per nessun motivo un imputato dovrebbe scegliere il rito abbreviato: “È come salire sulla ghigliottina con le proprie gambe”. ◆ as
Zach Campbell è un giornalista statunitense. Collabora con The Intercept, Atavist Magazine e The Guardian. Lorenzo D’Agostino è un giornalista italiano. Collabora con Foreign Policy, The Intercept, Libération.
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Questo articolo è uscito sul numero 1528 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati