Perché abbiamo bisogno di un padre
Un brano da Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre di Luigi Zoja.
Nella ricerca, il figlio vuole diverse cose. Cercare il padre. Cercare di conoscerlo da dentro, mentre prima lo conosceva da fuori. Cercare di conoscere il “padre” che ha dentro: diventare adulto. Nella forma più semplice, questo cercare è un viaggio del figlio.
Dal momento in cui Telemaco invade i primi canti dell’Odissea inseguendo Ulisse, la ricerca del padre diviene un tema centrale nella letteratura dell’Occidente.
Anche l’articolo 30 della Costituzione della Repubblica Italiana – nata dal crollo del fascismo – proclama: “La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.”
La ricerca del padre, che ci è familiare come tema mitico, ci sorprende nelle pagine di una legge moderna. Evidentemente, il mito si diverte a mostrare il suo volto eterno in formule stagionali. In tutte le epoche, malgrado gli sforzi dei legislatori già dai tempi di Roma, enorme è stato il numero dei bambini abbandonati dai genitori.
Per privilegi tradizionali, per il minore coinvolgimento fisico e, in fondo, per inciviltà, l’abbandono è infinitamente più frequente da parte del maschio (per il quale intenzionalmente non usiamo la parola padre). Noi sappiamo che la ricerca del padre non risponde solo a una necessità materiale, ma anche a un universale bisogno psicologico.
Ognuno, come Telemaco, vuole conoscere di chi è figlio. Prima o poi, i bambini adottati cercano di conoscere i propri genitori naturali, anche quando quelli adottivi hanno dato loro tutto. Se la legge non si interessa a entrambi i genitori ma solo al padre, è perché può sparire senza essere identificato. Le leggi si occupano di rimediare a un’ingiustizia materiale, non di rispondere a una necessità psicologica. Ma per noi, le norme moderne sulla ricerca del padre sono anche simboliche. Queste leggi vogliono rintracciare un genitore che non c’è più. E il padre, a differenza di un tempo, oggi è spesso psicologicamente assente anche quando è conosciuto. Le regole giuridiche, dunque, sono per noi soprattutto il simbolo di una mancanza più generale, che rende ansiosi i tempi in cui viviamo.
Il fatto che un uomo che ha fatto nascere un figlio possa sottrarsi al fargli da padre è fra i più frequenti e tremendi crimini di ogni tempo. Tremendo perché azione contro giustizia di ben altra portata, per esempio, del furto: al furto si è già rimediato quando l’oggetto rubato o uno equivalente è di nuovo in nostre mani; l’assenza di padre ha conseguenze per tutta la vita, e addirittura per la generazione successiva.
Il progresso della tecnica ha permesso in questo campo, senza rumore, una delle più grandi rivoluzioni di ogni tempo: oggi, con un semplice prelievo di sangue e l’analisi del DNA, la paternità può essere ricostruita con certezza. L’abbandono paterno di milioni di figli in ogni angolo dell’Occidente civile è un’ingiustizia diversa ma non inferiore a quella patita dagli schiavi in America o dai servi della gleba in Russia: è straordinario, dunque, che questa ingiustizia sia sconfitta da un semplice esame di laboratorio, senza i fiumi di sangue della guerra di secessione, senza massacri tra Armate Rosse e Bianche.
La tecnica può rovesciare d’improvviso, per sempre, situazioni antichissime. Sconvolge la nostra psicologia che non ha avuto il tempo di adeguarsi, perché la novità opera di colpo nell’antica situazione culturale. Se riduciamo ai minimi termini un percorso complesso, il maschio era da sempre abituato a scegliere se avere rapporti sessuali e con quali precauzioni. Poi, nel caso di una gravidanza, a scegliere se riconoscere o meno il figlio.
A differenza della donna, poteva anche considerare le due cose come indipendenti. In un certo senso, tutta la società patriarcale si basava in origine su questa mancanza di costrizione, che differenziava il padre dalla madre e dava il vero contenuto al suo rapporto con il figlio: si basava sul potere di scelta attribuito al maschio. Questo, se esercitato positivamente, lo trasformava in un padre; se negativamente, in un essere tornato alla pratica animale. Oggi, almeno come principio dettato dalla legge del mio paese, questa “soglia di reversibilità” del generare si è spostata.
Il limite entro il quale si può ancora scegliere si è addirittura rovesciato a favore della donna. La madre può rendere reversibile la propria maternità con l’interruzione di gravidanza o anche dopo la nascita del bambino, dichiarando di non voler essere nominata come tale e destinandolo all’adozione. Invece, a partire dall’attimo che segue un rapporto sessuale fecondo, il maschio non ha più possibilità di sottrarsi a una “ricerca di paternità” per il resto della vita. Il figlio può puntare il dito sul presunto padre e trascinarlo in tribunale a qualunque età. Infatti questo diritto a identificare il padre e avanzare richieste economiche non cessa mai: a differenza persino dell’omicidio, che non viene più punito una volta superati i limiti di prescrizione temporale.
In un paese come l’Italia, in cui la mentalità di massa è ancora poco mobilmente maschilista, gli uomini sono psicologicamente impreparati ad affrontare questa rivoluzione. All’interno di una critica al padre che è in atto da tempo, i nuovi test che consentono l’identificazione della paternità possono generare nei maschi un sentimento paranoico di persecuzione: anche se il problema dell’identificazione della paternità è antico come il mondo e la nuova tecnica lo ha solo semplificato. Se i maschi si sentono perseguitati è, ancora una volta, per un malinteso letteralista. La novità tecnica, in sé, porta solo chiarezza. Ma la tecnica da sola è unilaterale.
La ricerca del padre è ben altro che la sua identificazione fisica. È un mito immenso che non trova più il linguaggio dei miti. Che, attraverso il codice civile e la genetica, si sforza di sopravvivere nei “miti” ancora accettati: quello della legge laica, quello della scienza laica. Il singolo padre è impotente di fronte alla scomparsa di un mito eterno, e questa oscura consapevolezza lo getta nella costernazione. Ancora una volta osserviamo che il materialismo, prevalente nel pensiero razionale della società in cui viviamo, può portare troppo lontano dal pensiero simbolico, che nella psicologia vera e propria resta il centro di gravità.
La ricerca non può essere solo un problema giuridico, statistico ed economico: trovato il padre che si nascondeva, si può costringerlo a dare al figlio un’assistenza economica, non la benedizione paterna di cui il figlio ha ugualmente bisogno. La ricerca non è solo un problema individuale: è un tormento di tutta la società, che cerca di far prevalere i padri sui maschi del branco. In questa lotta, la civiltà stessa rimane in pericolo: oggi non solo quella vittoria è lontana, ma la regressione verso il maschio senza responsabilità sembra aver raggiunto aspetti mai visti.
Siamo convinti che il viaggio verso il padre, la ricerca di lui da parte del figlio, sia determinante nell’identità di tutti e due, per un motivo molto semplice. Se il padre, attraverso la cultura in cui è immerso, sente che la paternità è un atto intenzionale, allora anche il figlio deve apprendere per le stesse vie qualcosa di corrispondente. Se per essere padre non basta aver generato fisicamente ma è necessario adottare comunque il figlio, anche a questo non basta essere stato generato: deve, seppure più indirettamente e ancora più inconsciamente del padre, esprimere di averlo voluto per genitore.
Il padre quindi viene ricercato non solo perché, a differenza della madre, è frequente che sia lontano, per guerra o per lavoro, per un periodo o stabilmente. Se il figlio adottato prima o poi cerca la madre naturale, il padre un giorno sarà invece cercato anche dal figlio vero e proprio, che deve quasi fare l’opposto. Un figlio dotato di sensibilità avverte che padre è chi lo ha scelto: il padre è sempre culturale, dunque quello naturale non gli basta. Deve comunque “cercare” il genitore: e, anche se così troverà di nuovo quello biologico, ricambiarlo scegliendolo a sua volta.
Altrimenti, si dirigerà verso una figura paterna iniziatica, verso un mentore che la sua storia gli assegna. Dal punto di vista dei simboli, comunque, il bisogno che ha portato alla ricerca è lo stesso. L’assenza di padre è nota da sempre, e in questo senso anche la nostra epoca non fa eccezione. Nuova, e forse ancora più grave, sarebbe l’assenza di ricerca del padre.