Il governo brasiliano ha violato la costituzione e il diritto internazionale per costruire alcune centrali idroelettriche nella regione amazzonica. Sono le critiche mosse da un leader indigeno locale, invitato a partecipare oggi alla 29° sessione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, che punta il dito contro la diga di Belo Monte e quella che dovrebbe sorgere sul fiume Tapajós.
Ademir Kaba Munduruku ha accusato il governo di non aver consultato le comunità indigene che vivono nella foresta amazzonica prima di avviare la costruzione della diga di Belo Monte, la terza più grande al mondo dopo quella cinese delle Tre gole e quella di Taipu, al confine tra Brasile e Paraguay. L’infrastruttura, che dovrebbe essere completata entro il 2019, sorge sul fiume Xingu, nella regione di Altamira dello stato di Parà, nel nord del Brasile.
La consultazione dei gruppi indigeni non è prevista solo dalla Costituzione del paese, ma anche dalla Convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro e dalla Dichiarazioni dei diritti dei popoli indigeni delle Nazioni Unite, controfirmata dal Brasile. Per questo, ha sottolineato Munduruku, l’esecutivo dovrebbe discutere con le comunità locali anche dei piani per la costruzione di un’altra diga sul fiume Tapajós. “Solo dopo aver parlato con i rappresentanti di tutti i 126 villaggi che si trovano lungo il fiume Tapajós, il governo potrà prendere una decisione”, ha detto. I Munduruku rappresentano la comunità indigena più numerosa a risiedere nel bacino di questo fiume, dove vivono circa tredicimila persone.
Nonostante le proteste, i lavori di completamento della diga di Belo Monte sono andati avanti: ormai la struttura è al 77 per cento e l’impianto dovrebbe cominciare a generare elettricità entro novembre 2015. A regime, dovrebbe produrre circa undicimila megawatt di energia ed essere così in grado di soddisfare il fabbisogno di 60 milioni di persone, ha sottolineato Norte Energia, il consorzio di imprese statali e fondi pensionistici responsabile del cantiere. Il costo stimato della diga è di 14,4 miliardi di dollari. I finanziamenti arrivano principalmente dall’istituto di credito brasiliano O banco nacional do desenvolvimento, una delle banche di sviluppo più grandi al mondo: il suo portafoglio di investimenti è più grande di quello della Banca di sviluppo interamericano e della Banca mondiale messi assieme.
Le ragioni del governo. La compagnia statale Empresa de Pesquisa Energética ha calcolato che il Brasile necessita di almeno 6.350 megawatt di energia in più all’anno fino al 2022, da aggiungere ai 121.000 megawatt che già produce. Un team di esperti ha valutato tutte le opzioni possibili per raggiungere questo traguardo: dallo sfruttamento dei giacimenti offshore di petrolio e gas all’impiego di fonti energetiche alternative, come quella solare ed eolica, passando per l’utilizzo del suo potenziale idroelettrico. Sulla base di criteri di economicità, rinnovabilità e tecnologia disponibile, l’esecutivo brasiliano ha deciso di coprire il suo fabbisogno con l’energia idroelettrica per il 50 per cento, per il 30 per cento con vento e biomasse, e con idrocarburi per il restante 20 per cento.
Il Brasile genera circa il 70 per cento della sua elettricità con le centrali idroelettriche. Tuttavia, i due terzi del suo potenziale idroelettrico non sono attualmente sfruttati: si tratta di 180.000 megawatt di energia, 80.000 dei quali si trova nelle aree protette del paese, dove risiedono le comunità autoctone. La Norte Energia ha chiarito di aver già consultato i popoli indigeni: tra il 2007 e il 2010 ci sono stati quattro dibattiti pubblici, 12 riunioni con i rappresenti locali e 30 visite nei villaggi. Inoltre, il consorzio si è impegnato a compensare l’intera regione con 88 milioni di real all’anno (pari a oltre 25 milioni di euro).
Le ragioni dei contrari. Le associazioni ambientaliste e alcune comunità indigene hanno cercato di ostacolare la costruzione della diga. L’organizzazione ecologista Amazon Watch spiega che il complesso sarà in grado di deviare l’80 per cento del corso del fiume Xingu, devastando un’area di 1.500 chilometri quadrati di foresta pluviale brasiliana e causando lo sfollamento di oltre 40.000 persone. Inoltre, l’enorme cantiere ha attirato migliaia di lavoratori e migranti, cambiando il volto di una regione incontaminata: la prostituzione e la criminalità sono dilagate nell’intera zona, e le comunità locali si sono divise e sono entrate in conflitto tra loro. Gli attivisti sottolineano anche i danni provocati all’ambiente: l’acqua del fiume è stata inquinata, mettendo a rischio la biodiversità dell’ecosistema e la stessa alimentazione dei popoli indigeni.
Inoltre, in molti dubitano dell’effettiva utilità del progetto. I critici sostengono che la diga di Belo Monte riuscirà a produrre gli undicimila megawatt di energia attesa solo nei periodi di piena del fiume Xingu. Tuttavia, la stagione delle piogge in Amazzonia dura solo 4 mesi, da febbraio a maggio. Per il resto dell’anno, la diga potrà generare al massimo cinquemila megawatt di elettricità, circa il 40 per cento in meno del suo potenziale.
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