Il divieto di donare gli embrioni alla ricerca non viola i diritti umani, dichiara la corte di Strasburgo
La corte europea dei diritti umani, con una sentenza definitiva, ha respinto la richiesta di donazione di embrioni ottenuti da fecondazione in vitro ai fini della ricerca scientifica. La domanda era stata presentata da Adele Parrillo, vedova di Stefano Rolla, un civile rimasto ucciso nell’attentato del 2003 a Nassiriya, in Iraq.
Parrillo aveva rinunciato all’impianto degli embrioni dopo la morte del compagno, ma li voleva donare alla ricerca. Questa pratica è vietata dalla legge 40/2004 sulla procreazione assistita in vigore in Italia, così nel 2011 la donna si era rivolta alla corte di Strasburgo.
I giudici hanno stabilito il divieto di donare embrioni alla ricerca, previsto dalla legge italiana, è legittimo. “La corte, che è stata chiamata per la prima volta a pronunciarsi su questo problema”, si legge in una nota, aveva giudicato ricevibile l’ipotesi di violazione dell’articolo 8 perché “gli embrioni in questione contenevano materiale genetico della signora Parrillo e di conseguenza rappresentano un elemento fondamentale della sua identità”. Il fatto stesso che la corte abbia accettato per la prima volta il principio che la sorte di un embrione riguardi la vita privata di una persona apre nuove possibilità di ricorsi in futuro.
La richiesta di Parrillo è stata rifiutata perché nel caso specifico, secondo i giudici, il divieto opposto alla donna è “necessario in una società democratica” in assenza di prove che il compagno fosse d’accordo con la donazione degli embrioni.
Gli stessi magistrati hanno ritenuto che il diritto alla proprietà invocato dalla Parrillo non può applicarsi a questo caso, dato che gli embrioni umani non possono essere ridotti a una proprietà come definita dall’articolo 1 protocollo 1 della convenzione europea dei diritti umani. Sul ricorso dovrà ora pronunciarsi la corte costituzionale.