Questa formula matematica mostra che non è un caso se nelle conferenze parlano poche donne
Le lista di relatori composte da soli uomini sono così comuni che addirittura un blog di Tumblr prende in giro la cosa (usando perfino un meme di David Hasselhoff). Queste formazioni al maschile sono così onnipresenti da far sentire impotente anche la persona più informata e forse anche convincerla che non esistono alternative.
Se è il vostro caso, c’è qualcuno pronto ad aiutarvi. Il matematico Greg Martin ha elaborato un’ingegnosa analisi di probabilità statistica che perfino i dilettanti possono (almeno in parte) capire. Partendo dall’assunto “al ribasso” che, nell’ultimo quarto di secolo, il 24 per cento dei dottorati in matematica sia stato conseguito da donne, conclude che è decisamente improbabile che un gruppo di relatori formato da una donna e diciannove uomini sia dovuto a una scelta casuale.
La sua spiegazione della formula, nella quale si parla di biglie e di un coinquilino che forse ha qualcosa da nascondere, è disponibile qui. La scarsa presenza di donne negli elenchi dei relatori non è dovuta al caso, come invece sostengono molti organizzatori di conferenze.
Se si fanno i conti, come ha fatto Martin, l’idea che i relatori siano scelti senza preconcetti non sta in piedi. Anzi, in base alla sua formula per analizzare l’elenco dei relatori di una conferenza di matematica – nella quale erano presenti solo una donna e diciannove uomini – ha scoperto che per le donne le probabilità di essere sovrarappresentate nella lista dei relatori dovrebbero essere diciotto volte più alte di quelle di essere sottorappresentate.
Una conferenza senza alcuna relatrice rientra in un sistema che discrimina le persone
La formula può essere applicata anche ad altri settori: servono solo dei dati affidabili sulla distribuzione di genere all’interno del settore preso in esame.
Ne ho discusso con Martin, per capire se riuscirà a convincere chi organizza conferenze a smettere di accampare scuse sull’assenza di relatrici.
Cosa ti ha spinto a calcolare quale dovrebbe essere statisticamente la presenza delle relatrici alle conferenze ?
Mi piacerebbe dire che è stata una mia idea, ma non è così. In realtà mi sono imbattuto in rete nel calcolatore della diversità dei partecipanti alle conferenze. L’autore, Aanand Prasad, dice di essersi a sua volta ispirato ad alcuni commenti di Dave Wilkinson e Paul Battley.
Tra l’altro, seguendo i link di Prasad a quei commenti sono capitato su queste due pagine web (questa e questa): analizzano le conferenze tecnologiche che, negli ultimi tre anni, sono state criticate per aver invitato quasi solo uomini. Leggere i commenti ti fa capire che le persone si mettono sulla difensiva e diventano sprezzanti quando si sottolinea la disparità di genere. È triste dirlo, ma c’è ancora molta strada da fare.
Se ho capito bene le tue conclusioni, le probabilità di non avere alcuna relatrice in una conferenza di matematica statisticamente dovrebbero essere prossime allo zero.
Se gli ospiti di una conferenza fossero scelti da un sistema di calcolo che non fa distinzioni di genere (cioè, per il quale il genere non è un fattore rilevante), le probabilità di non avere nessuna donna nelle conferenze con più di dieci relatori sarebbero estremamente basse: meno del 5 per cento.
Dunque, possiamo concludere che una conferenza senza alcuna relatrice rientra in un sistema che discrimina le persone in base al genere.
E allora perché così tanti incontri di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica (Stem) hanno così poche relatrici?
Ci sono molte ragioni per le quali un evento Stem può avere un numero insignificante relatrici. Oggi è raro che la misoginia e il sessismo siano palesi (almeno spero!), anche se a volte succede.
È molto più frequente, credo, il pregiudizio secondo cui le donne non possono eccellere nelle scienze e in matematica. Questi preconcetti alterano la nostra percezione della presenza delle donne nella scienza, e per questo le consideriamo meno brave di uomini che hanno lo stesso curriculum. Questa ingiusta (per quanto involontaria) valutazione delle donne da parte degli organizzatori delle conferenze, insieme alla tendenza di usare degli stereotipi (per esempio, i matematici sono maschi) li spinge a mettere insieme delle liste di ospiti dove si trova una percentuale di uomini sproporzionata.
Se non proviamo a osservare le differenze di genere nelle conferenze, questi preconcetti non ci faranno nemmeno accorgere del fatto che la presenza delle relatrici è troppo bassa per essere il risultato di una dinamica equa. E così l’ingiustizia continua a perpetuarsi.
Nel mondo della tecnologia c’è un’adesione quasi evangelica alla religione della meritocrazia, nonostante esistano molti studi che dimostrano che abbiamo tutti dei preconcetti inconsci, e che quindi lo stesso vale per le strutture e i processi che creiamo (come le offerte di lavoro, i programmi universitari e l’invito dei relatori). Lo stesso accade anche tra i matematici? Cosa diresti a quegli organizzatori di eventi che sostengono di scegliere semplicemente le menti migliori e non di affidarsi a una scelta casuale?
L’idea di meritocrazia è profondamente radicata negli ambienti della cultura matematica. Sia perché è la condizione verso cui desidera tendere la nostra disciplina, sia perché è anche la condizione pratica della nostra disciplina. Sfortunatamente, come mostrano gli studi sui preconcetti impliciti, la verità è che non siamo così bravi a valutare equamente il successo delle persone senza pregiudizi culturali legati all’identità di genere (o all’origine etnica, all’età o all’appartenenza a un gruppo).
Quando si vuole rispondere all’organizzatore di un evento che, a causa del merito, è contrario al fatto di prendere in considerazione il genere, è importante sottolineare l’assunto che sta dietro al ragionamento: si pensa che l’attuale sistema sia meritocratico nella pratica, e che gli sforzi d’introdurre la variabile del genere nel processo decisionale rappresenti inevitabilmente un’iniezione d’ingiustizia.
Per questo è importante sostenere che il sistema attuale è difettoso, e che gli sforzi d’introdurre la variabile del genere nei processi decisionali sarebbero sforzi per rendere meno ingiusta la situazione e avvicinare la realtà alla meritocrazia teorica che tutti desideriamo.
Una delle affermazioni più convincenti della tua analisi è che, se le liste dei relatori fossero davvero compilate senza pregiudizi, sarebbe 18 volte più probabile assistere a una sovrarappresentazione delle relatrici donne, invece che a una loro sottorappresentazione. Hai mai visto una lista di oratori molto squilibrata in favore delle donne?
Non mi ricordo di aver mai assistito a niente di simile, vale a dire una conferenza dove più di un terzo, diciamo, dei partecipanti fossero donne, e ancora meno una in cui fossero più della metà.
Gli incontri della American mathematical society e della Mathematical association of America tendono ad avere una percentuale discretamente alta di relatrici, tra il 25 e il 30 per cento. Tuttavia, esistono delle stratificazioni interne: più una sessione o la posizione dell’oratore sono prestigiose, e più sono legate alla ricerca matematica pura, più bassa risulta essere la percentuale di relatrici.
Esiste anche uno stretto legame tra la distribuzione di genere degli oratori di una sessione e la presenza di una o più donne nel suo comitato organizzativo: in tali sessioni la presenza di donne è in media quasi il doppio.
È quindi importante che ci rendiamo conto che i pregiudizi non influenzano solo il semplice numero dei relatori, ma anche il modo in cui li selezioniamo per affidargli ruoli di primo piano o secondari.
Come speri che le persone useranno la tua formula di probabilità statistica?
Personalmente, credo che questo tipo di calcoli abbia un’efficacia limitata sul piano pratico. Passare da una situazione di vita reale a un modello di probabilità è un processo imperfetto e le persone possono criticarne i dettagli, al punto che il messaggio principale finisce per essere messo in ombra.
Tuttavia, quando delle persone si oppongono sia all’idea che esista la disuguaglianza di genere sia alle statistiche che lo dimostrano, è chiaro che si stanno scavando la fossa da sole. Mi piace l’idea di usare questo strumento probabilistico in risposta ad affermazioni tipo : “Ah be’, se stai cercando di dire che la probabilità è il modo giusto per esaminare la situazione, dimostramelo…”.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su Quartz. Clicca qui per vedere l’originale. © 2015. Tutti i diritti riservati. Distribuito da Tribune Content Agency
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