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La prima presidente del Nepal e la sua lotta per i diritti delle donne

La presidente nepalese Bidhya Devi Bhandari esce dal parlamento subito dopo la sua elezione, a Kathmandu, il 28 ottobre 2015. (Navesh Chitrakar, Reuters/Contrasto)

Quando era solo una bambina, nel suo sperduto villaggio del Nepal orientale, Bidhya Devi Bhandari vide una folla inferocita picchiare e torturare un’anziana donna accusata di essere una strega. La scena terrorizzò Bhandari, ma contribuì a spingerla all’impegno politico e alla lotta per i diritti delle donne in un paese povero, in cui atteggiamenti patriarcali profondamente radicati alimentavano la diffusione di abusi e discriminazioni.

Quasi cinquant’anni dopo, Bhandari è la prima donna capo di stato del Nepal. Seduta su un divano nel palazzo presidenziale di Kathmandu, vestita con un sari e con uno scialle verde sulle spalle, si augura che la sua elezione, il 28 ottobre, aiuti le donne a raggiungere la parità di genere.

“Qui molte persone pensano ancora che le donne dovrebbero occuparsi solo di lavori domestici. E molte sono ancora maltrattate, discriminate e insultate”, ha detto alla Thomson Reuters Foundation in un’intervista.

In Nepal, le donne devono affrontare una serie di sfide. Reati come la tratta, la violenza domestica e lo stupro sono diffusi ma vengono raramente denunciati, perché le vittime hanno paura di essere colpevolizzate e ostracizzate dalla famiglia o dalla comunità. Le donne sono discriminate anche nell’accesso all’assistenza sanitaria, all’istruzione e al lavoro, così come nel riconoscimento dei loro diritti, per esempio quello alla proprietà.

La condizione delle donne può essere migliorata solo aumentando la loro presenza negli organismi decisionali e legislativi

Bhandhari, 54 anni, è una dirigente comunista che ha lottato a lungo per i diritti delle donne. Ha conquistato le prime pagine alla fine di ottobre, quando il parlamento l’ha eletta seconda presidente del Nepal, dopo sette anni dall’abolizione della monarchia e dalla trasformazione del paese in una repubblica.

Ma lei, ex vicepresidente del partito di governo, il Partito comunista marxista-leninista unificato del Nepal (Cpn-Uml), nonché stretta alleata del primo ministro Khadga Prasad Oli, afferma che il suo percorso verso la presidenza, in quanto donna, non è stato facile.

Nata in una povera famiglia di contadini a Manebhangyang, un villaggio del distretto di Bhojpur, è stata attratta dalle idee della sinistra fin da giovanissima ed è entrata nel Cpn-Uml quando era una studentessa, di nascosto dalla famiglia.

“Mia madre mi diceva di restare a casa e di stare lontana dalla sinistra, perché il regime dell’epoca dava la caccia ai comunisti e li arrestava”, racconta parlando del periodo in cui il Nepal era una monarchia assoluta.

Dalla clandestinità alla presidenza

Prima dell’avvento della democrazia, Bhandari ha lavorato clandestinamente per molti anni come attivista politica ed è stata eletta in parlamento solo nel 1993, dopo che suo marito, anche lui in politica, è morto in un misterioso incidente automobilistico.

Da allora, è stata ministra dell’ambiente e della difesa, ma è nota soprattutto per il suo lavoro a favore dei diritti delle donne.

Di fatto, la norma che garantisce che un terzo dei parlamentari nepalesi sia composto da donne si deve a lei, che successivamente ha lavorato affinché, secondo la nuova costituzione, il presidente o il vicepresidente debba essere una donna.

Bhandari, che ha due figlie, afferma che il suo lavoro per rafforzare politicamente la voce delle donne nepalesi non è ancora finito, anche se il suo ruolo di presidente è soprattutto di rappresentanza.

“Credo che la condizione delle donne possa essere migliorata solo aumentando la loro presenza negli organismi decisionali e legislativi”, ha detto Bhandari.

“Ora bisogna lavorare per portare la presenza delle donne in parlamento e in tutti gli altri organismi politici almeno al 50 per cento. Dobbiamo fare in modo che le donne abbiano sempre più accesso alle attività economiche, al lavoro e all’istruzione”.

(Traduzione di Cristina Biasini)

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