Gli affari miliardari tra Egitto e Italia che fanno dimenticare i diritti umani
Il linguaggio è paludato, ma il senso è chiarissimo. “Il processo di stabilizzazione politica, che ha visto nell’elezione del presidente Abdel Fattah al Sisi il suo momento culminante, si sta riverberando positivamente sull’economia dell’Egitto”: sono le conclusioni dell’ultima “nota congiunturale”, gennaio 2016, pubblicata dalla Italian trade agency, l’ente italiano per il commercio con l’estero. Il lancio di importanti megaprogetti in terra egiziana, dice quella nota, presenta “nuove interessanti opportunità per le nostre imprese”.
“L’Egitto è un’area straordinaria di opportunità. Abbiamo fiducia nella sua leadership, nelle sue riforme macroeconomiche… in favore della prosperità e della stabilità”. Queste invece sono parole del presidente del consiglio Matteo Renzi, pronunciate nel marzo scorso a Sharm el Sheikh durante una conferenza sugli investimenti in Egitto. Quella volta Renzi ha anche lodato la “saggezza” del presidente al Sisi, che lo ascoltava in platea.
Oggi parole simili suonano imbarazzanti. A renderle surreali è il corpo di un giovane ricercatore italiano che porta i segni di “una violenza inumana, bestiale, inaccettabile”, per citare il ministro dell’interno Angelino Alfano. Dopo la scomparsa e la mortedi Giulio Regeni, tra Roma e il Cairo corrono altre parole: indignazione, indagini. “Non accetteremo verità di comodo”, dice il ministro degli esteri Paolo Gentiloni: si riferisce ai primi arresti fatti in Egitto, al tentativo di indirizzare la “verità” verso un fatto di criminalità comune. L’Italia ha mandato i suoi investigatori in Egitto, “vogliamo che i reali responsabili siano puniti”, dice il ministro.
L’Italia è stata il primo paese europeo a ricevere il generale al Sisi dopo la sua presa del potere nel luglio 2013
L’Italia dunque chiede “piena collaborazione” alle forze di sicurezza egiziane e il Cairo, forse allarmato dallo scalpore sollevato, promette cooperazione. Già: ma chi ha preso, torturato e ucciso Giulio Regeni probabilmente si trova proprio tra le forze di sicurezza egiziane. I casi di arresti illegali sono innumerevoli, “tortura e scomparse forzate, e molti detenuti morti in custodia”, secondo quanto denuncia Human rights watch. “Purtroppo Giulio è morto nello stesso modo di molti egiziani”, diceva un amico del ricercatore, durante una veglia davanti all’ambasciata italiana al Cairo.
La sorte di Giulio Regeni, torturato e ucciso al Cairo, scuoterà le solidissime relazioni tra Italia ed Egitto?
“L’Egitto è un nostro partner strategico e ha un ruolo fondamentale per la stabilizzazione della regione”, dice il ministro Gentiloni. Non c’è dubbio: l’Egitto è importante da tutti i punti di vista. È un paese di novanta milioni di abitanti, snodo tra l’Africa e il Medio Oriente – tra la Libia, la penisola arabica, Israele e la Giordania. È indispensabile nella ricerca di un qualche nuovo equilibrio in Libia (il Cairo ha mire storiche di influenza sulla regione orientale, la Cirenaica, e il generale al Sisi ha i suoi alleati da sponsorizzare). È direttamente in causa nel conflitto tra Israele e Palestina, non fosse altro che per il confine con Gaza. È alleato dell’Arabia Saudita, da cui riceve importanti aiuti finanziari e investimenti.
L’Italia è stata il primo paese europeo a ricevere il generale al Sisi dopo la sua presa del potere nel luglio 2013, e Matteo Renzi due anni fa è stato il primo capo di governo europeo a visitare l’Egitto, e poi a tornarci: una legittimazione politica. Anche l’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi incontra spesso al Sisi (l’ultima volta in novembre, prima in ottobre e in agosto). L’Ente italiano per gli idrocarburi è presente in Egitto con investimenti per quasi 14 miliardi di dollari; estrae gas dal giacimento di Nooros, nel delta del Nilo, e petrolio nel deserto occidentale.
Soprattutto, la scorsa estate l’Eni ha annunciato la scoperta di un nuovo giacimento offshore, in una zona di sua concessione nelle acque egiziane del Mediterraneo: chiamato Zhor, ha riserve stimate a 850 miliardi di metri cubi di gas, abbastanza da trasformare lo scenario energetico del paese. Le perforazioni sono cominciate questo gennaio, la produzione comincerà tra il 2018 e il 2019, il picco della produzione è atteso nel 2024. L’Eni sta discutendo con Israele e Cipro per creare un “hub del Mediterraneo orientale”.
Geopolitica e investimenti vanno insieme, dalla Cina al Regno Unito: al Cairo c’è la fila
Oltre all’Eni, circa 130 aziende italiane operano in Egitto. C’è Edison (con investimenti per due miliardi) e Banca Intesa San Paolo, che nel 2006 ha comprato Bank of Alexandria per 1,6 miliardi di dollari. Poi Italcementi, Pirelli, Italgen, Danieli Techint, Gruppo Caltagirone, e molti altri. Imprese di servizi, impiantistica, trasporti e logistica. E naturalmente il turismo (Alpitour, Valtour): anche se qui le cose vanno male dopo l’attentato a un aereo di turisti russi appena decollato da Sharm el Sheikh l’ottobre scorso.
L’Egitto fa gola. Ha lanciato grandi progetti di infrastrutture: dai porti e zone industriali lungo il canale di Suez appena raddoppiato, ai fosfati estratti nel deserto occidentale, a un nuovo triangolo industriale tra i porti di Safaga ed el Quseir sul Mar Rosso e la città di Qena sul Nilo, fino a una nuova espansione urbana e industriale sulla costa mediterranea intorno a El Alamein. Il governo egiziano conta di investirvi cento miliardi di dollari, promessi in gran parte dalle monarchie del Golfo, e le imprese di tutto il mondo sperano di partecipare alla festa. Geopolitica e investimenti vanno insieme, dalla Cina alla Russia a Francia e Regno Unito: al Cairo c’è la fila.
Fin dove arriveranno le indagini sulla morte di Giulio Regeni? Dipenderà dalla pressione da parte italiana (e non solo: il dipartimento di stato statunitense ha intenzione di sollevare il tema dei diritti umani in due incontri previsti questa settimana, riferisce il New York Times).
Un’ipotesi? Le indagini congiunte si trascineranno per qualche tempo. Se si sentiranno davvero sotto pressione, le autorità egiziane arriveranno a concedere che è stata opera di elementi “deviati”: ma anche questo è poco probabile. Nel migliore dei casi si troverà qualche “esecutore materiale”. Poi prevarrà “il comune interesse alla stabilità”. La missione di imprenditori con la ministra dello sviluppo economico Federica Guidi, interrotta bruscamente la settimana scorsa, sarà stata semplicemente rinviata di qualche settimana, forse mesi. Ricercatori o giornalisti free lance sono avvertiti, meglio non toccare temi “sensibili”.