Il Giappone al voto per rinnovare la camera alta
In Giappone si svolgono oggi le elezioni per rinnovare metà della camera alta (121 seggi). Si tratta del ramo del parlamento con meno poteri, ma il voto potrebbe comunque avere importanti conseguenze sul governo di Shinzō Abe, che cerca di confermare nelle urne il recupero di consenso seguito alla visita del presidente statunitense Barack Obama a Hiroshima e alla posticipazione dell’aumento dell’iva, misura fortemente impopolare.
Nelle elezioni di oggi è importante vedere se il partito di governo guidato da Abe e il suo alleato di minoranza Komeitō riusciranno a conquistare i due terzi della camera alta. Questa maggioranza, che già detengono nella camera bassa, è necessaria in entrambi i rami del parlamento per proporre una riforma della costituzione e poi sottoporla a referendum. Da tempo Abe si propone di cambiare l’articolo imposto alla fine della seconda guerra mondiale che stabilisce che il Giappone è un paese pacifista e che rinuncia ad avere un esercito. Potrà farlo solo se oggi ottiene almeno 78 dei 121 senatori in palio: arriverebbe così a controllare 162 seggi, due terzi dell’aula appunto. La parola passerebbe poi ai cittadini e la maggioranza di loro sembra contraria alla linea di Abe.
Anche se da anni è l’obiettivo più agognato da Abe, la revisione della costituzione è menzionata solo nell’ultima pagina del programma elettorale del partito di governo. In questa campagna Abe e i suoi hanno cercato di concentrare l’attenzione pubblica sulle riforme economiche che l’esecutivo sta attuando e che, secondo loro, stanno portando il paese fuori dalla deflazione. L’opposizione, composta da otto partiti piuttosto distanti tra loro, sostiene invece che la cosiddetta “abenomics” non sia riuscita a migliorare la vita delle persone e critica preoccupata l’insistenza con cui Abe si dedica piuttosto alle politiche di sicurezza e al rafforzamento militare del paese.
Quello del 9 luglio è il primo voto a livello nazionale dopo che l’età per andare alle urne è stata abbassata dai 20 ai 18 anni, per incoraggiare la partecipazione dei più giovani, altrimenti molto bassa, in un paese in rapido invecchiamento. Da oggi si aggiungono ai censi elettorali 2,4 milioni di giovani, circa il 2 per cento dell’elettorato.