L’ultimo atto di Pablo Escobar nella seconda stagione di Narcos
Il 2 settembre è uscita su Netflix la seconda stagione di Narcos. La serie è stata creata e prodotta da Chris Brancato, già sceneggiatore di X-Files e Law&order, Carlo Bernard e Doug Miro. La prima stagione era stata pubblicata il 28 agosto 2015, con i primi due episodi diretti dal brasiliano José Padilha, regista del film Tropa de elite.
Narcos racconta la vita di Pablo Escobar, il potente narcotrafficante colombiano che negli anni settanta ha creato il cartello di Medellín, gestendo gran parte dello spaccio di cocaina diretto verso Messico, Stati Uniti, Portorico, Venezuela, Repubblica Dominicana e Spagna. Escobar è interpretato dall’attore brasiliano Wagner Moura.
La serie si sofferma sul modo in cui Escobar ha influenzato la storia del suo paese, come attraverso l’uso della violenza e della corruzione ha inquinato la politica e la società.
Il racconto è narrato dal punto di vista di Steve Murphy (Boyd Holbrook), un agente della Drug enforcement administration (Dea) che si è trasferito in America Latina insieme alla moglie Connie per combattere il narcotraffico. Al suo fianco c’è l’agente Javier Peña (Pedro Pascal, l’Oberyn Martell di Game of thrones), anche lui della Dea.
La storia di Narcos comincia dalla fondazione dell’impero criminale di Escobar. Nato a Rionegro, figlio di un agricoltore di una maestra elementare, Escobar è il terzo di sette fratelli e di umili origini, ma comincia a fare fortuna.
Nel 1975 comincia a spacciare cocaina insieme al suo braccio destro Tiago Ribeira e piano piano forma il cartello di Medellín, alleandosi con i fratelli Ochoa e altri criminali.
Più cresce la sua ricchezza, più aumenta il suo potere e il cartello di Medellín diventa una specie di stato nello stato. Dopo aver consolidato la sua leadership nel mondo del crimine, Escobar comincia a comportarsi come una specie di benefattore, regalando soldi ai poveri. Entra in politica e sogna di diventare il presidente della Colombia.
La prima stagione di Narcos si svolge in un arco temporale abbastanza lungo (15 anni), mentre la seconda è racchiusa in 18 mesi e si conclude con la morte di Pablo Escobar.
Il Robin Hood della droga
La prima stagione diNarcos è piaciuta alla maggior parte della critica internazionale per lo stile accurato, crudo ma mai troppo violento con cui affronta una figura realmente esistita e ingombrante come quella di Pablo Escobar.
“Non ci sono dubbi sul fatto che Escobar sia un cattivo, ma è anche considerato un Robin Hood colombiano per la sua generosità nei confronti dei poveri”, scrive David Wiegand sul San Francisco Chronicle. “È spietato nei confronti dei suoi nemici, ordina omicidi senza esitazione ma rimane profondamente turbato quando uno dei suoi alleati, José Rodríguez Gacha, uccide un cane. Di solito tutte le performance degli attori sono pari alla bontà della sceneggiatura, ma Wagner Moura è particolarmente convincente nel rappresentare le contraddizioni di Escobar e accrescere la sua aura imprevedibile e minacciosa”.
Matthew Gilbert sul Boston Globe ha paragonato Narcos a The wire, la serie tv della Hbo sullo spaccio di droga a Baltimora. “Tutte le serie tv sul crimine devono confrontarsi con I Soprano e The wire. I Soprano scavano dentro gli individui, le loro relazioni e la loro psicologia nascosta. The wire è più articolato, è costruito su una serie di ritratti sociologici e i suoi personaggi fanno parte di un grande sistema disfunzionale (…). Quindi cos’è Narcos? È sicuramente una serie simile a The wire, perché offre uno sguardo ad ampio respiro su come il consumo di cocaina e Pablo Escobar siano saliti alla ribalta e la Dea abbia cercato di fermare entrambi”.
La storia raccontata dai vincitori
Positivo anche il parere di Kyle Mullin su Paste Magazine. “A differenza di altre serie drammatiche, in Narcos il sangue e la violenza sono funzionali alla storia e non soccombono alla gratuità tipica della tv via cavo. Anche se le sequenze d’azione funzionano, le migliori sono quelle costruite sui dialoghi. In una delle scene iniziali, Escobar viene fermato dalla polizia ma non c’è nessuna sparatoria. Invece la situazione si evolve con una tensione crescente, mentre il trafficante fa ai poliziotti domande sempre più insistenti sulla loro famiglia. Il suo monologo seguente, nel quale dichiara ‘Io sono Pablo Escobar, i miei occhi sono ovunque’ evoca la scena di Breaking bad in cui Walter White esclama: ‘Dì il mio nome’.
Narcos non è piaciuto a tutti. Diversi mezzi d’informazione l’hanno criticato soprattutto per un motivo: la scelta di raccontare la storia dal punto di vista di Steve Murphy, un personaggio realmente esistito che tra l’altro ha fatto anche da consulente agli sceneggiatori.
Luis Reséndiz, critico del mensile messicano Letras Libres, scrive: “Pur raccontando un fatto storico colombiano, Narcos si sforza di rappresentare l’America come la polizia del mondo. Se confrontiamo Murphy con il capitano Nascimento di Tropa de elite, lo troveremo blando, noioso eppure così irreprensibile. Narcos è alla ricerca di un eroe, ma non lo trova nella polizia o nell’esercito colombiano, ma in un poliziotto bianco statunitense”.
La colonna sonora
La canzone che si sente nella sigla iniziale, intitolata Tuyo, è stata composta dal cantante brasiliano Rodrigo Amarante. Amarante è uno dei membri dei Little Joy, la band della quale fa parte anche il batterista degli Strokes, Fabrizio Moretti.
La colonna sonora originale è stata composta da un altro brasiliano, Pedro Bromfman, già al lavoro sulle musiche di Tropa de Elite. Nelle puntate di Narcos si ascoltano diverse canzoni di musicisti colombiani, come El preso di Fruko Y Sus Tesos, La pelea con el diablo di Octavio Mesa e Las velas encendidas della band La Sonora Dinamita. L’elenco completo dei brani presenti nella serie si può consultare qui.