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La Giordania al voto si prepara al ritorno dei Fratelli musulmani

Alcuni candidati del partito Fronte di azione islamica durante la campagna elettorale ad Amman, in Giordania, il 2 settembre 2016. (Muhammad Hamed, Reuters/Contrasto)

Il 20 settembre più di quattro milioni di giordani, di cui un 52 per cento di donne, sono chiamati alle urne per le elezioni legislative, che si svolgono in un solo turno. Per la prima volta, con un sistema di rappresentanza proporzionale.

La riforma, promossa con il consenso di re Abdallah II, vuole dimostrare che il governo è in grado di organizzare elezioni libere e trasparenti. Finora l’opposizione ha accusato le autorità di immobilismo, mantenendo al potere solo gli alleati.

Diversamente dalle precedenti elezioni, nessun partito ha annunciato di voler boicottare il voto, con cui si rinnovano i 130 seggi della camera dei deputati per quattro anni. Neanche il Fronte di azione islamica (Fai), la formazione politica dei Fratelli musulmani, che presenta 120 candidati su un totale di 1.252. E c’è chi si interroga sulla possibilità che la Fratellanza, assente dalle elezioni del 2010 e del 2013, possa ottenere un grande successo.

Dubbi sul cambiamento
Mentre il regno hashemita, alleato dell’occidente e apprezzato per la sua relativa stabilità, deve fare i conti con molti problemi (il conflitto in Siria, l’alto tasso di disoccupazione, la radicalizzazione crescente), la confraternita dei Fratelli musulmani, che negli ultimi mesi si è vista chiudere varie sedi locali, prevede di tornare in parlamento come una forza politica di primo piano.

Il compito, però, è difficile perché Amman ha fatto di tutto per delegittimare la campagna elettorale dei Fratelli. Del resto lo stesso re Abdallah II nel 2013 aveva definito il movimento un “culto massonico diretto da lupi travestiti da agnelli”.

I giordani comunque dubitano della possibilità di un cambiamento. Secondo un sondaggio pubblicato alla fine della scorsa settimana, solo il 38 per cento degli elettori ha dichiarato di voler andare a votare. Ma, secondo il Washington Post, la Giordania non è condannata a vivere sotto un regime autoritario: nel paese stanno emergendo nuove organizzazioni, come Shaghaf, una coalizione indipendente formata nel giugno scorso da un gruppo di ventenni, tutti stanchi della vecchia guardia e desiderosi di riforme.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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