Una biennale fai da te
1. Kochi-Muziris Biennale
Forming in the pupil of an eye, Kochi, India, fino al 29 marzo
Mentre la performance alle loro spalle prende vita, gli artisti guidati da Pk Sadanandan, continuano a creare come fossero in trance. Non si girano né quando un branco di giornalisti armati di smartphone cerca di fotografarli, né quando le voci degli attori raggiungono l’apice dell’angoscia. Stanno dipingendo un murale tradizionale del Kerala, un’opera in divenire. È una forma di meditazione. Composition on water, la performance di Anamika Haksar, basata su versi di poeti dalit, è un inno appassionato di persone spinte al limite dalla lotta per i diritti fondamentali, tra cui l’acqua pulita. In passato, secondo il sistema di caste indiano, i dalit erano ritenuti intoccabili ed erano decisamente svantaggiati. Una forte sensibilità letteraria attraversa la terza edizione della biennale di Kochi-Muziris, la prima biennale d’arte contemporanea in India. Una rassegna emarginata, che ha dovuto lottare per sopravvivere tra tagli ai finanziamenti e mancanza di elettricità nella sede espositiva. Gli artisti avevano un solo trapano per allestire le opere e hanno fatto una corsa contro il tempo per finire di inchiodare, appendere, dipingere prima che il pubblico arrivasse. Ognuno si è arrangiato come ha potuto. L’inglese Charles Avery doveva esporre i suoi disegni della città immaginaria di Onomatopea, ma la dogana li ha bloccati. L’artista ha improvvisato appendendo poster in giro per le strade. Sono gli inconvenienti di una biennale autogestita dagli artisti. The Financial Times
2. Anselm Kiefer
Walhalla, White cube, Londra fino al 12 febbraio
Se le festività natalizie sono state troppo gioiose, il giusto contrappeso è nel buio cupo e inquietante creato da Anselm Kiefer per la White cube. Il titolo Walhalla si riferisce all’adilà dove banchettano gli eroi uccisi in guerra secondo il mito norvegese. Tra i riferimenti c’è anche il monumento neoclassico alla memoria degli eroi tedeschi voluto da Ludwig di Baviera. Una mostra letteralmente e metaforicamente pesante. L’interrato della galleria è stato trasformato in una caverna metallica poco illuminata che contiene una doppia fila di letti da ospedale drappeggiati con coperte di piombo. Sagome a grandezza naturale sono appoggiate a mitragliatrici arrugginite. In fondo, una fotografia gigante con una figura solitaria che cammina. Si ha la netta sensazione che tutte le battaglie sono state perse e il mondo intero è finito in un bunker. The Telegraph
3. Elogio della traduzione
Après Babel, Mucem, Marsiglia, fino al 5 giugno
Una mostra, un catalogo, un saggio: la filosofa Barbara Cassin elogia la traduzione attraverso tre audaci interventi. Nel 2004 Cassin aveva curato la pubblicazione del Dizionario dell’intraducibile, un classico in cui la traduzione è pensata come in bilico tra unicità e molteplicità. Il punto di partenza è un’astrazione: il passaggio da una lingua all’altra. Dal mito di Babele alla stele di Rosetta, da Aristotele a Tintin, duecento oggetti visualizzano lo “stare nel-mezzo” della traduzione. Les Inrockuptibles