L’arte come appropriazione
Double take
Skarstedt gallery, Londra, fino al 22 aprile
Appropriazione indebita, prestito o licenza di manipolazione creativa? Per secoli gli artisti hanno preso idee e ispirazione da altri colleghi o culture. In ambito commerciale il confine tra plagio e creatività è sottile, fonte di continui contenziosi tra marchi, prodotti e aziende. Richard Prince, il principe dell’appropriazione, è al centro delle polemiche dal 1970. Double take mette in mostra il suo particolare metodo di plagio artistico tra la cosiddetta pictures generation (di cui fa parte, tra gli altri, Barbara Kruger) ed esponenti più giovani come Roe Ethridge e Collier Schorr. La linea curatoriale vuole dimostrare che l’appropriazione è una forma di prestito selettivo e l’immaginario collettivo viene usato come punto di partenza per affrontare temi più ampi. Secondo Prince il furto e l’appropriazione di immagini hanno a che fare con la disponibilità e creano una sfera in cui i prodotti della creatività diventano patrimonio comune. Nell’era digitale, in cui ogni momento è catturato e condiviso sui social network, le esperienze vissute sono immediatamente rappresentate visivamente e consumate. Sono le immagini stesse a plasmare identità, genere, etnia, desiderio e sessualità. La picture generation si ispirava alla cultura del consumismo tra gli anni settanta e ottanta e usava la sovrapposizione per manipolare e ricontestualizzare le immagini. Era un modo per riflettere su come le stesse immagini formano la percezione del mondo. Dazed and Confused
Tra fiabe e incubi
Hey!, Arts factory, Parigi, fino al 22 aprile
Anne & Julien riescono a creare un’atmosfera particolare dove convivono stati d’animo, stili e opere diversi. I due curatori, ex giornalisti, selezionano gli artisti in un sottobosco culturale pop. La rivista Hey! Modern art and pop culture è la vetrina della loro ricerca estetica. In questa prima mostra ritroviamo la linea di un’arte popolare figurativa, spesso venata di umor nero, che va dal fumetto al tatuaggio, dal rock ai graffiti. Presenze tra il fiabesco e l’incubo, composte di pezzi umani e animali, popolano le sale della galleria: le chimere lillipuziane con la testa d’uccello di Murielle Belin, i personaggi a grandezza naturale con maschere da lepre di Paul Toupet, il mini golem senza testa coperto di occhi di Masayoshi Hanawa, il cranio tempestato di perle di Jim Skull. Libération
Casa di bambola
V&A museum of childhood, Londra, dal 25 marzo
Alla fine degli anni ottanta gli Young british artists sconvolsero la scena artistica britannica scandalizzando le istituzioni. Purtroppo la loro eredità è stata usata da molti come una scorciatoia per diventare ricchi e famosi. Troppo facile, secondo l’artista Rachel Whiteread, perché il successo degli Young british artists era il risultato di scontri, polemiche e duro lavoro. L’ultima acquisizione del V&A per la sezione dedicata all’infanzia è l’installazione di 150 case di bambola collezionate da Whiteread in vent’anni. Insieme formano un villaggio, con edifici che toccano un metro di altezza. The Telegraph
Questa rubrica è stata pubblicata il 7 aprile 2017 a pagina 14 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati