Ritratto dell’Italia dopo il voto attraverso grafici e mappe
Il 4 marzo 2018 si sono svolte le elezioni per il rinnovo del parlamento italiano e i risultati hanno ridisegnato la politica del paese.
Il Movimento 5 stelle ha ottenuto più del 30 per cento dei voti. La Lega con il 17 per cento ha superato Forza Italia, che si è fermata al 14. Insieme a Fratelli d’Italia, che ha di poco superato il 4 per cento, quella di centrodestra è la coalizione più votata. Il Partito democratico ha registrato la peggiore sconfitta della sua storia, ottenendo il 18 per cento alla camera e il 19 al senato. I radicali si sono fermati appena sopra il due per cento. Liberi e uguali ha superato la soglia di sbarramento del 3 per cento, mentre Potere al popolo con l’1,1 per cento resta fuori del parlamento. Nessun seggio neanche per le formazioni dell’estrema destra CasaPound e Forza nuova, sotto all’1 per cento.
Questi numeri rendono complicata la formazione del nuovo governo. Ma se le percentuali dei voti ottenuti dai partiti non aiutano a immaginare la direzione che prenderà l’Italia dopo il 23 marzo – quando saranno elette le presidenze di camera e senato – ci sono altri dati che permettono di capire che paese è quello che è andato a votare.
Le donne in parlamento
Il voto del 4 marzo ha rovesciato tutti i rapporti di forza politici, ma ha mantenuto lo squilibrio di genere. Nel 2013 le donne elette in parlamento erano state il 31 per cento, contro il 36 per cento in Germania, il 38 per cento in Belgio, il 43 per cento in Spagna.
Alle elezioni del 4 marzo in lista c’erano 4.327 donne su 9.529 candidati. Il quadro delle elette non è ancora chiaro: c’è chi parla di un passo indietro rispetto al passato, e chi di un leggero aumento delle parlamentari. Ma, anche se la nuova legge elettorale prevede che donne e uomini non possano superare il 60 per cento delle candidature, il risultato sembra avere sfavorito le candidate per due motivi.
Il primo è che i collegi uninominali sicuri sono stati garantiti agli uomini. Il secondo è che alcuni partiti hanno usato le pluricandidature in un modo che ha penalizzato le donne. In particolare, “nel Pd le pluricandidature sono state usate quasi solo per le donne, e così è successo per esempio che Maria Elena Boschi è stata eletta nell’uninominale a Bolzano, e nel proporzionale ha dovuto lasciare il posto a quattro uomini”, scrive Andrea Fabozzi sul manifesto.
In settant’anni di storia repubblicana nessuna donna ha guidato il governo né è mai stata eletta presidente del senato o della repubblica.
Astensionismo
Il 4 marzo è andato a votare il 72,9 per cento degli aventi diritto. È la percentuale più bassa dal 1948 a oggi.
Il prezzo più alto dell’astensione lo ha pagato il Pd. Secondo l’Ipsos, azienda che realizza sondaggi e ricerche, oltre un quinto degli elettori della coalizione di centrosinistra guidata da Pier Luigi Bersani nel 2013 ha deciso di astenersi.
Inoltre, tra gli elettori che votavano per la prima volta è prevalso il “Movimento 5 stelle, seguito ex aequo o quasi da Pd e Lega. Alta l’astensione (35 per cento). Anche in questo caso sembra una fuga dal Pd. Nelle nostre ricerche infatti emergeva un’importante attrattività di questo partito, soprattutto tra gli studenti. Ma questo elettorato alla fine ha deciso in larga misura di restare a casa”.
Un’astensione così alta non è stata una sorpresa. “Sono quindici anni che in piazza diamo fuoco alle tessere elettorali in segno di protesta”, raccontava Francesco Panico, disoccupato di Acerra, sintetizzando un sentimento comune prima del voto.
Il sentimento si è trasformato in percentuali di astensione che hanno sfiorato il 40 per cento in Sicilia e in Calabria. Rispetto alle ultime politiche, tuttavia, è un dato in leggero calo, ed è influenzato dal fatto che il Movimento 5 stelle è riuscito a conquistare il voto di molte delle persone che nel 2013 non erano andate a votare, sostiene l’istituto Cattaneo.
Italia divisa in due
È anche grazie a questa capacità di attrazione che i cinquestelle sono riusciti a conquistare l’Italia del sud. Da Napoli a Palermo, quasi il 50 per cento degli elettori ha votato per loro. L’altra metà del paese, invece, ha scelto in maggioranza il centrodestra trainato dalla Lega. Una mappa fotografa bene questa spaccatura.
I successi maggiori per la Lega arrivano dalle regioni del nord: in Liguria, amministrata dal forzista Giovanni Toti, il partito di Salvini supera il 20 per cento; in Veneto il 33 per cento; in Lombardia elegge il nuovo governatore, Attilio Fontana. Ma bisogna tenere presente anche altri dati.
La Lega ha preso il 15 per cento a Lampedusa, il 23 per cento a Taormina, il 9 per cento a Foggia, il 10 per cento nel Lazio. A Lecce è passata da 75 voti presi nel 2013 a 10.059 nel 2018. A Macerata, dove il 3 febbraio Luca Traini – ex militante leghista poi passato all’estrema destra – ha ferito sei stranieri a colpi di pistola, il partito guidato da Salvini è passato dallo 0,6 del 2013 al 21 per cento del 2018.
“Una sostanziale novità è la capacità che la Lega ha di erodere l’elettorato Pd”, si legge nell’analisi dell’istituto Cattaneo. “I temi del controllo dell’immigrazione, e più in generale del law & order, tradizionale patrimonio dell’elettorato di centrodestra, sono evidentemente temi che oggi suscitano l’attenzione e le preoccupazioni anche dell’elettorato di sinistra, che in parte si lascia oggi attrarre da chi – come la Lega salviniana – ha posto questi temi al centro dell’agenda politica”.
Immigrazione e sicurezza
L’istituto di ricerca Tecnè Italia ha provato a capire quanto abbiano pesato questi due temi. La fotografia che ha scattato all’indomani del voto è questa:
Per il 41 per cento di elettrici ed elettori, i problemi principali sono la sicurezza e l’immigrazione, e questo a dispetto del fatto che il ministero dell’interno dica che nel 2017 i reati sono diminuiti rispetto al 2016, così come anche gli sbarchi dei migranti: il 34 per cento in meno rispetto al 2016.
Disoccupazione e povertà
Insieme a immigrazione e sicurezza, un’altra chiave per interpretare il voto del 4 marzo è il lavoro, o meglio la mancanza di lavoro. Se alla cartina dell’Italia che vota per l’M5s si sovrapponesse quella dell’Italia con i più alti tassi di disoccupazione e di rischio povertà ed esclusione sociale, si noterebbero diverse coincidenze.
Nel 2016 il tasso di disoccupazione in Italia era dell’11,8 per cento, mentre in Sicilia era del 22,1 per cento, in Campania del 20,4 per cento, in Puglia del 19,4 per cento, in Sardegna del 17,3 per cento. Quattro regioni dove i cinquestelle hanno ottenuto percentuali di voti molto alte, e dove tra l’altro è maggiore il rischio povertà registrato dall’Istat.
Secondo l’istituto Cattaneo, una delle chiavi del successo del Movimento 5 stelle è stata quella di rivolgersi “soprattutto a settori sociali più marginali e che hanno subìto le difficoltà della crisi economica, sfidando la sinistra anche sul piano delle rivendicazioni e delle promesse ‘materiali’”. Ed è questo che gli ha fatto guadagnare voti anche tra chi in precedenza aveva votato il Pd.
Flussi elettorali
“Il Pd perde quote rilevanti di voti a favore del Movimento 5 stelle e spesso anche verso la Lega, l’astensione e Leu”, si legge nell’analisi dell’istituto Cattaneo. Il partito guidato da Renzi è quello che ha registrato la percentuale più alta di persone che non l’hanno votato rispetto alle politiche del 2013.
Un ultimo dato interessante è quello che riguarda le classi sociali. Secondo il Centro italiano studi elettorali, la propensione a votare non varia in modo significativo tra le classi sociali, tranne che per il Pd: “Per questo partito si registra invece una bassa propensione al voto nelle classi sociali basse e medie, e invece sensibilmente maggiore nella classe medio-alta, che quindi configura un confinamento di questo partito nella classe medio-alta”.
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