L’Italia è ancora indietro nell’accesso alla contraccezione
L’Italia è ancora indietro nell’accesso e nella diffusione della contraccezione: lo rivela l’ultimo Atlante europeo della contraccezione stilato da Aidos, avuto in esclusiva da Internazionale. Su quarantacinque paesi europei presi in esame dallo studio l’Italia occupa il 26° posto nella classifica: molto lontana dal Regno Unito, dalla Francia e dalla Spagna e più vicina a paesi come la Turchia e l’Ucraina. L’arretratezza italiana in questo ambito è causata dalla mancanza d’informazioni istituzionali sulle tecniche contraccettive e dalla quasi totale assenza di politiche per il rimborso dei contraccettivi o per la loro distribuzione gratuita.
L’accesso è disomogeneo e cambia da regione a regione, perché dipende dai diversi piani adottati dai consigli regionali: si registra un divario tra regioni del nord (in cui c’è più accesso ai contraccettivi) e regioni del sud, con alcune eccezioni come la Puglia.
Un divario che coincide con lo stato di abbandono dei consultori familiari, strutture introdotte nel 1975 in cui si dovrebbe tutelare la salute riproduttiva delle donne e che invece negli ultimi anni sono stati “depotenziati, scarsamente finanziati e sotto organico, con forti differenze regionali”.
Il costo dei contraccettivi
Secondo l’Istat, la maggioranza della popolazione tra i 18 e i 54 anni (circa il 62 per cento) usa dei metodi per pianificare o evitare una gravidanza. Eppure lo stesso istituto dichiara: “Nonostante un maggior ricorso a metodi moderni (soprattutto pillola e preservativo), non si può ancora affermare che in Italia sia stata compiuta in modo definitivo la rivoluzione contraccettiva, intesa come transizione verso una diffusione di metodi moderni ed efficaci”. Infatti il coito interrotto è il terzo metodo più usato per evitare una gravidanza (nel 20 per cento dei casi).
Tra le ragioni per cui il coito interrotto è una pratica ancora così diffusa c’è l’alto costo dei contraccettivi e la loro difficile reperibilità. Una confezione di profilattici può costare fino a 15 euro, mentre il diaframma costa circa quaranta euro, ma è ormai difficile da acquistare. Una spirale può arrivare a costare fino a quattrocento euro: esistono delle strutture che la forniscono gratuitamente, ma la maggior parte dei consultori non offre questo servizio. Anche la contraccezione ormonale ha un costo elevato e dal 2016 non è più rimborsabile dal sistema sanitario nazionale: l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha classificato la pillola ormonale in fascia C, quindi completamente a carico delle donne, anche nei casi in cui si assume per ragioni terapeutiche.
Inoltre c’è una grossa difficoltà per i più giovani a informarsi: i risultati emersi dallo Studio nazionale fertilità dimostrano che l’89 per cento dei ragazzi e l’84 per cento delle ragazze cerca su internet informazioni riguardanti la salute sessuale e riproduttiva; i consultori sono poco conosciuti, il 68 per cento dei ragazzi e il 76 per cento delle ragazze non si sono mai rivolti a queste strutture, pubbliche o private. La partecipazione a corsi o incontri sul tema della sessualità al sud è pari al 33 per cento, decisamente inferiore a quella nel nord (78 per cento). Il 94 per cento di ragazzi e ragazze ritiene che dovrebbe essere la scuola a garantire l’informazione sui temi della sessualità e della riproduzione. Rispetto ai metodi contraccettivi, la maggior parte usa il preservativo, un quarto di loro il coito interrotto, mentre il 10 per cento non usa alcun metodo.
Le regioni che occupano i primi tre posti per l’accesso ai contraccettivi sono l’Emilia Romagna, la Toscana e la Puglia con indici dell’88 per cento, dell’81 per cento e del 72 per cento. La Puglia ha ottenuto ottimi risultati perché ha approvato una delibera sulla contraccezione gratuita già nel 2008, riuscendo a costruire dei servizi che assicurano un accesso adeguato all’informazione e all’offerta di metodi contraccettivi. Le ultime posizioni sono invece occupate dall’Abruzzo, dal Molise e dalla Sicilia con indicatori rispettivamente al 41 per cento, al 34 per cento e al 33 per cento.
Nelle regioni meridionali e in Sicilia e Sardegna si concentra il maggior numero di nascite da madri minorenni e di coloro che dichiarano di non usare alcuna protezione (il 20 per cento a fronte del 10 per cento per cento nel nordest). In alcune regioni, anche se l’accesso alle informazioni è buono, è scarso l’accesso ai contraccettivi: il Lazio ha un indice sull’accesso all’offerta contraccettiva del 49 per cento e all’informazione del 79 per cento, passando rispettivamente dalla tredicesima all’ottava posizione. Il Friuli Venezia Giulia ha un indice per l’accesso all’offerta contraccettiva del 56 per cento e per l’informazione del 79 per cento, la Sardegna ha un indice sull’accesso all’offerta molto basso (34 per cento), mentre l’indicatore sull’informazione alla contraccezione è abbastanza alto (77 per cento).
Contraccettivi gratuiti
Le regioni italiane che hanno distribuito gratuitamente i contraccettivi sono sei: Puglia, Emilia-Romagna, Piemonte, Toscana, Lombardia e Marche. Nel 2008, la Puglia è stata la prima regione italiana a distribuire gratis i contraccettivi, come l’anello vaginale e altri metodi ormonali, alle donne di meno di 24 anni. La seconda è stata l’Emilia-Romagna, dove il consiglio regionale alla fine del 2017 ha approvato un provvedimento per la distribuzione gratuita dei contraccettivi alle persone di età inferiore ai 26 anni, alle donne disoccupate o colpite dalla crisi economica, residenti nella regione e iscritte al servizio sanitario nazionale. Sebbene il provvedimento sia diventato operativo all’inizio del 2018, non tutte le aziende sanitarie locali forniscono questo servizio al momento.
In Piemonte, il consiglio regionale ha approvato una delibera, nel luglio del 2018, per offrire contraccettivi gratuiti a tutte le persone sotto i 26 anni e alle donne disoccupate tra i 26 e i 43 anni. In Lombardia, il documento approvato nel 2018 prevede che qualsiasi persona di meno di 24 anni possa richiedere qualsiasi tipo di contraccettivo presso i consultori pubblici o privati della regione. È recente la delibera della Toscana (novembre 2018) per promuovere l’educazione alla salute sessuale e l’accesso alla contraccezione gratuita in consultori, ambulatori e farmacie, per giovani dai 14 ai 25 anni e donne tra i 26 e i 45 anni dotate dei cosiddetti codici di esenzione.
Nel novembre del 2018, le Marche hanno approvato all’unanimità la mozione sulla distribuzione gratuita di contraccettivi nei consultori pubblici a donne e uomini di età inferiore ai 26 anni, ma anche alle donne tra i 26 e i 45 anni dopo l’interruzione di gravidanza e a quelle disoccupate o lavoratrici colpite dalla crisi, nei 12 mesi successivi al parto. In Veneto, nel novembre 2018, è stato approvato un emendamento per l’accesso alla contraccezione gratuita in consultori, ambulatori ginecologici e farmacie (con ricetta medica). Tuttavia nel testo finale, emendato nel dicembre del 2018, il Veneto ha fatto marcia indietro e l’impegno è quello di adottare “programmi di educazione alla salute sessuale e riproduttiva e servizi aziendali e percorsi assistenziali dedicati, verificando l’accesso alla contraccezione gratuita, nel dovuto rispetto delle scelte e della dignità delle persone”.
Probabilmente è ancora troppo presto per valutare gli effetti delle delibere regionali sulla contraccezione gratuita: in Lombardia l’applicazione della delibera sembra un processo più lento per la presenza di privati nelle strutture sanitarie; in Piemonte invece molti consultori hanno dichiarato di fornire la contraccezione ormonale in forma gratuita almeno alle minorenni.
Per aumentare l’indice di accesso ai contraccettivi, il rapporto infine lancia delle raccomandazioni che hanno a che fare soprattutto con il sostegno ai consultori, che dovrebbero essere molti di più (uno ogni ventimila abitanti e non uno ogni 35mila) e più sostenuti al livello economico e culturale, inoltre servirebbero dei programmi di educazione sessuale nelle scuole.
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