La legge sul clima non convince gli ambientalisti
Il 4 marzo la Commissione europea ha presentato la sua proposta di legge sul clima. Il documento era atteso da mesi, perché dovrebbe costituire il fondamento del green deal europeo che la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha promesso di mettere al centro del suo mandato. Lo scopo principale della legge è ufficializzare l’obiettivo centrale del green deal: azzerare le emissioni nette di gas serra dell’Unione europea (cioè fare in modo che non superino le capacità di assorbimento dell’ambiente o di eventuali soluzioni tecnologiche) entro il 2050.
La presentazione era stata organizzata in grande stile, anche se è stata relativamente oscurata dall’espansione dell’epidemia del coronavirus in Europa e dalla crisi dei profughi alla frontiera tra Grecia e Turchia. Per l’occasione l’attivista svedese Greta Thunberg era stata invitata a Bruxelles e ricevuta da Von der Leyen e dal suo vice responsabile per il green deal, Frans Timmermans. Ma l’effetto non è stato quello sperato. Thunberg e altri 33 giovani attivisti per il clima hanno pubblicato una lettera aperta in cui definiscono la legge “una resa”, giudicando troppo lontano e insufficiente l’obiettivo del 2050.
La maggior parte delle organizzazioni ambientaliste la pensa allo stesso modo. Una delle principali richieste che avevano rivolto alla Commissione negli ultimi mesi era stata quella di fissare obiettivi intermedi più ambiziosi. Ma la proposta di legge si limita a confermare l’impegno preso nel 2014, che prevede di ridurre le emissioni del 40 per cento rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. Von der Leyen ha dichiarato di voler portare l’obiettivo al 50 o al 55 per cento, ma la decisione è stata rimandata a settembre e vincolata a una nuova valutazione dei rischi legati al cambiamento climatico.
Anche se tutti i paesi del mondo rispettassero gli impegni presi finora, la temperatura globale aumenterebbe comunque di 3 gradi
A novembre un rapporto delle Nazioni Unite ha avvertito che anche se tutti i paesi del mondo rispettassero gli impegni presi finora sulla riduzione delle emissioni, la temperatura globale aumenterebbe comunque di 3 gradi entro la fine del secolo, ben al di sopra degli obiettivi fissati alla conferenza di Parigi nel 2015. Dopo il fallimento della conferenza di Madrid sul clima a dicembre, la speranza era che l’Unione europea riuscisse a mettersi d’accordo su un obiettivo più ambizioso prima della prossima conferenza, che si svolgerà a novembre a Glasgow, in modo da aumentare la pressione sugli altri paesi perché facciano lo stesso. Dodici stati europei, tra cui l’Italia, hanno chiesto di anticipare la revisione in modo che il nuovo obiettivo possa essere approvato al consiglio europeo di giugno, in tempo per Glasgow. Molte organizzazioni ambientaliste inoltre chiedono che l’obiettivo sia fissato al 65 per cento.
Gli obiettivi intermedi sono importanti anche per un altro motivo. Come nota il Financial Times, “nonostante il nome la legge sul clima non andrà a modificare l’impianto giuridico dell’Unione previsto dai trattati europei, ma assumerà la forma di un normale regolamento europeo”. Per garantirne il rispetto, l’unico strumento a disposizione della Commissione sarà la minaccia di lanciare una procedura d’infrazione contro gli stati inadempienti. Ma se l’obiettivo è fissato al 2050, il suo mancato rispetto potrà essere certificato solo dopo che quel termine sarà scaduto, o al limite negli anni immediatamente precedenti.
Per questo la proposta di legge attribuirebbe alla Commissione il potere di stabilire autonomamente nuovi obiettivi vincolanti ogni cinque anni a partire dal 2030 tramite un atto delegato, che potrebbe essere bloccato solo da una maggioranza qualificata di stati membri o di eurodeputati. Ma questa ipotesi non è vista di buon occhio da molti governi nazionali, che cercheranno di opporsi. La proposta dovrà adesso passare al vaglio del parlamento europeo e dei paesi membri, e nelle trattative potrebbe essere modificata sensibilmente.
Un altro aspetto critico è che gli obiettivi di riduzione delle emissioni saranno vincolanti per l’Unione europea nel complesso, non per i singoli stati. I paesi più virtuosi temono che quelli più inquinanti approfitteranno dei loro sforzi per compensare la propria inazione. Ma probabilmente è l’unico modo per ottenere l’approvazione di paesi come la Polonia, che dipende dal carbone per l’80 per cento della sua produzione elettrica e a dicembre aveva rifiutato di sottoscrivere l’impegno ad azzerare le emissioni nette entro il 2050.