Tra gli operai dell’Ohio che voteranno ancora per Trump
Pochi giorni prima delle elezioni del 2016, quando tutti cercavano di capire le origini del sostegno a Donald Trump, andai nei cantieri di Youngstown, in Ohio, insieme a Rocco DiGennaro, capo del sindacato edile Local 125. La maggior parte degli iscritti al sindacato – tutti maschi e quasi tutti bianchi – diceva che avrebbe votato per Trump, anche molti che in passato avevano sostenuto democratici. Volevo capire perché.
La spiegazione più ricorrente era l’odio per Hillary Clinton. Quasi tutti i lavoratori erano convinti che la candidata democratica fosse disonesta e corrotta. Allo stesso tempo, i giudizi su Trump erano meno definiti e precisi. Dicevano di apprezzarne il suo linguaggio “duro”, soprattutto sull’immigrazione, e il fatto che fosse un imprenditore. Molti pensavano che Trump avrebbe rimesso ordine a Washington e nell’economia, anche se in quel momento l’industria edile di Youngstown era già in grande crescita. Alla fine questi punti di forza permisero a Trump di ottenere una percentuale altissima di voti tra gli operai bianchi, e di conseguenza di conquistare la Casa Bianca. Ma all’epoca nessuno si aspettava che quegli elettori avrebbero stretto con Trump un’alleanza di ferro.
La devozione nei confronti dell’attuale presidente si è manifestata in tutta la sua evidenza di recente, quando sono tornato nei cantieri di Youngstown, anche stavolta in compagnia di DiGennaro. “Ti diranno le stesse cose di quattro anni fa, ma con ancora più convinzione”, mi ha detto il sindacalista prima di cominciare il giro. Non aveva torto. Le interviste ai lavoratori impegnati in un grande progetto immobiliare nell’università statale di Youngstown – appartenenti a cantieri e aziende diverse – fanno pensare che la situazione non sia cambiata. Il sostegno per Trump non è aumentato. Come nel 2016, anche quest’anno circa un terzo dei lavoratori dice di non aver nessun interesse per le elezioni. Ma tutti quelli che nel 2016 hanno votato per Trump – con qualche dubbio – ora lo sostengono con entusiasmo.
“Ha fatto un ottimo lavoro, ha ridato un lavoro a tutti. Sto con lui al 100 per cento”, dice Kyle, elettricista di trent’anni. “È vero, parla troppo, ma significa che è onesto”, aggiunge Jason, un idraulico che apprezza soprattutto l’impegno di Trump per ridurre il debito nazionale. “Per il nostro paese ha fatto più degli ultimi dieci presidenti messi insieme”, insiste un altro operaio, Jeff, mentre versa del cemento fresco. “Ha costretto la Cina – o forse è il Giappone? – a pagare miliardi di dollari ai nostri agricoltori. Ha risolto il problema dell’assistenza sanitaria, cosa che i democratici non sono mai riusciti a fare. Ha costruito il muro”.
Annullare il giudizio
L’unica voce critica nei confronti di Trump che ho ascoltato – fatta eccezione per quella di DiGennaro, un democratico moderato – è quella di Greg, il capo di Jeff. “Penso che Trump faccia male al paese, alla morale. È un cattivo esempio per i miei figli, voglio che se ne vada”, spiega. Poi confessa che sua moglie, che guarda la rete di destra Fox News, non è d’accordo con lui. “Penso che divorzieremo, e non sto scherzando”.
Da questa istantanea sembra evidente che Trump, più che dividere gli Stati Uniti, ha alimentato divergenze già esistenti. Anche se Joe Biden, il candidato del Partito democratico, è in vantaggio nei sondaggi, i repubblicani continuano a sostenere Trump senza esitazione, e il presidente conserva un livello di popolarità senza precedenti all’interno del suo partito: il 94 per cento delle persone che hanno votato per lui nel 2016 ha intenzione di farlo ancora quest’anno. Il vantaggio di Biden è dovuto soprattutto alla sua capacità di mobilitare contro il presidente gli elettori democratici e una parte di quelli indipendenti, non certo al fatto che Trump abbia perso voti.
La valutazione che gli operai fanno dell’operato del presidente è molto discutibile, visto che sotto la sua amministrazione il debito pubblico è arrivato alle stelle – anche prima che scoppiasse l’emergenza sanitaria –, tante persone sono rimaste senza copertura sanitaria e il muro promesso da Trump è lontano dall’essere completato. Ma fa capire fino a che punto Trump controlli il partito. La fedeltà degli elettori di Trump non è particolarmente legata alle sue politiche. Gli analisti politici, sia di destra sia di sinistra, hanno scoperto da tempo che la maggior parte degli elettori è piuttosto flessibile rispetto alle proposte politiche. Molte persone scelgono un leader che rifletta i propri valori e adattano di conseguenza le proprie priorità politiche. In un contesto di grande polarizzazione come quello attuale, spesso si tende ad annullare anche il proprio giudizio critico.
A differenza di tutti i presidenti che lo hanno preceduto, Trump non ha mai smesso di fare campagna elettorale
Questo fenomeno spiega perché i repubblicani hanno smesso di sostenere il libero mercato e il conservatorismo fiscale senza battere ciglio, o perché abbiano modificato le loro posizioni sull’economia pochi giorni prima delle elezioni del 2016. Il successo di Trump nel compattare la sua base nasce dall’ostinazione con cui ha sbandierato ripetutamente i valori condivisi dai suoi elettori e le relative minacce (reali e immaginarie) rappresentate dai suoi oppositori.
A differenza di tutti i presidenti che lo hanno preceduto, Trump non ha mai smesso di fare campagna elettorale una volta entrato alla Casa Bianca. Molto prima che il suo comitato elettorale lanciasse la campagna per la rielezione, infatti, il presidente ha partecipato a cento comizi, senza contare le occasioni istituzionali come i discorsi sullo stato dell’unione, gestiti dal presidente come eventi puramente politici. Nel frattempo Trump ha cercato di presentare gli avversari, compresi alcuni conservatori critici nei suoi confronti, come nemici di tutto ciò che è importante per lui e per i suoi elettori. La conseguenza di questa strategia è stata quella di spingere gli elettori che formano la sua base a ribadire la loro appartenenza, privatamente e pubblicamente, rafforzandone nel frattempo la fedeltà.
In questo contesto l’unica divergenza tra l’analisi dei commentatori di sinistra e quelli di destra riguarda i valori del presidente. Gli opinionisti di destra tengono a sottolineare le qualità populiste del “prima l’America”: nazionalismo, paternalismo e intransigenza, cioè tutto quello che gli operai di Youngstown sembrano apprezzare in Trump. “Voglio che siano cancellati tutti gli accordi commerciali internazionali. Sono un sostenitore del ‘prima l’America’”, conferma Tony, un ingegnere.
A questa lista di valori i commentatori di sinistra aggiungono le pulsioni razziste del presidente. Il tentativo di Trump di sfruttare il razzismo degli elettori – evidenziato dai velati attacchi contro Kamala Harris, scelta da Biden come possibile vicepresidente – ne è una prova evidente. Alcuni lavoratori di Youngstown mostrano di essere piuttosto ricettivi rispetto a queste manovre. George, un elettricista, descrive Biden come un cavallo di Troia per Harris. “Si dimetterà il giorno dopo le elezioni e così ci ritroveremo la prima donna presidente, per di più nera”.
I consulenti politici di Trump sostengono che i sondaggi non rilevano molti “sostenitori timidi del presidente”. Ma è un’ipotesi discutibile, considerando il fervore con cui molti sostenitori di Trump difendono il suo nazionalismo estremo. Forse questo è il motivo per cui Trump ha una presa d’acciaio sulla sua base ma riesce a espanderla.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito su Lexington, la rubrica dell’Economist dedicata agli Stati Uniti.