Una scommessa rischiosa per la Costa d’Avorio
Alassane Ouattara è il tipo di leader che piace ai donatori stranieri. Quando diventò presidente nel 2011, la Costa d’Avorio era in macerie, devastata da due guerre civili e da un decennio di caos politico. Sotto la sua amministrazione il paese è diventato più calmo e più ricco. Ouattara ha attirato investimenti dall’estero, ha fatto progressi nella lotta alla corruzione e ha guidato un’economia che è cresciuta in media dell’8 per cento all’anno da quando lui è al potere. In passato la Costa d’Avorio era considerata il gioiello della corona dell’Africa francofona. Ouattara le ha restituito parte del suo splendore.
Oltre a questi risultati, il presidente sembrava aver consolidato la sua buona reputazione lo scorso marzo, quando, dopo qualche fraintendimento, aveva annunciato il suo ritiro dalla politica. Anche se aveva ribadito che l’approvazione di una nuova costituzione nel 2016 gli avrebbe consentito di candidarsi a un terzo (e a un quarto) mandato, Ouattara, 78 anni, era arrivato alla conclusione che gliene bastavano due. E che sarebbe stato meglio affidare il potere a un successore docile.
Era convinto di aver trovato la persona giusta in Amadou Gon Coulibaly, l’allora primo ministro. Coulibaly era stato accanto al suo mentore per trent’anni ed era così leale che non esitava a definirsi un “discepolo” del presidente. La candidatura di Coulibaly però è stata breve, perché l’8 luglio è morto.
E così il 6 agosto, invocando “cause di forza maggiore”, Ouattara ha accettato di candidarsi alle presidenziali del 31 ottobre. I partiti dell’opposizione hanno gridato allo scandalo, denunciando che aveva raggiunto il limite di mandati.
Il male minore?
Anche i paesi donatori sicuramente non sono entusiasti. Se non altro, perché lo stesso giorno in cui Ouattara ha annunciato il cambiamento di rotta il partito al potere nella vicina Guinea ha chiesto ad Alpha Condé, 82 anni, di candidarsi a un terzo mandato in vista delle presidenziali del 18 ottobre.
In ogni caso è probabile che la maggior parte dei governi stranieri accetti la candidatura di Ouattara, anche perché le alternative sono piuttosto scialbe. Il principale oppositore è l’ex presidente Henri Konan Bédié, che a 86 anni sostiene di essere la voce dei giovani. Quando è stato al potere, tra il 1993 e il 1999, il suo governo si è dimostrato corrotto e incapace. Peggio ancora, ha fomentato le divisioni etniche per impedire a Ouattara, originario del nord del paese, di candidarsi contro di lui, mettendo fine a decenni di egemonia del sud. I dodici anni di disordini vissuti dalla Costa d’Avorio tra il 1999 e il 2011 sono stati frutto anche dell’ostinazione di Bédié.
Anche se un terzo mandato di Ouattara potrebbe sembrare il male minore (cosa non del tutto certa), non mancano i motivi di preoccupazione. Con l’avanzare dell’età i presidenti diventano spesso più spietati. Ouattara ha già dimostrato una vena autoritaria. Guillaume Soro, ex capo dei ribelli e potenziale sfidante di Ouattara, è stato condannato in contumacia a vent’anni di carcere per appropriazione indebita, un’accusa a cui molti non credono.
Ouattara non ha fatto molto per allentare le tensioni che portarono alla guerra civile del 2002
Da dicembre sono state incarcerate 19 persone vicine a Soro. Anche altri partiti hanno denunciato persecuzioni. Cosa ancora più preoccupante, la candidatura di Ouattara potrebbe causare violenze. Il malcontento tende ad assumere rapidamente una connotazione etnica in Costa d’Avorio, dove i partiti, più che nell’ideologia, sono radicati nell’appartenenza etnica.
Anche se Ouattara ha riportato la stabilità nel paese, non ha fatto molto per allentare le tensioni che portarono alla guerra civile del 2002. Gli abitanti del sud del paese sono infastiditi dal presunto favoritismo di Ouattara nei confronti del nord. “Ha cercato di dare risposte economiche a problemi politici”, afferma Rinaldo Depagne dell’International crisis group, un’ong con sede a Bruxelles. “Ha perso delle opportunità per arrivare a una vera riconciliazione”.
Come se tutto questo dramma non bastasse (“ci sono stati più colpi di scena che in una serie tv di Netflix”, ha commentato Depagne), due protagonisti della vita politica ivoriana sono rimasti ancora in disparte. Il primo è Laurent Gbagbo, un altro ex presidente. Il suo rifiuto di concedere la vittoria a Ouattara nel 2010 causò un’ondata di violenze in cui morirono tremila persone. Nel 2019 la Corte penale internazionale l’ha prosciolto dall’accusa di crimini contro l’umanità, e ora Gbagbo potrebbe star tramando per tornare in scena. Per esempio, potrebbe influenzare l’esito delle elezioni se decidesse di appoggiare Bédié. Ouattara continua a essere il favorito, ma un’accoppiata elettorale di candidati del sud potrebbe dargli filo da torcere.
L’altro protagonista è l’esercito, che nei drammi ivoriani tende a entrare in scena verso la fine. Alcuni ufficiali sono ex ribelli di Soro. Se un risultato elettorale contestato dovesse sfociare nello scoppio di violenze, c’è chi teme che l’atto successivo sia un colpo di stato.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Dopo essere stato escluso dalla competizione elettorale dalla corte costituzionale della Costa d’Avorio, l’ex capo dei ribelli ed ex premier Guillaume Soro, in esilio in Francia, ha dichiarato il 17 settembre di essere ancora in corsa per la presidenza perché la sua candidatura è ancora valida. La rivendicazione di Soro si appoggia su un’ordinanza della Corte africana dei diritti umani e dei popoli del 15 settembre, che ha chiesto allo stato ivoriano di eliminare ogni ostacolo alla candidatura del leader dell’opposizione.
Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.