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Le ragioni del successo del presidente salvadoregno Nayib Bukele

San Salvador, 28 febbraio 2021. La conferenza stampa del presidente salvadoregno Nayib Bukele prima di votare. (Jose Cabezas, Reuters/Contrasto)

Fuori da un seggio elettorale di San Salvador Jennifer Vásquez, una donna che si guadagna da vivere vendendo bottiglie d’acqua, spiega perché ha votato per i candidati di Nuevas ideas, il partito del presidente Nayib Bukele, 39 anni. “Ha fatto cose che nessun altro aveva mai fatto prima”, spiega, Vásquez che indossa una maglietta azzurra, il colore del partito. “Abbiamo ricevuto pacchi di alimenti, con tonno e riso. E regalerà i computer ai miei figli”.

La maggior parte degli elettori del Salvador, un paese di sei milioni e mezzo di abitanti, condivide l’entusiasmo di Vásquez. Il 28 febbraio Nuevas ideas ha vinto trionfalmente le elezioni politiche e amministrative. Il partito, fondato nel 2018, ha ottenuto almeno 56 seggi sugli 84 disponibili in parlamento, e dunque avrà una maggioranza dei due terzi. Non era mai successo dalla fine della guerra civile nel 1992.

I risultati del voto hanno spazzato il sistema politico nato con il ritorno alla pace: per quasi trent’anni il paese è stato dominato da due partiti, il Frente Farabundo Martí para la liberación nacional (Fmln), un partito di sinistra nato dai gruppi di guerriglieri, e l’Alianza republicana nacionalista (Arena), un partito conservatore fondato da un ex militare di estrema destra che si opponeva alla guerriglia. Il 28 febbraio i due partiti hanno ottenuto in totale meno di una ventina di seggi.

Disprezzo delle istituzioni
A prima vista Bukele non somiglia al caudillo tradizionale. Eletto nel 2019, indossa sempre un berretto da baseball e racconta ogni suo movimento sui social network. Esperto di pubbliche relazioni, ha saputo conquistare una popolazione esasperata dalla corruzione (tre degli ultimi quattro presidenti salvadoregni sono stati indagati per corruzione, e uno è in galera).

La sua popolarità, intorno al 90 per cento, supera quella di qualsiasi altro leader latinoamericano. I critici considerano la sua scesa come un pericolo per la democrazia. Bukele controlla il potere legislativo e quello esecutivo, e ora la maggioranza in parlamento gli dà la possibilità di influenzare quello giudiziario. Nei prossimi mesi, infatti, il parlamento dovrà nominare un nuovo segretario alla giustizia e cinque giudici della corte suprema.

Come altri leader populisti, Bukele alimenta la sfiducia nei confronti delle istituzioni democratiche

Da quando è stato eletto, nel 2019, Bukele ha mostrato uno scarso rispetto per le istituzioni. “Tratta le leggi come noi trattiamo il codice della strada”, afferma Nelson Rauda, un giornalista salvadoregno. Nel febbraio 2020, infastidito dal rifiuto del parlamento di approvare il bilancio per il suo programma di sicurezza, ha fatto irruzione nella sede dell’assemblea accompagnato da soldati armati. Ad aprile, dopo un aumento nel tasso di omicidi, il suo governo ha ammassato centinaia di prigionieri (soprattutto affiliati delle bande criminali) con le mani legate dietro la schiena e con indosso solo gli indumenti intimi e delle mascherine scadenti. L’ufficio della presidenza ha diffuso la foto su Twitter.

Bukele demonizza chiunque osi contrastarlo, inclusi imprenditori, giornalisti e politici. Secondo alcuni l’atteggiamento del presidente è all’origine dell’omicidio di due attivisti dell’Fmln, uccisi lo scorso gennaio. È stato il più grave atto di violenza politica dalla fine della guerra civile. Come altri leader populisti, anche lui alimenta la sfiducia nei confronti delle istituzioni democratiche. Senza portare prove, ha parlato di possibili brogli e prima delle chiusura dei seggi ha organizzato una conferenza stampa per esortare la popolazione a votare.

Secondo alcuni alti funzionari il risultato elettorale ammorbidirà Bukele, che oltre a twittare freneticamente contro i suoi critici è anche molto attento alla sua popolarità. Il vicepresidente Félix Ulloa dice che la “resistenza” della burocrazia e del parlamento hanno “provocato un conflitto nell’animo del presidente”. Altri sono più preoccupati: “Vedremo come governerà ora che non esistono più ostacoli”, osserva Alex Segovia, economista ed ex esponente dell’Fmln.

Poche idee, tanta pubblicità
Bukele ha davanti a sé sfide difficili. L’Organizzazione mondiale della sanità ha elogiato la gestione della pandemia in Salvador, e il governo ha investito in ospedali e negli aiuti economici per alleviare gli effetti dell’emergenza. Ma le autorità hanno anche imposto un confinamento così estremo che la corte suprema ha dichiarato incostituzionali alcuni provvedimenti. Le misure adottate dal governo hanno contributo a una contrazione economica di quasi il 9 per cento nel 2020, tra le più forti della regione. Il debito pubblico salvadoregno si attesta al 90 per cento del pil. Il crimine, la corruzione e la povertà sono diffusi.

Bukele afferma di non avere nessuna ideologia e di volere solo risolvere i problemi del paese. Ma secondo Bertha Deleón, ex avvocata del presidente che lo ha abbandonato dopo l’irruzione in parlamento, l’uomo non ha alcun piano. “È tutta pubblicità, nient’altro”, spiega. I consulenti del presidente sono asserviti alla sua volontà. Tra i suoi collaboratori più stretti ci sono due suoi parenti: uno guida il partito mentre un altro ha gestito la sua campagna elettorale. I risultati ottenuti finora sono contrastanti.

Prendiamo l’esempio della corruzione, che Bukele ha promesso di eliminare. All’inizio del suo mandato il presidente ha effettivamente creato una commissione indipendente per la lotta al fenomeno. Tuttavia il suo governo non ha fornito alcuna spiegazione su come abbia speso i milioni di dollari ricevuti dai donatori durante la pandemia. Quando la commissione anticorruzione ha inviato al ministro della giustizia alcune prove della cattiva gestione dei fondi, il governo ha ostacolato le indagini. A novembre la polizia, che al pari dell’esercito sembra schierata più con Bukele che con lo stato, ha impedito ai propri agenti di entrare nel ministero della salute per raccogliere ulteriori prove sui contratti di approvvigionamento, alcuni dei quali firmati con aziende di proprietà di parenti dei dipendenti del ministero.

Dopo l’elezione di Bukele il tasso di omicidi è calato, e il presidente ama ricordarlo agli elettori ogni volta che può. Sono stati aumentati gli stipendi alle forze di sicurezza che hanno ricevuto strumenti più efficaci e sono spesso in missione aree del paese segnate dalla criminalità. Ma gli esperti sottolineano che il tasso di omicidi era in calo già dal 2015, molto prima del 2019. Secondo il think tank International crisis group la riduzione del crimine potrebbe essere il segnale che lo stato è sceso a patti con le bande. Questi accordi, solitamente, sono deleteri.

Molti salvadoregni giustificano il loro amore per Bukele citando una serie di appariscenti progetti infrastrutturali. In un soffocante sabato pomeriggio una folla si è radunata per scattare foto alla nuova strada verso Surf City, un tratto di costa che dovrebbe diventare un’attrazione turistica. Altri ricordano la generosità del governo, che dall’inizio della pandemia ha donato 300 dollari e pacchi con aiuti alimentari ai più poveri. L’esecutivo ha anche promesso di regalare un computer a 1,2 milioni di studenti. Resta da capire con quali fondi saranno finanziate queste iniziative. Forse con un prestito del Fondo monetario internazionale.

La mancanza di controllo sull’autorità è preoccupante in qualsiasi paese, e lo è soprattutto in Salvador considerando la storia di Bukele e il suo potere senza precedenti. Ormai sono pochi i politici che gli si oppongono. Solo il presidente statunitense Joe Biden si è detto preoccupato per i suoi metodi.

I salvadoregni potrebbero essere disposti a ignorare le tendenze autoritarie del loro leader se continueranno a credere che lui si preoccupa per loro. Molti, in ogni caso, si aspettano poco dai politici. Il sostegno alla democrazia come forma migliore di governo è al 28 per cento, il più basso del continente insieme al Guatemala.

“È una storia che si ripete, nella nostra regione”, sottolinea Celia Medrano, candidata alla Commissione interamericana per i diritti umani, un’istituzione regionale. “Il presidente vuole (e può) fare la storia, ma ha bisogno di imparare dalla storia”, dice Medrano. Sfortunatamente Nuevas ideas rischia di rivelarsi un partito basato su vecchi stratagemmi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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