Tre incognite e una quasi certezza sulle elezioni americane
“Il caos segue Trump, gli Stati Uniti non possono essere un paese allo sbando”. Nikki Haley, candidata per la nomination repubblicana alla presidenza
“Per tutta la sua carriera politica Haley è stata al soldo dei donatori dell’establishment che vogliono le frontiere aperte”. Donald Trump, favorito per ottenere la nomination repubblicana.
Il 15 gennaio 2024, con i caucus dell’Iowa, comincia ufficialmente il processo elettorale che si concluderà il 5 novembre con le elezioni presidenziali (quel giorno si eleggeranno anche un terzo dei senatori, l’intera camera dei rappresentanti, undici governatori e i parlamentari di 85 assemblee legislative statali). Saranno mesi intensi, succederanno molte cose complicate da raccontare e analizzare, soprattutto quando le dinamiche politiche si mescoleranno con i guai giudiziari di Donald Trump. Volendo mettere un po’ di ordine, si può immaginare che l’anno elettorale ruoterà intorno a tre temi.
Il primo: quanto e come influiranno i processi di Trump sull’orientamento degli elettori? È chiaro da tempo che la maggior parte dei repubblicani pensa che l’ex presidente sia innocente o addirittura vittima di un complotto ordito dai democratici. I processi quindi non dovrebbero avere un impatto sulla scelta del candidato, anche perché buona parte dei delegati – i funzionari eletti con il voto popolare che scelgono il candidato alla convention di luglio – saranno assegnati prima che arrivi un verdetto in tribunale su Trump. Il discorso potrebbe cambiare nella campagna elettorale contro il candidato democratico, quando per vincere bisogna convincere persone diverse dai sostenitori più fedeli. Nel frattempo a febbraio la corte suprema dovrà decidere se Trump è candidabile in base alla costituzione. Ci si aspetta che i giudici decidano in suo favore. Ma anche in quel caso resterebbero alcune domande: cosa succede se Trump viene condannato durante la campagna elettorale? E se vince le elezioni mentre i processi sono ancora in corso?
Il secondo: come voteranno i giovani e gli elettori delle minoranze? Secondo sondaggi recenti, questi gruppi, a lungo considerati solidamente fedeli al Partito democratico, si stanno in parte spostando verso i repubblicani. Biden cercherà di recuperare quei consensi, mentre il candidato repubblicano sfrutterà l’occasione per diversificare la propria base elettorale. Significa che entrambi i partiti dedicheranno molte risorse a convincere gli afroamericani, gli ispanici e i giovani, una novità rispetto alle ultime campagne elettorali, in cui ci si è concentrati soprattutto sugli elettori bianchi della classe operaia.
Il terzo: Joe Biden può diventare un po’ più popolare? Il presidente è entrato nell’anno delle elezioni con un indice di gradimento del 39 per cento, il dato peggiore mai registrato. I democratici sono preoccupati soprattutto perché all’attuale amministrazione non viene riconosciuto il merito dell’ottima situazione economica, con una crescita molto più alta rispetto al resto del mondo occidentale e livelli altissimi di occupazione. Sperano che con l’avvicinarsi delle elezioni gli elettori democratici si compattino intorno al presidente e che gli appelli a difendere la democrazia da Trump possano convincere gli elettori moderati.
Il tempo aiuterà a rispondere a queste domande, o perlomeno a farsi un’idea un po’ più chiara. Al momento ce n’è una più urgente, visto che stanno per cominciare le primarie repubblicane: c’è qualcuno che può impensierire Trump? Fino a qualche mese fa la risposta sembrava sì, e il principale indiziato era il governatore della Florida Ron DeSantis, la cui qualità principale stava nell’essere un Trump più giovane e presentabile. Con il passare delle settimane DeSantis ha dimostrato ampiamente di non essere in grado di gestire una campagna elettorale a livello nazionale, e soprattutto si è capito che gli elettori repubblicani che votano alle primarie non vogliono una copia di Trump se possono ancora scegliere l’originale.
Verso la fine del 2023, quando la stella di DeSantis si era ormai spenta, sono salite le quotazioni di Nikki Haley, ex governatrice della South Carolina e rappresentante degli Stati Uniti all’Onu tra il 2017 e il 2018, durante l’amministrazione Trump. Una sua vittoria alle primarie la renderebbe la prima donna a ottenere la nomination del Partito repubblicano e anche la prima figlia di immigrati a essere candidata alle presidenziali (i genitori arrivarono dall’India in Nordamerica negli anni sessanta e il suo nome all’anagrafe è Nimarata Randhawa). La sua strada verso la nomination è in salita e piena di ostacoli, ma non del tutto impraticabile. In sostanza Haley deve superare le aspettative nei primi stati dove si vota, dimostrando di essere una candidata credibile, poi sperare che gli altri candidati minori si facciano da parte e che le primarie diventino una competizione a due in cui possano risaltare le differenze tra lei e Trump. Ma andiamo con ordine.
In Iowa gli elettori non si esprimono con delle normali primarie ma con i caucus, riunioni con dibattito organizzate dal partito in palestre, scuole, sale comunali, chiese e altri spazi pubblici. Almeno un sostenitore per ogni candidato prende la parola e cerca di convincere le persone presenti a schierarsi dalla sua parte. Finita la discussione, tutti i partecipanti al caucus si esprimono con voto segreto. In base ai risultati vengono assegnati i delegati di seggio, che poi sceglieranno i delegati di contea, che a loro volta sceglieranno i delegati statali per la convention.
Ai caucus di solito partecipano gli elettori più convinti e motivati, quelli disposti a sfidare il freddo dell’Iowa a gennaio e che hanno qualche ora a disposizione per seguire la discussione, quindi i candidati cercano di farsi vedere e conoscere il più possibile nelle settimane precedenti. Questo fattore contribuisce a spiegare perché i caucus possono regalare risultati sorprendenti.
Nel 2008, per esempio, Barack Obama vinse in Iowa nelle primarie democratiche e la candidatura di Hillary Clinton, grande favorita, cominciò a scricchiolare. Nel caso delle primarie repubblicane di quest’anno però il copione sembra già scritto, e questo forse dà l’idea di come sia cambiata la politica statunitense negli ultimi anni, soprattutto a destra. Secondo la media dei sondaggi, Trump ha un vantaggio di circa 35 punti su Haley e DeSantis, pur essendosi fatto vedere dagli abitanti dell’Iowa molto meno dei suoi avversari. Probabilmente l’ex presidente pensa che la sua base elettorale sia già abbastanza motivata.
Una gara per il secondo posto
L’ampio vantaggio di Trump ha trasformato i caucus dell’Iowa in una gara per il secondo posto. Il complicatissimo percorso di Haley per restare competitiva prevede che ottenga un risultato buono – arrivando seconda – o discreto – piazzandosi terza subito dopo DeSantis – e si giochi tutte le sue carte otto giorni dopo in New Hampshire, nel nordest, dove i sondaggi la danno non troppo distante dall’ex presidente. Vari elementi sono dalla sua parte.
Il New Hampshire è uno degli stati meno trumpiani tra quelli che votano nelle prime settimane. Inoltre le primarie sono aperte non solo agli elettori repubblicani ma anche a quelli registrati come indipendenti, che in quello stato non sono pochi e tendono di gran lunga a preferire candidati più moderati. Haley ha anche ricevuto l’appoggio del governatore repubblicano dello stato, Chris Sununu, e potrebbe essere avvantaggiata dal ritiro dalla corsa di Chris Christie, ex governatore del New Jersey, un altro candidato che puntava ai voti dei repubblicani più moderati.
Nelle ultime settimane Trump ha registrato questi segnali e ha cominciato ad attaccare Haley molto più di quanto avesse fatto in precedenza. La accusa di essere a libro paga dell’establishment globalista, di essere amica della Cina e di voler aumentare le tasse. In realtà l’ex governatrice ha posizioni molto conservatrici su tutte le principali questioni di politica interna: ha sostenuto la maggior parte delle misure di Trump sull’immigrazione, è favorevole ai provvedimenti più restrittivi sull’aborto, è contraria a garantire i diritti delle persone lgbt+, propone grandi tagli alla spesa sociale, non sopporta i sindacati. Forse il tema su cui si distingue di più è la politica estera, visto che accusa Trump di aver indebolito le tradizionali alleanze internazionali degli Stati Uniti.
Alla fine Haley sta cercando di convincere gli elettori repubblicani puntando su un fattore caratteriale più che politico: è lei l’unica candidata matura, l’adulta nella stanza che metterà fine al caos lasciato da Trump. Potrebbe essere troppo poco e troppo tardi. I repubblicani vengono da tre brutti risultati elettorali, nel 2018, nel 2020 e nel 2022. Quelle sconfitte sono state determinate soprattutto dagli eccessi e dalle scelte di Trump, ma in questi anni nessun politico repubblicano di spicco ha preso le distanze da lui, nemmeno quando sono emersi elementi che dimostravano i suoi tentativi di ribaltare l’esito delle elezioni del 2020.
Haley, DeSantis e gli altri candidati alle primarie repubblicane hanno elogiato e difeso Trump per la maggior parte dello scorso anno. Hanno cambiato registro solo di recente, quando si è capito che le primarie rischiavano di essere decise ancora prima che gli elettori cominciassero a votare, ma comunque le loro posizioni su Trump restano ambigue (Haley ha detto che “il caos segue Trump”, quando sarebbe più sensato dire che “Trump è la causa del caos”). Questo atteggiamento non solo ha minato la credibilità dei candidati (compresa Haley), ma ha anche impedito la nascita di un’alternativa politica al trumpismo.
Sull’Altantic Mark Leibovich ha dato questa lettura della candidatura di Nikki Haley: “Forse considera già un successo essere arrivata fin qui. Anche se non minaccerà mai seriamente Trump, è probabile che riesca a ottenere risultati dignitosi nei primi stati, a conquistare uno o due secondi posti. Poi, quando la candidatura di Trump sarà di nuovo inevitabile, potrà tranquillamente appoggiare il suo vecchio capo (si è vantata di avere avuto un ottimo rapporto di lavoro con lui) e passare alla sua prossima campagna, per diventare vicepresidente in un’amministrazione Trump o per riprovarci nel 2028”.
Dopo il New Hampshire si voterà in South Carolina, dove Haley in teoria gioca in casa ma Trump è dato in netto vantaggio. Molti degli stati più grandi voteranno il 5 marzo, nel cosiddetto super martedì. Le primarie si concluderanno il 4 giugno, mentre la convention che esprimerà il candidato si terrà a luglio a Milwaukee, in Wisconsin. Per vincere bisogna raccogliere almeno 1.234 delegati. Qui si può consultare il calendario delle primarie e seguire il conteggio dei delegati.
Questo testo è tratto dalla newsletter Americana.
Iscriviti a Americana |
Cosa succede negli Stati Uniti. Una newsletter a cura di Alessio Marchionna. Ogni domenica.
|
Iscriviti |
Iscriviti a Americana
|
Cosa succede negli Stati Uniti. Una newsletter a cura di Alessio Marchionna. Ogni domenica.
|
Iscriviti |