La fine del mito della babysitter adolescente
Negli anni settanta Hollywood scoprì una nuova protagonista per i film horror e thriller: la babysitter. Nel giro di pochi mesi, tra il 1978 e il 1979, uscì prima Halloween - La notte delle streghe di John Carpenter, in cui una giovane Jamie Lee Curtis doveva proteggere due bambini dalla furia omicida di un uomo evaso da un manicomio criminale; e poi Quando chiama uno sconosciuto, in cui una studente liceale veniva presa di mira da uno sconosciuto al telefono mentre si occupava di due ragazzini.
Erano film di nicchia, ma ebbero un impatto notevole, soprattutto il primo. Girato in soli venti giorni con un budget di 300mila dollari, incassò settanta milioni di dollari e diventò uno dei film indipendenti di maggior successo della storia. Nel 1983 ispirò perfino un videogioco per l’Atari 2600, in cui il giocatore doveva salvare più bambini possibile da un killer armato di coltello, vestendo i panni di una babysitter adolescente. Queste storie facevano presa sul pubblico perché riproducevano una situazione molto familiare negli Stati Uniti di quel periodo: la coppia che si prende la serata libera e chiama una ragazza, generalmente la figlia dei vicini di casa, per occuparsi dei bambini.
Quei film contribuirono in parte a rovinare la reputazione delle babysitter, già intaccata da alcuni film degli anni sessanta, in cui le ragazze erano state ritratte come tentatrici che seducevano i padri quando le madri non erano in casa. Per riparare il danno d’immagine negli anni ottanta fu addirittura lanciata The baby-sitters club, una serie di libri su un gruppo di adolescenti che gestiscono un’attività di babysitter e risolvono misteri nel tempo libero.
La babysitter è in effetti uno dei simboli più riconoscibili dell’America novecentesca. L’Atlantic ha spiegato che l’abitudine di lasciare i bambini con ragazze adolescenti nacque intorno agli anni venti, quando l’avvento di nuove tecnologie facilitò le faccende domestiche, liberando tempo per le coppie, in un periodo in cui aumentavano i salari e le possibilità di svago, in particolare il cinema, e le automobili permettevano di spostarsi più facilmente. Per milioni di ragazze americane fare la babysitter diventò una sorta di rito di passaggio: era un timido passo verso la responsabilità adulta, ma con delle protezioni, visto che non erano richieste particolari competenze. E dopo la fine della seconda guerra mondiale questa occupazione acquisì una particolare ambivalenza: “Se da una parte le babysitter erano un emblema della femminilità americana ed erano associate alla liberazione delle donne, dall’altro erano anche fonte di ansia per la crescente autonomia delle ragazze”.
Ma con il passare degli anni la figura della babysitter è andata in crisi, per motivi che hanno a che fare con il modo in cui i genitori educano i figli e con la solidità dei legami sociali.
Per prima cosa, oggi gli americani tendono a conoscere meno bene i vicini di casa rispetto al passato e, in generale, si fidano meno degli altri. I sociologi parlano di calo della fiducia sociale e di deterioramento del senso di comunità. Secondo un sondaggio del 2018 del Pew research center, solo un quarto degli statunitensi dichiara di conoscere la maggior parte dei propri vicini di casa. Una percentuale simile non è in grado di fornire informazioni specifiche sui propri vicini, neanche i loro nomi. Nel frattempo questa dinamica potrebbe essersi accentuata per via della pandemia, che ha ulteriormente indebolito lo spirito di comunità.
Uno dei fattori che contribuiscono alla crescita della genitorialità intensiva è l’ansia economica
La percentuale di persone che trascorre una serata con un vicino diverse volte al mese è scesa dal 44 per cento del 1974 al 28 per cento del 2022. La diminuzione della frequenza delle interazioni con i vicini è andata di pari passo con il calo della fiducia sociale. All’inizio degli anni settanta il 46 per cento degli americani affermava che ci si poteva fidare degli altri, mentre oggi solo il 26 per cento dice lo stesso. Di conseguenza, anche se conoscono potenziali giovani babysitter nelle vicinanze, i genitori di un bambino piccolo potrebbero esitare ad affidarsi a loro.
Gli studi dicono anche che le persone che tendono a fidarsi molto degli altri sono più felici, più sane e più impegnate dal punto di vista civico rispetto a chi è diffidente.
Un altro fattore che ha contribuito al declino delle babysitter è l’intensive parenting, genitorialità intensiva, un approccio educativo che porta le coppie a essere molto più presenti nella vita dei figli, considerati fragili e bisognosi di supervisione costante. Per molti genitori è impensabile affidare i bambini a un adolescente, ancor più se si considera la perdita di fiducia sociale a cui accennavo prima. Negli Stati Uniti è aumentato di molto il tempo che i genitori dedicano ai bambini, in particolare per leggergli libri, fare con loro dei lavoretti, portarli a lezione, assistere a recite e partite. Oggi le madri dedicano a queste attività quasi cinque ore alla settimana, rispetto a un’ora e 45 minuti nel 1975.
Non è solo una questione di protettività. Il New York Times ha spiegato che uno dei fattori che contribuiscono alla crescita della genitorialità intensiva è l’ansia economica. “Per la prima volta negli Stati Uniti oggi i figli hanno meno possibilità dei genitori. Le famiglie vogliono che la vita dei figli cominci nel miglior modo possibile, così che siano in grado di passare a una classe sociale superiore o almeno di non scendere in una più in basso”. Questa tendenza è stata confermata analizzando le spese dei genitori per i figli nell’arco della loro vita. “Se un tempo la spesa raggiungeva il picco massimo quando i figli frequentavano le scuole superiori, oggi è più alta quando i figli hanno meno di 6 anni e più di 18 anni, cioè quando vanno all’università”.
La genitorialità intensiva si è diffusa prima tra le famiglie delle classi medio-alte, a partire dagli anni novanta, poi ha cominciato a estendersi a tutte le classi sociali. Potrebbe avere a che fare con l’aumento del divario tra ricchi e poveri, che spinge anche le famiglie con poche risorse a investire il più possibile nei figli. Inoltre il fatto che gli Stati Uniti siano molto indietro sui sostegni ai genitori che lavorano – congedo parentale retribuito, assistenza all’infanzia, orari di lavoro flessibili – potrebbe aver alimentato il cambiamento culturale.
La preoccupazione per il futuro riguarda comprensibilmente anche gli stessi adolescenti, che preferiscono usare il tempo libero per prepararsi ai test di ammissione ai college o per fare attività che valorizzino il curriculum, piuttosto che per lavorare come babysitter. In effetti i dati mostrano che la partecipazione degli adolescenti al mondo del lavoro è in calo da decenni.
Le babysitter non sono sparite, ma è cambiato molto il loro ruolo rispetto al passato. Se un tempo era un’attività informale per cui non si chiedevano particolari competenze, oggi segue giustamente parametri più formali. Chi si offre di prendersi cura di bambine o bambini si prepara frequentando corsi sulla sicurezza e sul primo soccorso o acquisendo competenze in matematica, musica o sport, in modo da poter aiutare con i compiti. “Sarebbe giusto”, scrive l’Atlantic, “che la società riconoscesse l’importanza di questo ruolo e sostenesse gli adolescenti che vogliono svolgerlo. Margaret House, che gestisce un programma di formazione per babysitter attraverso l’organizzazione giovanile 4-H, insegna agli adolescenti come funziona lo sviluppo dei bambini, gli spiega come porsi con le famiglie, come parlare di sé nei colloqui. Con loro discute anche la possibilità di trasformare questo primo impiego nell’inizio di una carriera lavorativa – per esempio in un asilo nido, in una scuola dell’infanzia, facendo ricerca sulla prima infanzia – e di come includere il babysitting nel proprio curriculum”.
Questo testo è tratto dalla newsletter Americana.
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