Gli uragani e il futuro degli Stati Uniti
Gli uragani Milton ed Helene hanno dato un assaggio di quello che potrebbe succedere agli Stati Uniti in un futuro molto vicino e in uno un po’ più lontano. La disinformazione intorno a questi disastri naturali è stata così potente e dannosa da portare molti commentatori a prevedere un caos ancora maggiore dopo il voto del 5 novembre.
Le notizie false in questi giorni sono partite da tutte le varie espressioni della destra americana. L’imprenditore Elon Musk, che ormai ha platealmente messo se stesso e il suo social network X a servizio delle bugie trumpiane, ha scritto che la Fema (la protezione civile statunitense) stava attivamente bloccando le spedizioni di beni e servizi destinati alle persone colpite dai disastri. “È reale e spaventoso il modo in cui hanno preso il controllo per impedire alle persone di aiutare”. Il suo post è stato visualizzato più di 40 milioni di volte.
Marjorie Taylor Greene, deputata del congresso eletta in Georgia, ha postato su X una mappa che mostra la sovrapposizione del percorso dell’uragano Helene con le aree del sud dove le persone tendono a votare per i repubblicani. A corredo ha commentato: “Sì, possono controllare il tempo”, sostenendo cioè che i democratici hanno scatenato questi eventi atmosferici per guadagnare consensi.
Ma resta Donald Trump il principale produttore e diffusore di notizie false: durante un comizio in Georgia ha detto che il governatore dello stato, il repubblicano Brian Kemp, non riusciva a contattare il presidente Joe Biden per parlare dei soccorsi (in realtà ci aveva parlato il giorno prima). Su Truth Social l’ex presidente ha sostenuto che i funzionari governativi della North Carolina, lo stato più colpito dall’uragano Helene, stavano “facendo di tutto per non aiutare le persone nelle aree repubblicane”. Poi ha accusato Kamala Harris, vicepresidente e candidata democratica, di aver speso i soldi della Fema per gli “immigrati illegali”, e ha sostenuto che gli americani che hanno perso le loro case a causa dell’uragano stavano ricevendo solo 750 dollari dalla protezione civile (in realtà quell’importo è solo un aiuto di emergenza per i beni essenziali; i sopravvissuti possono chiedere fino a 42.500 dollari in aiuti aggiuntivi).
Le notizie e le teorie false hanno causato danni enormi: i funzionari delle comunità colpite e della protezione civile hanno dovuto dedicare una parte importante del loro tempo a combattere la disinformazione, sottraendo energie agli sforzi necessari per cercare sopravvissuti, aiutare le famiglie colpite e stimare la quantità di danni; in alcuni casi sono stati aggrediti fisicamente e molestati online. Gli effetti della disinformazione si faranno sentire anche nel lungo periodo: se tante persone si convincono che le autorità non sono in grado o peggio non vogliono aiutarle, in futuro saranno sempre più scettiche e meno disposte a chiedere aiuto.
Come sappiamo ormai da qualche anno, la disinformazione non rimane mai confinata a un unico evento o a un solo ambito. Chi diffonde notizie false tende a “unire i puntini”, cioè a elaborare megateorie del complotto in cui collegare vari eventi che in realtà non hanno niente a che fare l’uno con l’altro, per creare una visione globale che promette di semplificare il caos informativo e che in realtà fa esattamente il contrario.
Nessun evento più di un’elezione presidenziale si presta a questo scopo, soprattutto se il risultato si preannuncia incerto (come nel 2020, anche stavolta potrebbero volerci giorni prima di conoscere il risultato) e il voto avviene in un contesto in cui notizie e comunicazioni arriveranno in modo frammentato e provvisorio da varie zone del paese e coinvolgeranno autorità a vari livelli. Nel 2020 i collaboratori e i sostenitori di Trump dissero che in alcuni seggi gli scrutatori avevano tirato fuori valigie piene di voti non validi, che in un altro l’esplosione di una tubatura aveva permesso di alterare il risultato a favore di Biden, che in molte zone del paese le macchine per il voto elettronico erano state manomesse, che tanti elettori avevano votato due volte e risultavano migliaia di voti di persone morte. Stavolta la disinformazione potrebbe fare più danni, perché alcune dinamiche tecnologiche sono cambiate e perché l’ecosistema mediatico trumpiano si è ulteriormente ingrandito, soprattutto grazie a Musk.
Ha scritto Charlie Warzel sull’Atlantic: “È difficile cogliere il nichilismo del momento attuale. Con la pandemia gli americani sono diventati più diffidenti nei confronti dell’autorità, più ostinati nel diffondere teorie cospirative e attaccare i funzionari della sanità pubblica. Ma ciò che sembra nuovo, all’indomani degli uragani, è il fatto che le persone che mentono non cercano nemmeno di nascondere la provenienza delle loro menzogne. Chi condivide le bugie ammette senza problemi che non gli importa se ciò che sta promuovendo è reale o falso. La scorsa settimana i politici repubblicani hanno condiviso un’immagine generata dall’intelligenza artificiale in cui si vede una bambina che tiene in braccio un cucciolo mentre si suppone stia scappando dall’uragano.
L’immagine era chiaramente falsa ed è stato subito dimostrato, ma alcuni politici hanno mantenuto la loro posizione: ‘Non so da dove arrivi la foto, e onestamente non ha importanza’, ha dichiarato Amy Kremer, deputata della Georgia. ‘È emblematica del trauma e del dolore che le persone stanno vivendo in questo momento’”. Molte altre persone hanno condiviso delle immagini prodotte con l’intelligenza artificiale pur sapendo che non rappresentavano la realtà. “Il giornalista tecnologico Jason Koebler ha scritto che siamo entrati nell’era del ‘vaffanculo’ dell’intelligenza artificiale e della comunicazione politica, in cui immagini generate dall’ia sono usate per trasmettere qualsiasi messaggio adatto al momento”.
Alla radice del problema c’è uno scollamento sempre più ostinato dalla realtà, che si manifesta soprattutto nell’aggressività nei confronti di chi la realtà prova a descriverla. Scrive Warzel: “Ciò a cui assistiamo è un assalto culturale a qualsiasi persona o istituzione che operi nella realtà. Se sei un meteorologo, sei un bersaglio. Lo stesso vale per i giornalisti, i funzionari elettorali, gli scienziati, i medici e i primi soccorritori. Questi lavori sono diversi, ma hanno in comune il fatto che tutti devono occuparsi e descrivere il mondo così com’è. Questo li rende pericolosi per le persone che non riescono a sopportare le costrizioni angoscianti della realtà, così come per coloro che hanno interessi economici e politici nell’alimentare questo clima”.
Da mesi sulla stampa statunitense escono articoli che raccontano l’angoscia dei funzionari dei seggi, che si preparano ad affrontare teorie del complotto e aggressioni.
L’altro assaggio di futuro riguarda gli effetti della crisi climatica. Uragani come Milton ed Helene fanno improvvisamente sembrare più vicini gli scenari catastrofici di cui per la maggior parte del tempo si parla in termini teorici. Gli Stati Uniti sono in una posizione particolarmente difficile perché le abitudini sociali ed economiche si stanno muovendo in una direzione inconciliabile rispetto alle condizioni climatiche: da una parte il riscaldamento globale fa aumentare la frequenza, la forza e l’estensione degli uragani e degli incendi; dall’altro, sempre più persone alla ricerca di condizioni economiche e lavorative migliori si spostano da anni proprio nelle zone più a rischio nel sudest, nel sud e nel sudovest (molto interessante questa mappa del New York Times).
Questo crea un enorme circolo vizioso: aumentano i disastri naturali in zone abitate, quindi crescono i danni e i costi per la ricostruzione, le compagnie assicurative si rifiutano di stipulare polizze nelle zone più a rischio, cosa che fa ulteriormente aumentare il costo dei disastri; quindi i governi statali e quello federale spendono sempre di più per far fronte ai disastri, ma comunque i fondi non sono sufficienti perché sono calcolati sulla base degli eventi passati, pensati cioè per un’epoca in cui c’erano meno disastri naturali e in cui la maggior parte delle persone poteva usare l’assicurazione per coprire le perdite.
Da anni gli amministratori della protezione civile e gli esperti di eventi climatici estremi sostengono che il governo dovrebbe stanziare molti più soldi per la preparazione ai disastri (i dati mostrano che ogni dollaro speso in prevenzione fa risparmiare alle comunità 13 dollari in pulizia, ricostruzione e altre spese che vengono sostenute dopo eventi di quel tipo), dovrebbe promuovere nuove norme edilizie e dovrebbe premiare le comunità che puntano su una pianificazione territoriale più intelligente. Generalmente misure di questo tipo, soprattutto quelle legate all’edilizia, tendono a essere impopolari e quindi politicamente poco convenienti, senza contare che ottenere e spendere tanti soldi per la ricostruzione permette ai politici di far guadagnare voti e conservare il potere.
Un po’ di numeri sui costi dei disastri naturali: 137 miliardi di dollari di danni dal 2017 al 2023; l’anno scorso è stato il peggiore (93 miliardi) ma sarà sicuramente superato dal 2024 (secondo le stime l’uragano Helene ha causato danni per almeno 34 miliardi, e ancora di più l’uragano Milton).
Questo testo è tratto dalla newsletter Americana.
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