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L’app che raccoglie aiuti per gli afgani abbandonati ai taliban

Un villaggio colpito dal terremoto nella provincia di Paktika, in Afghanistan, il 23 giugno 2022. (Saifurahman Safi, Xinhua/Zuma Press/Ansa)

Nell’ultimo anno il popolo afgano ha dovuto affrontare numerosi stravolgimenti: la fine dell’occupazione statunitense, il ritorno al potere dei taliban, le sanzioni economiche, una serie di bombardamenti del gruppo Stato islamico su alcuni luoghi di culto e sull’aeroporto di Kabul. Ma è stato il terremoto del mese scorso, di magnitudo 5.9, che davvero ha mobilitato afgani da tutto il paese a prestare aiuto alle migliaia di vittime.

Il sisma del 21 giugno nelle province sudorientali di Paktika e Khost avrebbe ucciso almeno 1.100 persone, con oltre 1.500 feriti. Numeri che hanno scioccato gli afgani all’interno e all’esterno del paese, spronandoli ad agire. Così, gruppi di volontari si sono mossi in direzione delle remote province di Gaiyan, Spera, Barmal e Orgun.

Tra i primi a partire da Kabul c’è stato il team di Aseel, un applicazione per cellulare originariamente progettata per vendere artigianato afgano sul mercato internazionale. Nell’ultimo anno il team ha trasformato l’app in una piattaforma di distribuzione di aiuti e raccolta fondi in risposta alle sanzioni, alle restrizioni bancarie e al taglio degli aiuti imposti all’Afghanistan dopo il ritorno al potere dei taliban lo scorso agosto.

Cambio di rotta
Inizialmente altri imprenditori avevano messo in guardia la startup sconsigliando un cambio di strategia aziendale, ma il team di Aseel, costituito da giovani afgani, sentiva di dover fare qualcosa per aiutare i propri concittadini in un momento di bisogno. “Mi dicevano che cambiare il modello aziendale sulla base di una situazione così urgente avrebbe ucciso l’impresa, ma io pensavo solo al mio paese che stava collassando”, racconta Nasrat Khalid, il fondatore.

Khalid è afgano, ha trent’anni, è cresciuto nei campi profughi del Pakistan e nel 2009 ha deciso di tornare a Kabul. Pensava che valesse la pena mettere a rischio la sua azienda per offrire un po’ di aiuto al popolo afgano. Ricorda una conversazione avuta all’epoca con il responsabile tecnico di Aseel a Kabul, Mohammad Nasir, anche lui cresciuto nei campi profughi in Pakistan durante la guerra civile e il dominio dei taliban degli anni novanta.

Nasir raccontò a Khalid che migliaia di sfollati interni si stavano riversando nella capitale da diverse province del nord conquistate dai taliban. L’ondata di famiglie disperate in fuga dai raid nel cuore della notte ricordava a Nasir la vita nei campi profughi lungo la Linea Durand. “Non è la stessa Kabul. Stiamo perdendo la speranza”, disse all’amico.

È così che Khalid si è convinto ad agire e ha detto al suo team in Afghanistan di prendere i 42 mila dollari di utili messi da parte e usarli per aiutare le persone in difficoltà. Il gruppo Aseel ha cominciato a creare pacchi alimentari di emergenza con riso, farina, olio, tè e lenticchie, per far fronte a una crisi alimentare che secondo l’Onu potrebbe colpire 22 milioni di persone. Poi ha cominciato a vendere legna per l’inverno, kit di pronto soccorso, pannolini, tende, latte artificiale, sciarpe e coperte, tutto a prezzo di costo.

Essere un team di afgani che include gli abitanti delle aree colpite è molto vantaggioso: anche i taliban sono disponibili nei loro confronti

Avendo già rapporti con oltre 400 venditori, lo staff di Aseel è riuscito a procurarsi molto rapidamente gran parte dei materiali. Il tutto poteva essere comprato direttamente sull’app da chiunque avesse a disposizione uno smartphone in qualsiasi parte del mondo. Dato che la startup è basata sui consumatori e non dipende da finanziamenti esteri, non si è dovuta preoccupare di tagli ai fondi. L’azienda ha dovuto solo fare in modo che i clienti potessero ancora usare l’app per fare acquisti. Così, invece di vendere vetro artigianale di Herat o tappeti di Faryab, ha creato diversi pacchetti di aiuti che si potevano acquistare con le carte di credito da qualunque parte del mondo. Pacchi che poi sarebbero stati distribuiti uno ad uno alle famiglie bisognose in Afghanistan.

Quasi un anno dopo, grazie a questo cambiamento e al coinvolgimento diretto delle comunità del luogo, il team ha risposto rapidamente al terremoto. Al mattino presto del 22 giugno lo staff di Aseel era già in strada, diretto verso il distretto di Gaiyan, nella provincia di Paktika, l’epicentro del sisma. A differenza di molte altre grandi organizzazioni internazionali, Aseel aveva già contatti nella provincia e nei distretti più colpiti.

“Siamo molto vicini alla comunità afgana”, dice Khalid, al telefono dagli Stati Uniti, dove vive da quattro anni. Al momento i 42 dipendenti dell’azienda sono tutti giovani afgani, e la maggior parte di loro vive in Afghanistan.

“Sapere locale”
I ragazzi del team di Aseel hanno subito reagito al terremoto: si sono messi in macchina e hanno guidato per nove ore fino ai distretti colpiti. Questo è un esempio di come Khalid vorrebbe che in futuro venisse gestita tutta la distribuzione degli aiuti in Afghanistan. “La distribuzione di denaro basata sul trasporto aereo, con veicoli e camion antiproiettile non è la strada da seguire”. A differenza delle operazioni su larga scala che richiedono scorte di sicurezza, lunghi procedimenti burocratici e il trasporto di personale specializzato da paesi esteri, Aseel si basa interamente sul “sapere locale” per le proprie operazioni, spiega Khalid.

L’azienda si è rivolta a 180 giovani volontari afgani in 25 province, che hanno preso il nome di atalan, eroi in lingua pashto. Gli atalan vanno in diverse comunità per condurre rilevazioni e valutazioni a più fasi per identificare le persone più vulnerabili. Ogni atalan viene remunerato con una scheda telefonica, con la quale può inserire i dati sull’app, e con 300 afghani (3 dollari) per ogni consegna.

Per descrivere il modello degli atalan, Khalid tira in ballo la Silicon Valley, affermando che ogni atalan è come un autista di Uber a cui viene affidato un lavoro nella propria zona. “La persona va a fare la rilevazione iniziale per vedere quante persone ci sono in una casa, quanti di loro hanno un reddito, la condizione della loro abitazione, e così via. Poi un’altra persona andrà a fare un secondo controllo per verificare i riscontri iniziali”.

Questo modello si è rivelato molto efficace nel rispondere al terremoto. “Siamo riusciti a saltare gli intermediari”, afferma Ihsan Hasaand, responsabile della distribuzione. Hasaand ha guidato un team di dieci persone a Paktika. Essere un team interamente afgano, che include anche alcuni abitanti delle aree colpite, è stato molto vantaggioso. Le autorità dei taliban sono state disponibili nei confronti del team di Aseel che individuava le famiglie più vulnerabili, cioè quelle che avevano perso molti cari nel terremoto.

Sostituti del governo
Khalid afferma che il governo, messo alla prova dal peso delle sanzioni internazionali e dal taglio degli aiuti, ha appoggiato i loro sforzi proprio perché non ha alcun interesse a “mettere in fila 60mila persone per una distribuzione”. Al contrario, Aseel vuole concentrarsi sull’assistenza mirata, una famiglia alla volta. Gli afgani, tanto i donatori quanto i destinatari degli aiuti, sono critici delle distribuzioni su vasta scala; secondo loro sono mal gestite e facilitano frodi e corruzione a tutti i livelli.

Khalid dice che inizialmente il ministero dell’informazione e della cultura ha chiesto a un rappresentante di Aseel di rispondere ad alcune domande, ma presto le autorità hanno cambiato atteggiamento e hanno iniziato ad apprezzare e sostenere l’iniziativa: “Dicono che questa operazione deve essere estesa su scala più ampia”. Intanto alcuni temono che l’efficienza e il buon operato di Aseel stia di fatto permettendo al governo di delegare alcune delle sue responsabilità a organizzazioni non governative (ong) e società private, piuttosto che mettere a punto un sistema proprio per affrontarle.

Safiullah Taye, un ricercatore che si è occupato degli aiuti interni all’Afghanistan dal 2002 al 2018, dice che l’effettiva responsabilità di rispondere ai disastri e alle situazioni di emergenza spetta esclusivamente al governo di una nazione.

“Nonostante le sue nobili intenzioni un’app non dovrebbe essere considerata come un sostituto del governo” nel provvedere alle necessità della popolazione, ha dichiarato Taye. Il ricercatore teme anche che Aseel e altre potenziali applicazioni potrebbero non avere gli strumenti e le capacità per affrontare il problema della fame su ampia scala, con 22 milioni di persone a rischio. “È davvero difficile pensare che questa startup possa farsi carico di un peso del genere. Aseel può essere efficiente sulle piccole quantità, ma considerata la domanda dovrebbe operare come un’enorme impresa commerciale” per raggiungere tutte le persone in stato di bisogno.

Ma Khalid non crede che la soluzione risieda in grandi agenzie come le Nazioni unite. Attualmente nessun paese riconosce l’emirato islamico dei taliban come il governo ufficiale dell’Afghanistan. L’Onu è stata incaricata di trasferire gli aiuti internazionali ad altre ong straniere e locali, il che rende il lavoro degli operatori umanitari molto più difficile.

Khalid afferma che l’Onu si basa su “una mentalità e metodi operativi vecchi” per fronteggiare l’enorme crisi umanitaria causata dalle sanzioni. Inoltre l’Onu è l’unica organizzazione a gestire gli appalti di aiuti umanitari nel paese. Questo pone uno spropositato potere nelle mani di un’istituzione enorme e arcaica che, secondo Khalid non sa lavorare correttamente a livello locale.

L’app ha ribaltato i tradizionali modelli di lavoro umanitario in Afghanistan, basandosi su donazioni di singoli utenti

Un lavoratore di un’agenzia umanitaria internazionale racconta che le condizioni di finanziamento poste dall’Onu non solo sono irrealistiche, ma rendono più difficoltoso per le agenzie collaborare con le piccole organizzazioni locali, comprese quelle guidate da donne. “Vogliono che lavoriamo di più con ong a conduzione femminile, ma hanno questi standard ridicoli che molte organizzazioni realmente locali non possono soddisfare. Quante piccole organizzazioni portate avanti da donne o da giovani nella provincia di Laghman hanno un reparto finanziario che non è conforme a specifici standard di rendicontazione”, dice l’operatore, che preferisce rimanere anonimo.

L’operatore spiega che la rigidità di queste linee guida porta a una situazione per cui le ong di ex politici e imprenditori, spesso accusati di corruzione e frode, sono le uniche ad avere i requisiti necessari per ottenere i fondi. Le critiche nei confronti dell’Onu non sono una novità in Afghanistan: ci sono alcuni che nutrono alcuni dubbi sull’adozione di metodi umanitari in stile Silicon Valley nei paesi in via di sviluppo.

Taye dice che anche se il servizio fornito da Aseel è indispensabile, rimangono ancora degli interrogativi sulla regolamentazione. “In teoria, più applicazioni di questo tipo ci sono e maggiore è il numero di persone che possono donare, da tutto il mondo per qualunque causa vogliano. Questo però potrebbe anche significare monitoraggio, protezione e trasparenza molto scarsi”. Proprio rispetto a questa mancanza di monitoraggio, sostiene Taye, l’Onu potrebbe avere un vantaggio nei confronti di app come Aseel. “L’Onu non è santa, ma ci sono più controlli ed equilibri che ne regolano il funzionamento” in generale.

Ribaltare il modello tradizionale
Solitamente le ong locali dipendono fortemente dalle ambasciate straniere, dalle organizzazioni internazionali e dall’Onu, ma per le sue distribuzioni Khalid, che in passato ha lavorato per la Banca mondiale, ha ribaltato i tradizionali modelli di lavoro umanitario in Afghanistan, basandosi totalmente su donazioni fatte da singoli utenti sull’app.

Dopo la caduta di Kabul nel 2021, Aseel ha utilizzato i fondi raccolti per la sua attività iniziale per lanciare un’operazione di risposta alle emergenze e per coprire i costi operativi. Adesso ha aggiunto l’opzione “mancia” ad ogni donazione che copre queste spese. La gran parte dei donatori aggiunge una mancia, afferma Hasaand, responsabile della distribuzione, e aggiunge: “Tutte le donazioni che riceviamo vanno ai beneficiari e vanno a coprire il costo necessario per far arrivare l’assistenza”.

Secondo Khalid questo rapporto diretto tra il donatore, Aseel e il beneficiario è una delle risorse più importanti dell’azienda. “Puoi acquistare uno specifico pacchetto di aiuti per qualcuno che conosci in Afghanistan ed essere sicuro che gli verrà consegnato direttamente. Questo non si può fare con le ong internazionali, l’Onu o la Banca Mondiale”, afferma. Questo contatto diretto, più umano, ha portato a un bel po’ di pubblicità gratuita con il passaparola. “Tutti quelli che donavano lo dicevano a qualcun altro, e così l’app ha continuato a crescere sempre di più”.

Dall’agosto scorso il team di Aseel ha raggiunto oltre 210mila persone. Il tutto finanziato attraverso donazioni individuali fatte con carte di credito e di debito, anche di afgani all’estero. Khalid sostiene che Aseel è totalmente trasparente per quel che riguarda i beneficiari: una carta chiamata “omid”, speranza, permette al team di Aseel di condividere con uno specifico donatore tutti i dettagli su un beneficiario.

Il team di Aseel mantiene il proprio lavoro locale e acquista i prodotti da distribuire presso grossisti locali, convertendo le donazioni in contanti attraverso i numerosi uffici di cambio di criptovalute che hanno aperto a Kabul negli ultimi due anni. Lavorare con i grossisti locali è stata una decisione molto precisa per Khalid, che afferma: “Volevamo sostenere l’economia afgana, non prendere in mano noi tutta la catena di approvvigionamento”.

Khalid vorrebbe che Aseel e gli altri progetti locali che cercano di restituire qualcosa alla comunità crescessero, non solo per l’aiuto che possono offrire ma anche per sfidare l’egemonia dell’Onu. “Se questo accadesse, le Nazioni unite avrebbero un problema serio: potrebbero perdere una grossa opportunità di espandere le proprie operazioni”.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

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