L’estate tragica delle tante morti sul lavoro
Il tratto di pianura padana che si estende tra Bologna e Reggio Emilia ha la concentrazione più grande in Europa di industrie che producono macchine per gli imballaggi e il confezionamento. Più o meno al centro di quest’area, alla Bombonette di Camposanto, il 3 agosto 2021 è morta Laila el Harim, una lavoratrice quarantenne assunta da un mese e mezzo come capomacchina nell’azienda di scatole, vassoi e confezioni in cartone per pasticceria. La donna è rimasta intrappolata in una fustellatrice sulla quale era stato disattivato il dispositivo di sicurezza automatico, come hanno appurato gli ispettori del lavoro arrivati dopo l’incidente.
“Il blocco era azionabile, da parte dell’operatrice, soltanto manualmente e non automaticamente, ciò ha consentito un’operazione non sicura che ha cagionato la morte per schiacciamento”, hanno scritto i tecnici nella relazione poi finita sulla scrivania del ministro del lavoro Andrea Orlando. Nei giorni seguenti, la segretaria della Cgil di Modena Manuela Gozzi, dopo aver incontrato i responsabili dell’azienda, ha riferito che secondo loro l’incidente sarebbe stato causato da una disattenzione della lavoratrice. La procura della repubblica di Modena ha indagato il titolare della fabbrica e il delegato alla sicurezza per omicidio colposo.
Non si è trattato di un caso isolato e neppure fortuito. Giusto tre mesi prima, il 3 maggio 2021, un analogo incidente aveva provocato la tragica fine di una ragazza di 22 anni, Luana D’Orazio, impiegata in una fabbrica tessile di Montemurlo, vicino Prato, in Toscana. D’Orazio era rimasta intrappolata in un orditoio sul quale, secondo i periti inviati dai magistrati che indagano sul caso, non si era abbassata la saracinesca protettiva, “un meccanismo destinato a prevenire infortuni sul lavoro”. La perizia ha rilevato che era stata disattivata la fotocellula che avrebbe attivato in maniera automatica la protezione. La procura della repubblica di Prato ha indagato per omicidio colposo e rimozione delle cautele antinfortunistiche i due titolari dell’azienda, marito e moglie, e il manutentore che potrebbe aver manomesso il quadro elettrico. Il sospetto è che in entrambi i casi i dispositivi salvavita sarebbero stati manomessi per evitare continui stop and go che avrebbero rallentato la produzione.
Tre vittime al giorno
Le vicende drammatiche di Laila el Harim e Luana D’Orazio hanno suscitato un’attenzione mediatica inusuale. “C’è una cosa che sta a cuore a tutti noi e a me in particolare: cercare di fare qualcosa per migliorare la situazione inaccettabile sul piano della sicurezza sul lavoro”, ha detto il presidente del consiglio Mario Draghi ai giornalisti durante un incontro a palazzo Chigi.
Il ministro del lavoro Andrea Orlando ha proposto un curriculum per le imprese, dove tenere conto degli incidenti e delle azioni per evitarli, e un concorso per aumentare il numero di ispettori del lavoro. Anche il suo predecessore Luigi Di Maio ne aveva annunciato uno il 7 agosto 2018, all’indomani di un incidente stradale nel quale avevano perso la vita dodici braccianti di ritorno dal lavoro nei campi del foggiano, ma poi non se n’era fatto niente.
Questa volta il concorso è concreto, ma a leggere bene il bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale i numeri sono inferiori rispetto a quelli previsti dal governo. Delle 1.514 assunzioni previste, 822 sono sono destinate all’Ispettorato nazionale del lavoro, ma tra loro le persone che andranno sul campo saranno in totale 691. Meglio di niente, ma secondo i sindacati Cgil, Cisl e Uil sono numeri che non garantiscono un sistema di controlli accurato, per questo bisognerebbe impiegare anche il personale dell’Inps, dell’Inail e delle Asl.
In Europa
“L’Italia è uno dei pochissimi paesi dell’Unione europea privi di una strategia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro”, dicono i leader sindacali, che hanno stilato un “Patto per la salute” che prevede corsi di formazione per i lavoratori, una sorta di patente a punti da assegnare alle aziende che rispettano le regole, più ispezioni, più dispositivi di protezione individuale, l’insegnamento nelle scuole superiori di una materia che abbia al centro la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Solo in questo modo, spiegano, l’Italia potrebbe avvicinarsi a quei paesi del nord Europa che sono riusciti a ridurre in maniera drastica il numero di incidenti e di vittime. Le cifre parlano chiaro: in Italia in media muoiono 2,6 lavoratori ogni centomila, mentre la media in Europa è 2,2; 0,7 nei Paesi Bassi; 1,11 in Germania; e 1,21 in Svezia.
Nei Paesi Bassi associazioni di categoria e sindacati stipulano accordi con misure concrete e soluzioni che sono poi codificati in un “registro della sicurezza e della salute” valido per tutto il settore. In Germania il governo e gli stati federali elaborano una “Strategia comune di sicurezza e salute sul lavoro” insieme alle assicurazioni, che a loro volta mettono a punto regole di prevenzione contro gli infortuni e fanno controlli – che si sommano alle ispezioni pubbliche. La Svezia ha creato una propria agenzia, la Mynak, che coordina le attività sulla sicurezza del governo, delle aziende e dei sindacati; fa ricerche sugli ambienti di lavoro; valuta gli effetti delle riforme e delle iniziative messe in campo; monitora le misure prese negli altri paesi; e incoraggia lo sviluppo delle organizzazioni per la salute sul lavoro.
Gli squilibri socioeconomici fra i paesi europei si ripercuotono anche sulla sicurezza dei lavoratori
Nel giugno 2021 l’Unione europea ha adottato una nuova strategia per migliorare la salute e la sicurezza dei lavoratori entro il 2027. Le norme puntano a prevenire gli incidenti, già calati del 70 per cento dal 1994.
Sono previsti limiti più stringenti per l’esposizione a sostanze tossiche come l’amianto, il piombo e il cobalto; “risorse di facile utilizzo per l’applicazione di misure di prevenzione nei luoghi di lavoro”; un’iniziativa sulla salute mentale nei luoghi di lavoro; il miglioramento della raccolta dei dati sugli incidenti e l’analisi delle cause che li hanno provocati.
Lo slogan “zero vittime” usato dal commissario europeo per l’occupazione e i diritti sociali Nicolas Schmit per illustrare questa strategia rischia però di infrangersi se si tengono conto dei sei lavoratori ogni 100mila che ogni anno perdono la vita in Romania; e più in generale se si guarda agli squilibri socioeconomici fra i paesi del nord, del sud e dell’est Europa, che si ripercuotono anche sulla sicurezza dei lavoratori.
In Italia, nei primi sei mesi del 2021, l’Inail ha censito 538 “morti bianche”, in media tre al giorno: sono meno rispetto al 2020, ma gli incidenti sono aumentati dell’8,9 per cento. L’Osservatorio indipendente di Bologna ne ha invece contati 864 fino al 9 agosto, aggiungendo le vittime sulle strade e in itinere, vale a dire mentre andavano o tornavano dal lavoro.
I settori più colpiti sono quello agricolo, quello edilizio e quello manifatturiero. A scorrere l’elenco di questa Spoon River operaia si trova di tutto: lavoratori folgorati da cavi dell’alta tensione, contadini finiti sotto un trattore, muratori caduti da un’impalcatura, il diciottenne neoassunto in un’oasi naturalistica e il sindacalista Adil Belakhdim travolto da un tir durante un picchetto davanti a un deposito della Lidl a Biandrate, nel novarese.
Non passa giorno senza che la conta delle vittime vada aggiornata. Il 10 agosto è stata l’ennesima giornata nera. Verso le 8 di mattina a San Paolo Argon, in provincia di Bergamo, un operaio indiano di 36 anni è morto cadendo dal tetto di una fonderia, la Toora Casting, dove stava rimuovendo la copertura di amianto. Due ore dopo, a Casnigo – sempre in provincia di Bergamo – un camionista di 49 anni è stato investito da un’ondata di caprolattame, una sostanza chimica utilizzata per la produzione del nylon, rimanendo ferito in maniera grave. Negli stessi istanti, mille chilometri più a sud, a Caggiano, in provincia di Salerno, un agricoltore di 64 anni si è visto tranciare una gamba dal suo trattore; mentre in un negozio di surgelati nel centro di Asti un tecnico manutentore di 56 anni moriva per le ustioni provocate dalla fiammata esplosa nella cella frigorifera che stava riparando.
Quello stesso 10 agosto, a Massa Finalese, una piccola folla si è stretta attorno alla famiglia di Laila el Harim. In prima fila c’erano sindaci e amministratori di tutta l’area, e pure il console marocchino. Tra le lacrime e la commozione, sono risuonati i consueti, retorici “mai più” che accompagnano ogni morte sul lavoro.
Leggi anche: