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L’eterna questione dei compiti, vista dalla Polonia

Durante una lezione nella scuola primaria di Józefów, in Polonia. (Janek Skarzynski, Afp)

“Quando leggo gli studi sulla salute mentale di bambini e bambine, sulla mole di lavoro che gli viene assegnata a scuola, sul disagio, le tensioni, lo stress che esprimono in classe o sui motivi per cui perdono interesse a imparare, uno dei fattori, il più facile da rimuovere, sono i compiti a casa”, aveva detto Barbara Nowacka a gennaio, poche settimane dopo essere stata nominata ministra dell’istruzione in Polonia. Ad aprile il suo governo è passato dalle parole ai fatti: ha abolito i compiti per le prime tre classi della scuola primaria, cioè per gli alunni dai sette ai nove anni. E ha chiarito che per gli studenti più grandi, dai dieci ai quattordici anni (la primaria in Polonia dura otto anni), gli esercizi da svolgere a casa d’ora in poi sono facoltativi e non contano ai fini del voto.

Come hanno reagito i polacchi? In un sondaggio riportato dalla Polska Agencja Prasowa, l’agenzia di stampa polacca, il 54,2 per cento degli intervistati non apprezza il cambiamento (con un 30 per cento decisamente contrario), il 27 per cento lo accoglie con entusiasmo, il 13,9 per cento lo appoggia abbastanza e il 4,9 per cento non sa cosa rispondere. In genere i giovani sono favorevoli, mentre le persone intorno ai sessant’anni sono le più ostili. Chi difende i compiti a casa è convinto che aiutino a consolidare le conoscenze acquisite in classe e che siano un modo per migliorare il rendimento scolastico. Jarosław Kaczyński, leader di Diritto e giustizia (Pis, il partito di estrema destra al potere tra il 2015 e il 2023 e ora all’opposizione), ha dichiarato che eliminarli trasformerà i giovani polacchi nei “braccianti d’Europa”, e insegnerà a bambine e bambini “a essere pigri”.

L’abolizione dei compiti era una delle “cento politiche concrete” della Piattaforma civica, l’alleanza guidata da Donald Tusk che ha sconfitto il Pis alle elezioni dello scorso ottobre. Il proposito era nato da un’osservazione fatta nel 2018 dall’ombudsman Adam Bodnar (ora ministro della giustizia), che aveva ricevuto una marea di reclami dai genitori. In un documento intitolato “Un’enorme quantità di compiti a casa: il ministero dell’istruzione deve intervenire”, Bodnar aveva elaborato con varie organizzazioni della società civile una serie di consigli, in realtà senza mai suggerire di togliere i compiti del tutto. Il tema poi era tornato attuale nel 2023, in campagna elettorale, quando un ragazzo di quattordici anni era intervenuto a un comizio a cui era presente Tusk e rivolgendosi a lui si era lamentato che gli studenti “non hanno tempo per riposare” e che la montagna di lavoro da svolgere a casa nei fine settimana, e le verifiche e le interrogazioni di lunedì violavano i loro diritti. A gennaio Tusk, diventato nel frattempo primo ministro, ha pubblicato su X (ex Twitter) un video di trenta secondi in cui ha ricordato le parole di quell’adolescente e ha detto: “Annuncio solennemente che questo problema non esiste più”.

Alla fine del 2023, il governo Tusk era già intervenuto sul sistema scolastico promettendo che maestre e maestri (tra i meno pagati in Europa) avrebbero ricevuto un aumento del 30 per cento in busta paga, mentre il ministero dell’istruzione ha messo mano ai programmi, riducendo per esempio il numero di ore di religione e rimuovendo alcuni libri di testo con impostazioni molto conservatrici, lascito dei governi precedenti.

Le nuove regole sui compiti s’inseriscono in un processo più ampio per modernizzare il sistema educativo del paese, che secondo alcuni insiste troppo sull’apprendimento a memoria e sul lavoro da svolgere a casa, e non abbastanza sul pensiero critico e sulla creatività.

Gli studenti polacchi, a dire il vero, non si piazzano male nelle indagini internazionali, spiega la Polskie Radio, la radio pubblica. Ma questi risultati nascondono un’insoddisfazione diffusa. In un sondaggio recente il 51 per cento degli intervistati si è detto scontento dei metodi didattici e il 47 per cento ha messo l’accento sulla distanza tra i programmi e il mondo del lavoro.

Se gli studenti ottengono buoni risultati, continua la radio, è soprattutto per due ragioni: le scuole danno moltissima importanza ai test, cosa che da un lato aumenta la pressione su ragazze e ragazzi ma dall’altro li abitua a sostenere delle prove; e le famiglie si adattano ricorrendo a corsi extra e lezioni private. “Studenti e genitori si convincono che questo sforzo possa compensare un insegnamento scadente e i curricula obsoleti”.

La scuola dove s’impara dai propri errori
Nel villaggio di Řeznovice alunni e insegnanti lavorano insieme. Non solo per apprendere, ma anche per migliorarsi e stare con gli altri

Jan Hartman, direttore del dipartimento di filosofia e bioetica dell’università Jagellonica di Cracovia, ha commentato le regole sui compiti nel blog che cura per il settimanale Polityka. “Che la decisione sia stata presa troppo velocemente, senza una consultazione pubblica, è fuori discussione”, scrive Hartman. “Questo genere di cose non si fa. È avvilente per gli insegnanti, anche se è facile immaginare che i bambini e le bambine ameranno la ministra e il suo partito”. Non è un male, precisa, a patto che la riforma sia valida. Lo è?

Il filosofo parte dalle argomentazioni a favore. “Le ricerche dicono che l’apprendimento autonomo a casa è inefficace e che gran parte degli esercizi alla fine è svolta dai genitori. Inoltre, si sa che i compiti si ‘copiano’. Tutto ciò rafforza l’idea che imparare equivalga a fare finta di farlo, se non semplicemente a ingannare gli altri. Senza contare che i bambini sono sovraccaricati di compiti, e il rimuginarci sopra per ore li stanca enormemente, sottraendo tempo al gioco, ai loro interessi, agli amici, ai genitori e alla famiglia. È un peccato sprecare l’infanzia sui compiti”.

Difficile non condividere questi punti, ammette Hartman. Ma per lui il lavoro a casa resta essenziale, in ogni fase dell’apprendimento. “Qualsiasi persona istruita è tale perché lavora alla propria formazione da sola, in silenzio. Di solito si tratta di leggere, a volte di fare qualche esercizio. Concentrarsi su qualcosa, assumersi la responsabilità del risultato e avere la capacità di valutarlo rendono l’apprendere un’ambizione importante per l’individuo. Da piccolo e poi da adulto”. Le attività di gruppo, la discussione, l’ascolto dell’insegnante sono ovviamente ottimi complementi, continua, ma imparare è prima di tutto un processo personale. “Togliere i compiti a bambini e ragazzi non significa che non possano studiare anche a casa. Ma è un’illusione pensare che una maggioranza soddisfacente di bambini (e quindi quasi tutti) si metta in camera a studiare in solitudine. La scuola è un obbligo proprio perché se fosse volontaria alcuni non ci andrebbero. Lo stesso vale per i compiti”.

Naturalmente molte cose devono cambiare, conclude il filosofo, e per fortuna ci sono buone pratiche a cui ispirarsi. In molti paesi, per esempio, i compiti sono annunciati con largo anticipo, in modo che non creino una pressione eccessiva. È già così in molte scuole polacche. Gli esercizi a casa si possono organizzare su base mensile, suddividendoli tra le settimane, e il collegio dei docenti può assumere un ruolo di coordinamento e di controllo, assicurandosi che ciascun insegnante non dia troppi compiti. La scuola deve garantire che i bambini di sezioni diverse, con docenti diversi, abbiano carichi di lavoro simili. Per quanto riguarda i contenuti, i compiti non devono essere troppo difficili, ma nemmeno “meccanici”. È anche una buona idea dare agli alunni libertà di scelta: alcuni avranno bisogno di lavorare su un argomento, altri su qualcosa di diverso.

Una scuola primaria di Cracovia ha provato a vedere cosa succede quando si tolgono i compiti. Prima ancora che entrassero in vigore le nuove regole ha fatto un esperimento per un mese, racconta il quotidiano Gazeta Wyborcza: nella prima settimana ha assegnato agli alunni esercizi da fare a casa come al solito, nella seconda settimana ha continuato a darli ma senza pretendere che venissero svolti e nelle restanti due li ha tolti. Contemporaneamente, ha chiesto ai genitori di osservare i loro figli e di compilare un questionario.

Quasi il 60 per cento ha notato dei cambiamenti, ma non quelli sperati. I figli, liberi dai compiti, non approfittavano del tempo libero per dedicarsi agli hobby, agli amici o allo sport: essenzialmente stavano più a lungo di prima al telefono o al computer. Gli altri genitori, il 40 per cento, hanno affermato che i figli dormivano e giocavano di più.

I compiti a casa sono uno degli argomenti più analizzati e discussi dai pedagogisti. Negli Stati Uniti, per esempio, le ricerche non sono arrivate a una conclusione convincente, ma la posizione più condivisa è che una quantità moderata di esercizi a casa (fino a un’oretta al giorno negli ultimi anni della primaria) può avere conseguenze positive sui risultati senza produrre “effetti collaterali” come livelli alti di stress o un aumento delle disuguaglianze. In Finlandia, che è regolarmente in cima alle classifiche sull’istruzione stilate dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ed è spesso celebrata come “paese senza compiti” – lo ha ricordato anche il governo polacco per sostenere il suo provvedimento – le scuole non hanno eliminato i compiti, ma semplicemente ne assegnano la metà rispetto alla media.

Questo testo è tratto dalla newsletter Doposcuola.

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