Siamo frutto dei geni, dell’educazione e magari anche del caso
Batman è diventato un giustiziere dopo aver visto i suoi genitori assassinati. Le capacità di Wonder Woman di combattere il crimine sono dovute alle sue doti soprannaturali e alla sua infanzia fatta di allenamenti sportivi. Tra noi comuni mortali tanti hanno delle storie di formazione, anche se meno drammatiche. Potreste credere, per esempio, di aver ereditato l’intelligenza da vostra madre o la fiducia in voi stessi da vostro padre, o l’amore per la cucina dai momenti divertenti trascorsi in cucina con i nonni.
Una delle domande più affascinanti su ciò che ci rende quel che siamo è quanto della nostra personalità, delle nostre capacità e dei nostri interessi sia dovuto ai geni e quanto all’ambiente in cui siamo cresciuti, sia esso la natura o l’educazione. Ma c’è una terza influenza che, fino a poco tempo fa, era passata sotto silenzio: la casualità.
Più nello specifico: gli eventi casuali che influenzano le cellule nervose durante lo sviluppo del cervello. Si tratta di un elemento finora clamorosamente dimenticato. Le ultime ricerche suggeriscono che il ruolo della casualità nel plasmare ciò che siamo potrebbe essere di gran lunga superiore a quello dei fattori ambientali e, in alcuni casi, a quello dei fattori genetici. Se così fosse, dovremmo davvero considerarci come il prodotto di natura, educazione e “rumore” (eventi casuali durante lo sviluppo del cervello).
Natura ed educazione
La cosa non interessa solo i neuroscienziati: ha profonde implicazioni per tutti noi. Potremmo smettere di preoccuparci così tanto delle nostre scelte genitoriali e – scusaci Freud – potremmo anche dover attribuire meno colpe ai nostri genitori per quel che siamo diventati. “Tendiamo a sviluppare spiegazioni narrative a proposito delle differenze che osserviamo nelle persone”, dice Benjamin de Bivort dell’università Harvard. “Più mi sono addentrato in questo lavoro, più sono arrivato a pensare: forse si tratta solo di una casualità”.
Le domande sull’importanza relativa della nostra natura innata e della nostra educazione risalgono a molto tempo fa, e sono state perfino oggetto di dibattito tra il filosofo greco Platone e il suo allievo Aristotele. Ma l’accattivante espressione nature versus nurture (natura contro educazione) è stata pronunciata nel diciannovesimo secolo dallo scienziato Francis Galton, un pioniere nella disciplina allora emergente dell’ereditarietà. Galton ha inoltre reso popolare l’eugenetica, la ripugnante idea secondo la quale si dovrebbe impedire di avere figli ad alcune persone con caratteristiche “indesiderabili”.
Tra le influenze che possiamo misurare, i geni sono l’aspetto più determinante
Gli scienziati faticano ancora oggi a emancipare il campo della genetica comportamentale dal suo ignobile passato, ma hanno fatto progressi nel misurare l’impatto relativo di geni e ambiente su caratteristiche come l’intelligenza, l’introversione e l’autocontrollo. La natura e l’educazione sono spesso difficili da separare perché i bambini di una stessa famiglia tendono a condividere sia il dna sia il modo in cui sono stati cresciuti. Per esempio, il fatto che i bambini a cui si legge da piccoli tendano ad andare bene a scuola potrebbe essere dovuto al fatto che l’esposizione precoce ai libri alimenti il loro interesse per l’apprendimento, ma anche al fatto che abbiano ereditato dai genitori i geni della lettura.
I genetisti hanno affrontato questo problema usando due tipi di studi. Il primo prevede il confronto tra gemelli identici e gemelli non identici. I primi condividono praticamente tutto il proprio dna, i secondi solo la metà, ma si presume che entrambi condividano la loro educazione in misura analoga. Il secondo tipo di studio mette a confronto coppie di fratelli biologici con coppie di fratelli in cui un bambino è stato adottato alla nascita. Entrambi i tipi di coppie tendono ad avere un’educazione simile, ma i fratelli biologici condividono metà del loro dna, mentre quelli adottivi non ne condividono alcuno.
Diversi decenni di studi di questo tipo, che hanno coinvolto centinaia o addirittura migliaia di partecipanti, hanno generato un ampio consenso: tra le influenze che possiamo misurare, i geni sono l’aspetto più determinante. La loro portata esatta varia a seconda della caratteristica esaminata – felicità, resilienza o altro – ma spesso al dna è riconducibile circa la metà della differenza tra gli individui. Gli effetti dell’educazione, invece, sono molto più limitati e vanno dal 17 allo zero per cento. “Negli studi sulle adozioni, le correlazioni tra le caratteristiche delle famiglie e dei bambini adottati sono sostanzialmente nulle”, afferma Eric Turkheimer dell’università della Virginia.
Un’eccezione degna di nota è l’intelligenza, dove l’impatto dell’educazione è di circa il 25 per cento durante l’infanzia. Tuttavia questo si riduce fino a diventare quasi nullo in età adulta, quando gli effetti di un’istruzione stimolante o della pressione dei genitori svaniscono, e le persone hanno molto più controllo sulla propria vita intellettuale. È necessaria inoltre una precisazione: nei casi di abuso infantile, l’impatto ambientale può avere effetti gravi e duraturi. “È chiaro che se si rinchiude in uno sgabuzzino un bambino, questo ne sarà danneggiato”, dice il genetista Robert Plomin del King’s College di Londra, che ha scritto di questi risultati nel suo libro del 2018, L’impronta genetica. Come il dna ci rende quelli che siamo. “Ma noi stiamo parlando del motivo per cui, presso la popolazione ordinaria, i bambini cresciuti con un’educazione normale, sono diversi [l’uno dall’altro]”.
Influenza dei genitori
Nonostante prove convincenti, l’idea che i genitori abbiano una scarsa influenza duratura sull’intelligenza e sulla personalità dei figli non è ampiamente accettata al di fuori del campo della genetica comportamentale. Uno dei motivi sono le implicazioni sociali e politiche associate a quest’idea: non solo la macchia lasciata dall’eugenetica, ma anche il fatto che, oggi, molte persone di destra vedano alcuni dei mali della società come radicati nella genetica umana. Questo può talvolta portare i loro avversari di sinistra a rifiutare i risultati degli studi che dimostrano l’influenza dei geni. Un altro problema è che molti studi affermano di aver constatato che l’ambiente in cui le persone vivono all’inizio della loro vita abbia notevoli effetti sul prosieguo della loro esistenza. Tuttavia qualsiasi ricerca del genere che non usi il metodo dei gemelli o dei fratelli adottivi per individuare l’importanza dei geni è viziata dal principio.
Anche prestigiosi articoli scientifici usano talvolta un linguaggio che confonde i termini della questione. Se uno studio scopre, per esempio, che i geni sono responsabili di metà della variazione del quoziente intellettivo tra gli adulti, i ricercatori spesso riferiscono di aver scoperto che i geni determinano il 50 per cento del risultato, e che “l’ambiente” faccia il resto. Ma parlano di “ambiente” per indicare tutto quanto non siano i geni.
A volte sottolineano addirittura questo cosiddetto contributo ambientale per dimostrare che non credono che siamo schiavi dei nostri geni, dice Kevin Mitchell, specialista di neurogenetica al Trinity College di Dublino. “È una sorta di copertura per chi pensa che [la genetica] abbia connotazioni sinistre”.
Le cose diventano più chiare quando i ricercatori dividono questi fattori non genetici in due tipi: “ambiente condiviso” e “ambiente non condiviso”. Il primo si riferisce all’ambiente che i bambini di una stessa famiglia hanno in comune e comprende tutto ciò che normalmente consideriamo educazione, come lo stile genitoriale, il reddito familiare, il tipo di istruzione scolastica e così via. Secondo gli studi sui gemelli e sulle adozioni, questa percentuale è compresa tra il 17 e lo zero per cento. Se i geni sono responsabili di circa il 50 per cento delle nostre caratteristiche variabili, la matematica ci dice che tra il 33 e il 50 per cento è dovuto a qualcos’altro: quello che, con un’espressione che non aiuta, è chiamato ambiente non condiviso. In cosa consista in realtà questo ambiente rimane un mistero e tuttavia, stando ai numeri, il suo impatto fa impallidire quello dell’educazione e talvolta ha effetti pari a quelli dei geni. Lo si potrebbe definire la materia oscura delle nostre storie d’origine personali.
Di che tipo d’influenze potrebbe essere composta questa materia oscura? Per diverso tempo, i genetisti comportamentali hanno ipotizzato che comprendesse tanti piccoli fattori, apparentemente troppo trascurabili per essere misurati o addirittura memorizzati. Tra questi potrebbero esserci incontri casuali con insegnanti o amici, piccole malattie infantili o le prime relazioni sentimentali. Un collega di Plomin al King’s College di Londra, Damien Morris, fa l’esempio ipotetico di una coppia di gemelli identici seduti vicini sui banchi di scuola. “Uno dei due fissa fuori dalla finestra e viene distratto da un uccello in volo, proprio mentre l’altro gemello viene rapito dalla descrizione di una particolare poesia fatta dall’insegnante, sviluppando così un amore per la poesia che durerà tutta la vita”.
Sviluppo del cervello
Ma i ricercatori che lavorano sugli animali hanno trovato prove sempre più evidenti del fatto che almeno alcune delle influenze casuali che ci modellano potrebbero essere il risultato di eventi casuali che si verificano nel cervello prima della nascita. Un’ipotesi che contrasterebbe con le idee che alcuni hanno a proposito di come si formi il cervello. Il dna è spesso descritto come l’impronta del corpo, per usare il titolo del libro di Plomin. Ciò fa pensare che i geni codifichino un preciso schema di collegamento tra i circa 86 miliardi di cellule cerebrali umane e i loro mille miliardi di connessioni note come sinapsi.
Ma non è così. I geni implicati nello sviluppo del cervello sono più simili a una ricetta per la preparazione di una torta, anche se ogni istruzione ha un certo grado d’indeterminatezza. A ogni nuovo passo – quando per esempio le cellule cerebrali embrionali si moltiplicano, migrano verso nuove sedi o si specializzano diventando diversi tipi di cellule - cellule che fanno determinate cose in un certo modo in un individuo, le fanno in misura leggermente maggiore o minore in un’altra persona geneticamente identica.
“Tutti abbiamo all’inizio un nostro genoma individuale, poi lo sviluppo porta a un’evoluzione dell’organismo che si basa sulle informazioni contenute in quel genoma, ma aggiunge le sue proprie variazioni mano a mano che il processo va avanti”, sostiene Mitchell. O come dice nel suo libro del 2018, Buon sangue non mente. Perché le caratteristiche della nostra personalità sono molto più innate di quanto pensiamo, “non si può cucinare due volte la stessa torta”.
Non possiamo osservare questo sviluppo nei feti umani perché il metodo attualmente usato per visualizzare il diagramma di collegamento del cervello lo distrugge nel farlo. Inoltre si tratta di un metodo molto laborioso, in quanto richiede la trasformazione del tessuto cerebrale in migliaia di fette ultrasottili. Per questo è stato usato principalmente per studiare animali con cervelli molto piccoli, come i vermi e i moscerini della frutta, oltre a parti del cervello dei topi.
Ma i primi risultati di questi studi dimostrano che animali geneticamente identici, allevati in condizioni il più possibile simili, possono avere dei collegamenti cerebrali leggermente diversi. Per esempio, la ricerca di De Bivort e dei suoi colleghi ha scoperto che i moscerini della frutta hanno una preferenza innata e duratura per la rotazione a destra o a sinistra quando si muovono, che è controllata dal modello di collegamento delle cellule cerebrali chiamate neuroni colonnari. De Bivort e la sua équipe hanno scoperto che i moscerini neonati non ereditano questa tendenza dai genitori e che la variabilità era presente anche in un gruppo di moscerini geneticamente identici. Questo, concludono, suggerisce che la causa è da ricercarsi in eventi casuali intrinseci. Nel 2020 un altro gruppo di ricercatori ha scoperto che le differenze nei collegamenti cerebrali determinano una variazione casuale nel grado di attrazione delle mosche per i motivi a strisce e ad alto contrasto.
I piccoli cervelli delle mosche, come quelli della maggior parte degli animali, sono perlopiù simmetrici, e quindi un’altra strategia consiste nell’esaminare le differenze tra il lato destro e quello sinistro. Con questo approccio, è ancora più probabile che le differenze siano dovute al caso, poiché i due lati sono stati costruiti dalla stessa serie di geni e sono stati esposti allo stesso ambiente. I ricercatori stanno scoprendo sempre più spesso che può esistere un’asimmetria tra i due lati al livello di singole cellule cerebrali. Per quanto riguarda, per esempio, i neuroni di proiezione – un tipo di cellula cerebrale che contribuisce all’olfatto – entrambi i lati del cervello possono averne due, tre o quattro.
Eventi casuali di collegamento cerebrale potrebbero addirittura plasmare ciò che siamo ben oltre l’infanzia
È inimmaginabile fare questo tipo di esperimenti sulle persone, ma la biologia che condividiamo con le mosche sembra suggerire che esistano dei paralleli. “Alcune caratteristiche che esistono nelle mosche al livello molecolare tendono a essere presenti negli esseri umani al livello molecolare”, dice De Bivort. Inoltre, anche se non possiamo ancora visualizzare i diagrammi di collegamento cerebrale delle creature più grandi, l’osservazione del loro comportamento ci dice che animali geneticamente identici possono differire in alcuni tratti, come l’aggressività innata e il comportamento esplorativo. Questo è stato dimostrato nei topi, nei gamberi di fiume e negli armadilli e potrebbe essere osservato più diffusamente grazie alla crescita del settore della clonazione degli animali domestici. Quest’anno è arrivata la notizia di una donna del Texas che ha pagato 25mila dollari per far clonare il suo adorato gatto morto, ma ha poi scoperto che, sebbene il nuovo animale somigliasse a quello vecchio, aveva una personalità completamente diversa.
Fortuna casuale
I meccanismi alla base di questi eventi casuali nello sviluppo del cervello cominciano a emergere solo ora. Inoltre non è ancora chiaro quando si verifichino gli eventi determinanti. Alcuni genetisti umani ritengono che, nelle persone, sia più probabile che si verifichino durante l’infanzia piuttosto che nel grembo materno. Questa idea si basa su studi sui gemelli che hanno rilevato che l’impatto dell’ambiente non condiviso varia nel corso dell’infanzia. Per esempio, se si misura il quoziente intellettivo di due gemelli omozigoti, uno potrebbe risultare più alto dell’altro in giovane età, ma qualche anno dopo la differenza potrebbe essere assente o addirittura invertita. “Se il cosiddetto rumore dello sviluppo [nel grembo materno] rientrasse nell’ambiente non condiviso – perché i neuroni di alcuni erano in una posizione che favorisce l’intelligenza, mentre quelli di altri erano in direzione opposta – la maggior parte di esso sarebbe persistente”, dice Morris.
Eventi casuali di collegamento cerebrale potrebbero addirittura plasmare ciò che siamo ben oltre l’infanzia. I neuroscienziati erano soliti pensare che il cervello umano finisse di maturare nei primi anni di vita, ma un lavoro di scansione cerebrale più recente mostra che questo continua a svilupparsi durante l’adolescenza e perfino nella prima età adulta.
Molte regioni chiave del cervello degli adolescenti subiscono un processo detto di “potatura”, ovvero la perdita di connessioni tra le cellule cerebrali. Si presume generalmente che questo processo sia una risposta diretta all’ambiente circostante, ma in realtà sappiamo molto poco sui suoi meccanismi e sulle sue cause. È quindi possibile che gli eventi casuali abbiamo un qualche ruolo al riguardo.
Quando avvengono questi eventi casuali, essi sono, per loro stessa natura, difficili da studiare. De Bivort spera che ulteriori approfondimenti possono venire dagli studi sui “mini-cervelli”, minuscole sfere di tessuto neurale coltivate in laboratorio che replicano alcuni aspetti della struttura cerebrale del feto. Mini-cervelli umani geneticamente identici potrebbero essere coltivati nelle stesse condizioni di coltura e poi tagliati a fette per discernere i loro diagrammi di collegamento. In alternativa, se un giorno saranno disponibili tecniche di scansione cerebrale più potenti e non distruttive, queste potrebbero essere usate su gemelli identici appena nati per esaminare le differenze strutturali tra le reti neuronali dei loro cervelli.
Per alcune delle ipotesi ventilate, resta da determinare se esse derivino da eventi veramente casuali, come li definirebbero i fisici, o se siano semplicemente non misurabili. Ma per Plomin questo non ha importanza. “Da un punto di vista pratico, molte delle differenze nel nostro comportamento sono essenzialmente imprevedibili”, dice.
Questo nuovo modo di intendere lo sviluppo del cervello potrebbe dividere le opinioni. Potrebbe essere osteggiato dal settore della psicoanalisi, i cui operatori dicono notoriamente ai loro clienti “parlami della tua infanzia”. Di certo l’idea che la nostra psiche sia profondamente influenzata dal modo in cui siamo cresciuti è profondamente radicata nella cultura, dalle opere di narrativa ai libri di consigli per genitori. Se gli eventi casuali hanno davvero la meglio sull’influenza dei genitori, la cosa sarebbe una negazione di una delle poesie moderne più conosciute della lingua inglese, This be the verse di Philip Larkin, che comincia con: “They fuck you up, your mum and dad”(Mamma e papà ti fottono la vita). Ma l’influenza del caso potrebbe non sorprendere i genitori che vedono chiare differenze nella personalità dei loro figli nonostante si sforzino in tutti i modi di trattarli allo stesso modo.
Per ora, molti aspetti di queste influenze casuali rimangono un mistero. I punti interrogativi che si celano dietro una tale forza formativa sulla psiche umana potrebbero, per alcuni, essere fonte di angoscia esistenziale. Ma per altri si tratta di una liberazione. “Siamo rimasti bloccati per così tanto tempo sul fatto che i geni e l’ambiente siano le uniche fonti di variazione, quando, in realtà, sono proprio queste traiettorie peculiari a renderci unici e irripetibili”, dice Mitchell. “C’è un aspetto ottimistico, in tutto ciò, che fa sembrare la vita degna di essere vissuta”.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito sul settimanale britannico New Scientist.