Il cambiamento parte dal cesto dei giocattoli
Quanti ricordano Mr. Magoo, il vecchietto che rifiutandosi di ammettere la sua grave miopia si ficcava continuamente nei guai? Anche se per la maggior parte delle persone l’irascibile miliardario era solo il protagonista di un famoso cartone animato degli anni cinquanta, per alcuni analisti politici era il simbolo dell’establishment conservatore dell’epoca maccartista e per gli storici del giocattolo era addirittura il primo personaggio inclusivo per bambini. In effetti il modellino di Mr. Magoo nella sua inconfondibile automobile gialla, prodotto dalla Hubley nel 1961, è considerato il primo giocattolo che rappresenta una forma di disabilità, visto che Mr. Magoo era praticamente cieco.
Ma al di là della simpatia che evoca tra chi è cresciuto con le sue avventure, è evidente che un vecchio bisbetico e arrogante non sia proprio l’ideale per rappresentare la diversità tra i bambini, e infatti nel 1962 Mr. Magoo fu contestato durante una delle primissime manifestazioni a favore dei diritti dei disabili, per via dell’immagine stereotipata e ridicola che dava delle persone cieche e ipovedenti.
Per fortuna nel frattempo sono stati fatti grandi passi avanti e oggi al posto di Mr. Magoo ci sono giocattoli decisamente più adeguati. Come per esempio Marlow, che nel catalogo online del produttore, Our generation, è descritta così: “Ecco Marlow e il suo dolcissimo cane guida! Ha gli occhi marroni e lunghi capelli biondi da pettinare. Marlow è cieca e si affida al suo fedele amico per girare in città. Indossa un vestito a righe con un lungo cardigan beige e degli stivaletti abbinati”. Per chi invece volesse personalizzare un giocattolo già in suo possesso, Children’s factory produce un kit con un cane guida, degli occhiali scuri e un bastone per non vedenti da applicare al proprio peluche o la propria bambola. Siamo avanti anni luce dall’automobile di Mr. Magoo, ma in effetti nel mondo dei giocattoli sessant’anni sono come un’era geologica.
Appelli e cambiamenti
Negli ultimi tempi la rappresentazione della diversità fisica nelle bambole e nei personaggi per bambini ha subìto una forte accelerazione ed è una tendenza che si riscontra anche nei prodotti audiovisivi: cartoni animati di successo come Peppa Pig e My Little Pony hanno incluso personaggi con qualche disabilità, i quali poi sono approdati anche nelle rispettive linee di giocattoli. Per quanto riguarda la Disney, andrebbe ricordato che già Biancaneve e i sette nani, il loro primo lungometraggio uscito nel 1939, aveva dei protagonisti affetti da nanismo e uno in particolare, Cucciolo, era anche affetto da mutismo. Ma in quel caso non c’era ancora nessun intento inclusivo e, anzi, nel caso di Cucciolo il suo nome in inglese, Dopey, cioè “rintontito”, ha perfino una connotazione offensiva. È solo di recente che il gigante dell’intrattenimento per famiglie ha mostrato attenzione per la diversità, e nei film Alla ricerca di Nemo (2003) e Alla ricerca di Dory (2016) ha messo al centro della storia un pesciolino con una pinna atrofizzata e la sua amica con evidenti difficoltà di apprendimento. Il peluche di Nemo, con la sua pinna visibilmente più piccola dell’altra, è diventato un giocattolo molto utile per i genitori di bambini con malformazioni agli arti.
Il cambio di atteggiamento di alcuni grandi produttori di giocattoli in parte si deve proprio a una campagna ideata da genitori di bambine e bambini con disabilità. Nel 2015 tre mamme britanniche hanno lanciato un appello sui social network postando una foto di una bambola di Campanellino con un apparecchio acustico. “Date a questa fatina sorda le ali per volare!”, hanno scritto nel loro appello sotto la foto. “Ogni like e condivisione le darà un pizzico di polvere magica in più per poter spiccare il volo e diffondere il suo messaggio magico! I 45mila bambini sordi del Regno Unito (e tantissimi altri nel mondo) hanno bisogno di una rappresentazione positiva nei loro giocattoli!”.
L’appello ha avuto successo e nel giro di qualche settimana la campagna #toylikeme ha dato vita a un’impressionante mobilitazione di genitori. La prima a reagire è stata Makies, un’azienda britannica che vende online. Qualche settimana dopo ne ha aggiunte tre alla propria linea: una con una voglia molto visibile sul viso, una cieca e una con le protesi acustiche. Ma la vera vittoria è stata smuovere le grandi aziende: in diretta risposta a Rebecca Atkinson, una delle tre mamme di #toylikeme che l’aveva chiamata in causa, nel gennaio 2016 la Lego ha finalmente presentato alla fiera del giocattolo di Norimberga il suo primo personaggio su sedia a rotelle. Nel frattempo la sua diretta rivale, Playmobil, che già prima della campagna aveva incluso qualche personaggio disabile nelle sue linee, ha aumentato la sua offerta: nel 2019 per esempio ha messo in commercio uno scuolabus con una rampa per le carrozzelle e una scuola senza barriere architettoniche e con i bagni per persone con disabilità.
La vera vittoria di questa campagna, che ancora oggi continua a fare pressione sull’industria del giocattolo, è stato far capire che giocattoli più rappresentativi delle diversità non si rivolgono a poche persone, ma sono una questione che riguarda tutti. “Forse non ce ne rendiamo conto, ma giocare con le bambole è un’esperienza molto formativa per i bambini, che gli permette di normalizzare alcune realtà”. A parlare è Victoria Orruño, la direttrice marketing dell’azienda spagnola Miniland, che nel 2020 ha aggiunto al suo catalogo sei bambolotti con la sindrome di Down, vincitori del premio Giocattolo dell’anno in Spagna. Non è il primo esperimento di questo genere, ma in passato si trattava sempre di giocattoli a scopo didattico prodotti su richiesta da piccole aziende a prezzi molto elevati, che finivano per far sentire i bambini con la sindrome di Down e le loro famiglie ancora più emarginati. La novità dei giocattoli della Miniland, così come di quelli prodotti quasi contemporaneamente in Australia e in Nuova Zelanda dalla catena di ipermercati Kmart, è che sono distribuiti in negozi come tutti gli altri e i bambini li trovano accanto alle altre bambole. L’integrazione, insomma, comincia già dagli scaffali dei negozi e trasmette il messaggio che si tratta di bambole per tutti.
Contro gli stereotipi
Il fronte su cui si sono registrati progressi maggiori in fatto di inclusività, e anche quello su cui si è ragionato di più, è quello del colore della pelle. Il caso emblematico è quello di Barbie: messa in vendita per la prima volta nel 1959, ha dovuto aspettare quasi dieci anni per avere la sua prima amica afroamericana, e con lei tutte le bambine non bianche che aspettavano di vedersi rappresentate nella bambola che aveva conquistato il mondo. Dagli anni ottanta in poi i modelli di punta sono stati disponibili anche in versione afroamericana e latinoamericana, ma queste varianti non figuravano mai nelle pubblicità o sul merchandising ufficiale, trasmettendo la forte percezione che la bambola bianca e bionda fosse la più importante. E allo stesso tempo spingendo i bambini di altre etnie a interiorizzare un senso di inferiorità.
Lisa Williams, che nel 2016 ha creato la linea di bambole Positively perfect per offrire più modelli di rappresentazione ai bambini afroamericani, ha raccontato in un’intervista al programma tv Exhale cosa l’ha spinta a dedicarsi ai giocattoli: “Ho avuto l’opportunità di studiare la versione aggiornata del Doll study, una famosa ricerca compiuta negli anni cinquanta che è stata ripetuta di recente, e i risultati sono sconvolgenti: ancora oggi, quando sono messi davanti a una scelta, i bambini neri preferiscono le bambole bianche. In particolare una bambina ha detto agli esperti: ‘Preferisco quella con la pelle bianca perché l’altra ha la pelle brutta. Come la mia’”.
Bianco quindi equivale a bello. Come sembra suggerire anche la pubblicità che negli anni settanta introduceva la versione con la pelle scura di Cicciobello, il bambolotto più amato in Italia: nonostante il meritevole sforzo di promuovere l’integrazione – nello spot figuravano due bambine di etnia diversa e lo slogan era “conoscersi giocando” – il fatto che il bambolotto bianco si chiamasse Cicciobello Bellissimo mentre l’altro Cicciobello Angelo Negro tradiva l’automatismo di collegare l’idea della bellezza con la pelle bianca.
La prima Barbie su una sedie a rotelle risale al 1997, ma poco dopo era stata messa fuori produzione
Oggi la diversità etnica delle bambole è probabilmente l’ambito dove il livello di rappresentazione si è evoluto di più. Basti pensare che al momento Barbie è disponibile in 22 tonalità di carnagione, 94 colori di capelli e 13 colori di occhi, frutto di anni di campagne contro quella che era diventata il simbolo dello stereotipo della donna bianca, bionda e magra, e ne avevano messo in crisi le vendite dal 2010 in poi. Per rispondere alla critiche di chi considerava l’irrealistico corpicino di Barbie un modello tossico per le bambine – e per convincere i genitori a tornare a comprare il suo giocattolo di punta – dal 2017 la Mattel ha cominciato a proporre Barbie in quattro tipi di corpi differenti: accanto al modello classico, ora ce ne sono anche uno più alto, uno più esile e uno più formoso. Di recente poi sono state prodotte perfino due Barbie con le macchie della pelle tipiche della vitiligine, una scelta fino a pochi anni fa impensabile e che probabilmente si deve al dibattito pubblico su questa condizione della pelle sollevato dal successo della modella Winnie Harlow.
Per quanto riguarda la disabilità, invece, sono state messe in commercio Barbie con una protesi al posto di una gamba e vari modelli sulla sedia a rotelle, compreso Ken. In realtà la prima Barbie su una sedie a rotelle risale al 1997, ma poco dopo era stata messa fuori produzione quando cominciarono a piovere proteste per il fatto che la carrozzella non entrasse nelle porte della casa di Barbie e non le permettesse né di fare le scale né di prendere l’ascensore: insomma, la Dreamhouse era un inferno di barriere architettoniche. Ci sono voluti vent’anni prima che la Mattel avesse il coraggio di riprovarci, e oggi i modelli di Barbie in commercio hanno sedie a rotelle di ultima generazione e includono nella confezione una rampa per salire le scale.
Identità e orientamento sessuale
Infine, se su etnia, disabilità e forma fisica si registrano progressi importanti, l’ambito in cui i giocattoli e i personaggi per bambini faticano a essere più inclusivi è quello dell’identità e dell’orientamento sessuale. I reparti dove nei negozi e negli ipermercati si trovano i giocattoli sono ancora fortemente caratterizzati da una divisione maschio/femmina, spesso rafforzata dall’uso di azzurro e rosa, mentre anche la sessualità dei personaggi è quasi sempre binaria e il loro orientamento etero.
Tra le poche eccezioni si registrano la linea Creatable world introdotta dalla Mattel nel 2019: si tratta di bambole di genere neutro che includono abiti e parrucche sia maschili sia femminili, lasciando ai bambini la libertà di comporre l’immagine della propria bambola. Sempre alla Mattel si deve l’introduzione del primo Ken con smalto alle unghie, ombretto sugli occhi e lucidalabbra, attualmente disponibile all’interno della linea Bmr1959. Nel frattempo è notizia di questi giorni che Mr. Potato head, la “testa di patata” dalle fattezze intercambiabili che in Italia è diventata famosa come Mr. Potato grazie ai film Toy story, da quest’anno perderà l’appellativo “mister” per chiamarsi semplicemente Potato head e permetterà di mischiare elementi di entrambi i sessi. La decisione ha però sollevato le proteste dei più conservatori, tanto che la Hasbro è dovuta intervenire per placare gli animi con un comunicato ufficiale.
È andata meglio invece a Kmart, già citata per la produzione di bambole con la sindrome di Down: la catena di ipermercati australiana ha aggiunto ai suoi set di famiglie-giocattolo due nuove opzioni, una con una coppia di papà e una con una coppia di mamme, ed è stata elogiata dalle associazioni per i diritti lgbt+ di tutto il mondo per aver creato le prime bambole con famiglie omoparentali.
Insomma, spingere l’industria del giocattolo a dare più rappresentazione alla diversità è un lavoro lento e faticoso, e nonostante gli importanti risultati resta ancora molta strada da fare. C’è però un aspetto incoraggiante che emerge dal percorso compiuto finora: i genitori hanno effettivamente il potere di indirizzare il mercato. Le aziende infatti mirano semplicemente a soddisfare la domanda e, quando cambia il tipo di giochi richiesti, finiscono per adeguarsi. Se perfino l’immagine iconica di Barbie ha dovuto piegarsi davanti alle pressioni delle mamme, significa davvero che il cambiamento comincia nel cesto dei giocattoli di ogni bambino.