In un modesto bar del centro di Hanoi, mentre aspettavo l’arrivo di un attivista vietnamita, ho ricevuto un significativo messaggio WhatsApp: “Sono pedinato dalle forze di sicurezza”.
Poche ore dopo, in un luogo diverso e molto lontano dal centro cittadino, Nguyen Chi Tuyen, famoso difensore dei diritti umani che in rete si fa chiamare Ahn Chi, mi ha spiegato che in vista dell’incontro tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un le forze di sicurezza avevano incrementato le misure di sorveglianza nei confronti degli attivisti vietnamiti.
Le autorità avevano vietato a Tuyen di recarsi nel centro di Hanoi durante il giorno e la sua casa era piantonata da agenti in borghese. Tuyen era convinto che la polizia avrebbe continuato a monitorare gli spostamenti di tutti gli attivisti fino al termine del vertice.
Giro di vite ignorato
Tuyen non è stato l’unico a essere stato preso di mira dalle autorità nel trambusto dell’incontro tra Trump e Kim. Attivisti per i diritti umani di tutto il paese hanno pubblicato su Facebook fotografie di agenti della sicurezza piazzati fuori delle loro case, mentre altri hanno postato video di incontri poco amichevoli con i loro “sorveglianti”. Scene simili si sono verificate anche a Ho Chi Minh, il polo finanziario nel sud del paese a più di 1.700 chilometri di distanza da Hanoi.
“Molti attivisti non possono uscire nemmeno per andare al lavoro. Vengono scortati dagli agenti anche mentre fanno la spesa o portano i figli a scuola”, mi ha raccontato un attivista per la democrazia che ha chiesto di mantenere l’anonimato. Secondo l’edizione in lingua vietnamita di Voice of America, alcuni attivisti hanno raccontato di essere stati sostanzialmente sottoposti “agli arresti domiciliari” durante tutta la durata del vertice.
Non è difficile accorgersi della stretta d’acciaio esercitata dal Partito comunista né dei pessimi risultati in materia di rispetto dei diritti umani
Mentre lo spettacolo dei colloqui di pace tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord andava in scena nella capitale vietnamita, i circa tremila giornalisti delle testate internazionali hanno ignorato il giro di vite nei confronti del movimento per la democrazia.
Nei resoconti da Hanoi il Vietnam è stato presentato come un miracolo economico che la Corea del Nord potrebbe un giorno imitare, mentre per i molti giornalisti che non l’avevano mai visitato il paese era semplicemente una novità da raccontare.
Eppure non è difficile accorgersi della stretta d’acciaio esercitata sul potere dal Partito comunista né dei pessimi risultati in materia di rispetto dei diritti umani. I mezzi d’informazione vietnamiti sono quasi totalmente controllati dallo stato. I blogger indipendenti che criticano il regime sono regolarmente arrestati o minacciati. Negli ultimi anni le organizzazioni della società civile che avevano cominciato a diffondersi a livello nazionale sono state smantellate dal governo.
Intimidazioni di governo
Di recente un attacco contro i dissidenti si è concluso con decine di arresti. Alcuni sono stati condannati fino a vent’anni di carcere solo per aver criticato il Partito comunista sui social network.
Le autorità hanno fatto un ricorso sempre più massiccio agli agenti in borghese e a delinquenti pagati per intimidire gli attivisti. Human rights watch ha documentato decine di casi in cui gli attivisti sono stati picchiati mentre facevano la spesa o portavano i figli a scuola.
Molti attivisti per la difesa della democrazia oggi rischiano di essere arrestati e condannati a pene carcerarie a causa di una nuova legge sulla cibersicurezza introdotta all’inizio dell’anno dal governo per mettere fuorilegge un numero più alto di attività online. Per Tuyen le tecniche di sorveglianza adottate nei confronti degli attivisti non sono una novità. Già in passato ha subìto intimidazioni da parte delle autorità per i suoi commenti contro la repressione attuata dal Partito comunista. Le forze di sicurezza, inoltre, hanno da tempo l’abitudine di limitare gli spostamenti e la libertà degli attivisti più conosciuti durante i grandi eventi internazionali.
La persecuzione, secondo i loro rappresentanti, avrebbe potuto essere molto più dura se il governo vietnamita non avesse scoperto solo all’ultimo momento di dover ospitare il vertice tra Kim e Trump. La mancanza di tempo ha impedito al regime di organizzare un più efficace rastrellamento degli attivisti, come già accaduto prima di altri vertici internazionali, tra cui la visita di Barack Obama nel 2017.
Parole distensive
Dopo il loro arrivo in Vietnam, Trump e gli altri rappresentanti degli Stati Uniti non hanno mai citato il problema dei diritti umani. Durante il suo incontro con il presidente Nguyen Phu Trong e il primo ministro Nguyen Xuan Phuc, Trump ha avuto soltanto parole d’affetto per i suoi ospiti.
“Il Vietnam ha lavorato per aiutare il presidente Trump e il governo degli Stati Uniti. L’organizzazione di questo vertice è probabilmente il più grande favore che i vietnamiti abbiano fatto a Washington. In cambio, gli Stati Uniti hanno continuato a tacere sul mancato rispetto dei diritti umani da parte di Hanoi”, sottolinea Phil Robertson, vicedirettore della sezione asiatica di Human rights watch. “La scommessa del Partito comunista del Vietnam è chiara: ottenendo un sostegno sempre maggiore da parte della comunità internazionale il governo potrà completare senza interferenze né critiche il suo attacco contro gli attivisti per i diritti e la democrazia”, aggiunge Robertson. “I leader e i diplomatici vietnamiti sono estremamente astuti e sono riusciti a strumentalizzare la comunità internazionale”.
Di conseguenza, la speranza di un intervento degli Stati Uniti a favore di una maggiore libertà nel paese è sostanzialmente svanita dopo che le diverse amministrazioni statunitensi hanno privilegiato i legami commerciali e di sicurezza a scapito della difesa dei diritti e della democrazia.
Il governo vietnamita ha trasformato il vertice in uno strumento per le relazioni pubbliche
“L’opinione pubblica vietnamita è tra le più filoamericane del mondo, anche nell’epoca di Trump. I vietnamiti considerano gli Stati Uniti – e non la Cina o la Russia – come un faro di speranza e progresso”, spiega Duy Hoang, portavoce di Viet Tan, un’organizzazione per la difesa della democrazia dichiarata fuorilegge da Hanoi. “Identificando il Vietnam con la leadership del Partito comunista, gli Stati Uniti perdono una grande occasione. A lungo termine farebbero meglio a promuovere i diritti umani e l’apertura politica nel paese,” aggiunge Hoang.
Il governo vietnamita ha trasformato il vertice in uno strumento per le relazioni pubbliche. Il sindaco di Hanoi ha invitato gli abitanti della città a mantenere un comportamento impeccabile e dimostrare al mondo che i vietnamiti sono “civili, eleganti, amichevoli e ospitali”.
Anche se la sorveglianza è stata intensificata, probabilmente le autorità vietnamite sapevano benissimo che i giornalisti stranieri erano arrivati in Vietnam per occuparsi della Corea del Nord e non avevano alcun interesse per le vicende interne del paese. Gli accrediti stampa che hanno ricevuto, tra l’altro, proibivano esplicitamente di occuparsi di problematiche estranee al vertice.
I blogger indipendenti vietnamiti hanno ripetuto che i giornalisti stranieri non dovrebbero dimenticare che il Vietnam è uno stato governato da un unico partito e uno dei primi paesi asiatici nella classifica delle violazioni dei diritti umani.
Nei giorni precedenti il vertice il premier Phuc aveva dichiarato che l’incontro avrebbe permesso al Vietnam di “dimostrare al mondo di essere un paese pacifico, amichevole e ordinato”.
Rispondendo al primo ministro, la rivista online indipendente the vietnamese ha scritto che “il prezzo da pagare per questa immagine è la libertà di tutti quelli che osano esercitare i loro diritti costituzionali”.
“Il Vietnam ha basato la crescita della sua economia altamente corrotta sulla violazione dei diritti umani da parte di una dittatura mono-partitica, e gli Stati Uniti sono ben contenti di sostenere il regime”, sottolinea Robertson. “A rimetterci più di tutti è il popolo vietnamita, i cui diritti saranno sempre più calpestati dal governo”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito su Asia Times.
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