Il momento peggiore della pandemia si avvicina e l’Africa si prepara
Pochi giorni dopo il suo insediamento a giugno, il presidente del Burundi Évariste Ndayishimiye ha messo fine a mesi di negazionismo ufficiale sul nuovo coronavirus ordinando una campagna di test a tappeto nella capitale commerciale del paese, Bujumbura. La decisione non sorprende: il suo predecessore, Pierre Nkurunziza, che aveva preso sotto gamba il virus e aveva affidato la salute del Burundi alla grazia di Dio, ha pagato un prezzo molto alto per la sua noncuranza. È morto, quasi sicuramente di covid-19.
Dopo mesi durante i quali l’Africa sembrava essere sfuggita all’ondata più grave della pandemia – il cui epicentro si spostava dall’Asia all’Europa e infine alle Americhe – il numero di contagi e dei decessi ha cominciato a salire. Quasi 16mila persone sono morte e più di 750mila sono state infettate. Alcuni esperti temono che il continente più povero del mondo stia per entrare nella fase critica dell’epidemia.
“La pandemia sta accelerando”, afferma John Nkengasong, direttore dei Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie (Africa Cdc), che si sono occupati di organizzare una risposta all’emergenza a livello continentale. Con l’aumento della diffusione del virus, avverte Nkengasong, il pericolo è che “i nostri ospedali vengano travolti”.
È quello che sta già succedendo in Sudafrica, il paese più colpito del continente, dove i casi registrati raddoppiano ogni due settimane e i reparti di terapia intensiva dei centri di cura di Johannesburg e Città del Capo sono pieni. Di questo passo si rischia che entro l’inizio di agosto più di un milione di sudafricani sia infettato. I morti sono ormai 5.100, un dato in rapida crescita. Il responsabile della sanità della provincia di Gauteng ha seminato il panico quando ha dichiarato, erroneamente, che si stavano preparando 1,5 milioni di tombe per i morti. Il presidente Cyril Ramaphosa, in un discorso in cui paragonava il virus a una tempesta in arrivo con i venti freddi dell’emisfero australe, ha avvertito che poche parti del paese saranno risparmiate.
Non tutta l’Africa è stata colpita gravemente. Alcuni paesi come il Botswana, la Namibia e il Gambia hanno registrato pochi contagi e quasi nessun morto. L’isola di Mauritius è riuscita a bloccate le infezioni importate dall’estero e da quasi tre mesi non registra contagi avvenuti sul suo territorio.
“Inizialmente avevamo pensato che sarebbe stato un disastro enorme”, dichiara Mo Ibrahim, l’imprenditore sudanese a capo di una fondazione che premia i governi virtuosi dell’Africa. “Finora i numeri ci hanno mostrato uno scenario diverso. I governi africani hanno probabilmente risposto meglio di quelli di Regno Unito e Stati Uniti. Per fortuna sembra che in Africa non piacciamo al virus”.
Una nuova fase
Tuttavia i nuovi picchi di contagi in vari paesi stanno smorzando quest’ottimismo. Tra gli stati maggiormente colpiti, più della metà dei casi si concentra in cinque paesi – Sudafrica, Egitto, Algeria, Nigeria e Ghana – anche se questo dato riflette in parte la maggiore capacità di questi paesi di effettuare i test.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, in 22 dei 54 paesi del continente i nuovi casi sono più che raddoppiati nell’ultimo mese e sono stati registrati notevoli aumenti in Etiopia, Kenya, Camerun e Gibuti. Dopo un lungo periodo in cui la maggior parte dei contagi in Africa erano importati, spesso dall’Europa, due terzi dei paesi del continente hanno registrato infezioni avvenute localmente.
Il Malawi, paese produttore di tè con una popolazione di 18 milioni di abitanti nell’Africa australe, è un esempio emblematico. In apparenza i dati sono rassicuranti, con soli 51 decessi e circa 2.700 contagi segnalati a metà luglio. Gli operatori sanitari però assistono a un crescendo preoccupante. “Abbiamo registrato il primo caso all’inizio di aprile e da allora abbiamo visto un susseguirsi graduale di contagi, goccia a goccia”, afferma Mina Hosseinipour, che insegna medicina a Lilongwe all’interno del progetto Malawi dell’università della North Carolina. “Ci chiedevamo: quando arriverà?”.
Ancora più sorprendente era la mancanza di vittime, osserva Hosseinipour, soprattutto se si tiene conto di una serie di errori che avrebbero potuto scatenare un disastro. Molti malawiani che lavoravano in Sudafrica ed erano stati rispediti a casa in pullman affollati sono tornati con il covid-19. Alcuni sono scappati dai centri per la quarantena, mal equipaggiati, rischiando di diffondere il virus nelle loro comunità. Il governo del Malawi, inoltre, non è stato in grado di imporre il confinamento dopo che alcuni gruppi della società civile, temendo gli effetti negativi per quelle persone che vivono alla giornata, hanno contestato il provvedimento in tribunale. Come il Burundi, il Malawi ha perfino organizzato un’elezione, la ripetizione delle presidenziali annullate dell’anno scorso, e il presidente in carica è stato sconfitto.
Nonostante questi eventi, in cui il virus avrebbe potuto diffondersi indiscriminatamente, i decessi per covid-19 in Malawi sono rimasti bassi. Fino a oggi. “Nelle ultime due settimane le cose sono cambiate”, afferma Hosseinipour, aggiungendo che i decessi sono aumentati e che negli ospedali arrivano molte più persone con problemi respiratori gravi. “Il nuovo governo sta rendendo obbligatorie le mascherine e sta raccomandando misure d’isolamento e di distanziamento sociale più rigide. Siamo entrati in una nuova fase”.
Dati incompleti
La recente esperienza del Malawi e di molti altri paesi africani ha attenuato, se non cancellato, le iniziali speranze riguardo la possibilità che il continente potesse evitare di essere colpito duramente dalla pandemia. “Quello a cui stiamo assistendo è solo l’effetto di un ritardo nella successione degli eventi”, afferma Francesco Checchi, docente di epidemiologia e salute internazionale alla London school of hygiene and tropical medicine, secondo cui la malattia è arrivata tardi nel continente. “Non ci sono prove del fatto che in Africa la pandemia avrà un andamento diverso”.
Secondo Checchi i paesi che hanno buoni collegamenti aerei con il resto del mondo, come il Sudafrica, l’Egitto e il Marocco, sono stati i primi a importare casi. L’esperto loda gli sforzi compiuti da molti governi africani, abituati ad affrontare malattie minacciose come la tubercolosi e l’ebola, per contenere il virus attraverso i test, le campagne di salute pubblica, i provvedimenti di coprifuoco e di confinamento della popolazione. Alla fine, però, queste misure sono servite “solo a guadagnare tempo”.
Anche se il virus si diffondesse alla stessa velocità che in Europa o nelle Americhe, probabilmente in Africa sarebbe meno letale
Sema Sgaier, direttrice esecutiva dell’organizzazione non profit Surgo foundation, concorda nel dire che l’epidemia è ancora all’inizio in Africa. La sua fondazione ha compilato un indice di dati open source sulle regioni più vulnerabili agli effetti sociali, economici e sanitari del covid-19. Tra i paesi più esposti ci sono il Camerun, la Repubblica Democratica del Congo, il Madagascar, il Malawi, l’Etiopia e l’Uganda, tutti paesi dove il virus non ha ancora preso piede.
Restano comunque ragioni per un cauto ottimismo, sottolinea Sgaier. Anche se il virus dovesse diffondersi in Africa alla stessa velocità che in Europa o nelle Americhe, probabilmente sarebbe meno letale, perché la popolazione è più giovane. In Africa l’età media è di 19,4 anni, contro i 38 anni negli Stati Uniti e i 43 in Europa.
Studiando la distribuzione per genere ed età, la Surgo foundation ritiene che in Africa il tasso di letalità del covid-19, ossia la proporzione dei decessi tra i contagiati, sarebbe tra lo 0,1 e lo 0,15 per cento. Ma tenendo conto anche della scarsa qualità dei servizi sanitari, della mancanza di ossigeno e di respiratori, e delle possibili comorbilità, come nelle persone con l’hiv, si stima che il tasso di letalità raggiungerà un valore medio pari allo 0,55 per cento, con minimi dello 0,22 per cento nei paesi dove le cose vanno meglio e picchi dello 0,76 per cento dove le condizioni sono peggiori. Negli Stati Uniti la letalità è dell’1,3 per cento.
Tuttavia, anche se dovessero rivelarsi corrette le stime più basse, significa che, se il 60 per cento degli africani dovesse ammalarsi, ne morirebbero più di quattro milioni.
Calcoli del genere sono, nel migliore dei casi, congetture. I ricercatori devono prendere in considerazione i dati sulle malattie non trasmissibili, per le quali le informazioni sono spesso inesistenti. Patologie come l’ipertensione o il diabete, che aumentano la probabilità di morte nei pazienti di covid-19, nel continente sono sicuramente meno diffuse che in paesi come il Sudafrica, relativamente benestante, dove comorbilità di questo tipo contribuiscono a spiegare il numero più alto di decessi. Con un’età media di 28 anni, i sudafricani sono in media più vecchi di quasi dieci anni rispetto al resto del continente.
Il compito di chi crea i modelli – e deve prendere in considerazione anche fattori come la malnutrizione e l’hiv – è ulteriormente complicato dalle statistiche incomplete sui decessi. Per questo gli analisti impegnati nella ricerca hanno fatto ricorso a immagini satellitari di cimiteri per cogliere indizi di “morti in eccesso” che potrebbero essere attribuite dal covid-19. “Brancoliamo nel buio”, ammette Sgaier.
Senza sintomi
Sembra che alcuni paesi potrebbero avere un’alta incidenza di casi asintomatici, sempre per il fatto che la popolazione è giovane. Uno studio preliminare sugli anticorpi condotto dal governo mozambicano a Nampula, una città di 750mila abitanti nel nord del paese, ha rilevato che due terzi dei contagiati avevano sintomi lievi o non ne avevano affatto. Dalla ricerca è emerso inoltre che il 5 per cento delle persone della comunità e il 10 per cento dei venditori al mercato erano stati contagiati. Eppure nella provincia di Nampula erano stati registrati solo quattro decessi, sui nove totali del paese.
Anche Nkengasong, degli Africa Cdc, pur scoraggiando atteggiamenti troppo rilassati, ammette che la mortalità nel continente potrebbe essere più bassa. “Vediamo i giovani andarsene in giro con il virus e vivere come se niente fosse”, dice. “Ma dobbiamo supportare queste osservazioni con ricerche adeguate”.
A causa di queste prove contrastanti, i governi africani faticano a decidere cosa fare. Tuttavia secondo i ricercatori non devono abbandonare le politiche di contenimento del rischio. Esiste a loro avviso una via di mezzo tra il lockdown completo – difficile da far rispettare nelle comunità povere – e lasciare che la pandemia faccia il suo corso.
L’agenzia Cooper/Smith, con sede a Washington, che fornisce consulenze basate sull’analisi dei dati ai decisori politici, ha elaborato modelli statistici che indicano come il distanziamento sociale potrebbe evitare milioni di contagi e salvare novemila vite nel solo Malawi. La direttrice Hannah Cooper afferma: “I paesi africani non sono costretti a fare una scelta dolorosa” tra confinamenti dannosi e “lasciare che l’epidemia si diffonda senza ostacoli”. Le informazioni a disposizione bastano a mettere a punto strategie più specifiche.
Ibrahima Kassory Fofana, primo ministro della Guinea, afferma che il suo governo ha adottato delle misure di contenimento che non prevedono un lockdown completo. L’esperienza con l’epidemia di ebola degli anni 2014-2016 è stata utile, spiega Fofana. La Guinea ha chiuso lo spazio aereo, incoraggia gli abitanti a lavarsi spesso le mani, ha vietato gli assembramenti, anche nelle chiese e nelle moschee, e ha isolato la capitale Conakry dal resto del paese. Su 13 milioni di abitanti, sono stati registrati 6.600 casi e 40 morti. “Per quanto riguarda la pandemia, la situazione è sotto controllo”, afferma Kassory Fofana. “Siamo ottimisti, perché la nostra popolazione è molto giovane”.
Il secondo imperativo è effettuare più test. Il Sudafrica ne sta facendo circa 50mila al giorno, e paesi come Gibuti, Ghana e Marocco cercano di farne il più possibile. Tuttavia, da un’analisi della Reuters emerge che al 7 luglio i paesi africani avevano fatto in media 4.200 tamponi per milione di abitanti, contro i 74.225 in Europa.
Secondo Strive Masiyiwa, un imprenditore zimbabweano che è stato nominato inviato speciale dell’Unione africana (con l’incarico di diffondere il più possibile i test per individuare il Sars-cov-2), una nuova piattaforma digitale panafricana di forniture mediche dovrebbe aumentare notevolmente la capacità di testare la popolazione. La piattaforma, attiva da luglio, può contare su una linea di credito di 38 miliardi di dollari proveniente dall’African export-import bank. Consente ai governi e alle organizzazioni africane di raggruppare i loro ordini per poter beneficiare più facilmente di sconti.
“Non possiamo più giustificarci dicendo che non riusciamo a procurarci i kit per i tamponi”, afferma Masiyiwa, spiegando che i governi possono anche usare la piattaforma per acquistare ossigeno, dispositivi di protezione, farmaci e respiratori in previsione di possibili nuove ondate di infezioni.
Nei prossimi mesi, afferma Checchi della London school of hygiene and tropical medicine, alcuni paesi dovranno passare dalla fase della soppressione del virus a una fase di mitigazione dei suoi effetti.
“Non dovremmo vergognarci ad ammettere che non possiamo soffocare l’epidemia per un altro anno e mezzo, finché non avremo un vaccino”, afferma Checchi. “Che cercheremo di mitigarla con il distanziamento sociale, evitando assembramenti non necessari, e fornendo a tutti acqua e sapone”, prosegue. “Pochi provvedimenti come questi possono fare una grande differenza nel ridurre i decessi”.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico Financial Times. Sono stati aggiornati i dati sui contagi e i decessi nei vari paesi.