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L’epidemia sta cambiando gli interrogatori della polizia

Una stazione di polizia di Phoenix, Arizona, 2009. (Robert Gauthier, Los Angeles Times via Getty Images)

Un interrogatorio faccia a faccia, in una stanza isolata. È il classico metodo con cui gli investigatori hanno sempre strappato le confessioni ai sospettati. Il problema è che durante una pandemia stare a meno di due metri da un’estraneo per un periodo di tempo prolungato e in uno spazio ristretto e poco ventilato può essere molto rischioso.

È per questo che negli Stati Uniti i dipartimenti di polizia stanno cambiando il modo in cui svolgono gli interrogatori, come conferma un sondaggio condotto intervistando i capi della polizia e gli investigatori. I detective di Philadelphia, Miami e altre città del paese raccontano che sempre più spesso gli interrogatori dei sospettati, dei testimoni e delle vittime avvengono in strada, a una distanza di almeno due metri. A Clearwater, in Florida, di solito i colloqui si svolgono nel parcheggio fuori dalla stazione di polizia.

Anche quando gli agenti portano un sospettato all’interno delle centrali di polizia, di solito lo interrogano da un’altra stanza, via Zoom o via Skype, o almeno dall’altro capo di un lungo tavolo da riunione. Per molti poliziotti è frustrante non potersi più affidare alla vicinanza fisica per intimidire i sospettati e spingerli a raccontare la verità, né poter leggere le espressioni facciali per capire se stanno mentendo. Inoltre, secondo alcuni, l’obbligo d’indossare le mascherine durante gli interrogatori ostacola le tecniche non verbali per ottenere informazioni.

La giusta distanza
“Siamo animali sociali. Non siamo preparati per comunicare a distanza, soprattutto in situazioni così delicate”, sottolinea Chuck Wexler, direttore del Police executive research forum, un’organizzazione nazionale di cui fanno parte i funzionari delle forze dell’ordine. “È per questo che non ci limitiamo a inviare una lista di domande ai sospettati. Nessun investigatore lo farebbe mai”.

Ma in un periodo in cui l’omicidio di George Floyd ha spinto molti statunitensi a chiedere la fine di questi metodi basati sulla forza e la coercizione (soprattutto nei confronti degli afroamericani), gli esperti pensano che l’obbligo di mantenere il distanziamento sia un fatto positivo. In passato l’abuso fisico durante un interrogatorio era uno strumento legalmente accettabile. Nel dopoguerra si è affermata la tecnica Reid: il detective parte dalla presunzione di colpevolezza del sospettato e agisce con l’intento di metterlo all’angolo, sia fisicamente sia psicologicamente.

In questo momento, però, la necessità d’interrogare i sospettati all’aperto aumenta le possibilità che un passante osservi quello che i poliziotti dicono e fanno. In altre parole, cresce la sorveglianza delle azioni delle forze dell’ordine da parte dei civili. Inoltre i colloqui a distanza costringono i poliziotti a registrare tutto quello che succede, permettendo così a un giudice e a una giuria di stabilire se la confessione è stata ottenuta in modo corretto. Tra l’altro questo metodo consente agli investigatori migliori d’interrogare una persona anche se non hanno la possibilità di essere presenti fisicamente. Inoltre il fatto di ricorrere alle abilità comunicative rispetto a cose come il contatto visivo (che secondo diversi studi i poliziotti sono molto meno abili a valutare di quanto pensino), potrebbe migliorare le capacità dei detective.

Oggi i poliziotti di Miami portano i sospettati all’interno delle auto e dei commissariati solo nei casi più gravi

Di recente movimenti come Black lives matter si sono concentrati sugli abusi commessi dagli agenti all’interno della comunità, “ma dobbiamo riconoscere che la stessa cultura è presente anche durante gli interrogatori”, sottolinea James L. Trainum, ex detective della omicidi di Washington ed esperto di interrogatori e confessioni. “È la stessa mentalità. Usano la forza anziché ascoltare i cittadini. Questo atteggiamento impedisce di creare con le persone il rapporto più adatto per risolvere un caso”.

In un contesto segnato dalla pandemia e dalle proteste, in alcune città le forze dell’ordine stanno modificando i comportamenti degli agenti. Già a metà marzo gli investigatori di Miami valutavano i possibili rischi sanitari degli interrogatori, racconta Armando R. Aguilar, assistente capo del dipartimento di polizia locale. Oggi i poliziotti di Miami portano i sospettati all’interno delle auto e dei commissariati solo nei casi più gravi, come omicidi, stupri e rapine a mano armata. “Se si tratta di un furto d’auto e abbiamo già le prove di cui abbiamo bisogno, di solito evitiamo un interrogatorio formale”, spiega Aguilar.

A Philadelphia la nuova regola del dipartimento è quella di condurre gli interrogatori sul campo, con una telecamera corporea in funzione. È un modo per conservare le dichiarazioni. “Probabilmente continueremo a farlo anche quando sarà finita la pandemia, perché questo ci permette d’interrogare le persone sul posto, quando i ricordi sono ancora freschi e prima che abbiano il tempo di prepararsi a un colloquio in centrale”, spiega l’ispettore capo Frank Vanore.

Metodi meno conflittuali
Fanno eccezione i casi più delicati, come quelli gestiti dall’unità per le vittime speciali del dipartimento e in cui le persone interrogate sono così vulnerabili da rendere indispensabile l’interrogatorio in centrale, in modo da garantire il segreto delle loro rivelazioni.

Nel frattempo la Wicklander-Zulawski & Associates, una delle principali società del paese nel campo della consulenza per gli interrogatori e responsabile della formazione di migliaia di agenti, sta accelerando la transizione verso l’insegnamento di metodi meno conflittuali.

Storicamente i poliziotti sono stati sempre addestrati a invadere lo spazio fisico del sospettato per aumentarne l’ansia, spiega David Thompson, vicepresidente della Wicklander. “Quello stile era già in declino. Ora il covid-19 ha accelerato il passaggio”. Thompson sottolinea che le tattiche manipolatorie servono a far sentire il sospettato fisicamente vulnerabile e alla mercé dell’investigatore. Questo alimenta nell’individuo la sensazione di dover rilasciare una dichiarazione falsa.

Fuori dalla stanza
Naturalmente esistono anche aspetti negativi in questo cambiamento radicale delle tecniche di interrogatorio su tutto il territorio nazionale. In pubblico risulta più difficile convincere una vittima traumatizzata a rilasciare una dichiarazione. La presenza di un investigatore “spinge le vittime a pensare che la polizia sia dalla loro parte. Lo capisco nel nostro volto, nella nostra voce. Si rendono conto che gli siamo vicini”, spiega il sergente Reggie Williams della polizia di Hampton, in Virginia. Per i sospettati, inoltre, può essere difficile ottenere la presenza di un avvocato se l’interrogatorio viene condotto sulla scena del crimine o al telefono.

Qualcuno potrebbe pensare che le persone interrogate fuori da una stanza chiusa abbiano una maggiore consapevolezza del loro diritto di andarsene. Tuttavia le ricerche di Fabiana Alceste, professoressa di psicologia dell’università di Butler, suggeriscono che molti sentono comunque “la percezione della custodia” anche nelle circostanze attuali. Alceste ha condotto una serie di esperimenti da cui è emerso che in situazioni apparentemente “libere”, in cui il sospettato parla con la polizia senza manette e lontano da una cella, fatica comunque a opporsi alle richieste di una figura autoritaria. Semplicemente non vogliono sembrare colpevoli, e spesso non conoscono i propri diritti.

Molti funzionari di polizia spiegano che è ancora troppo presto per trarre conclusioni sulla qualità delle informazioni raccolte negli interrogatori durante la pandemia. Alcuni, come il tenente Michael Walek del dipartimento di polizia di Clearwater, in Florida, sottolineano che i detective imparano a presentare i fatti acclarati – per esempio comunicando a un sospetto che sanno che si trovava in un certo luogo a una determinata ora – per poi verificare se la persona reagisce picchettando con le dita, distogliendo lo sguardo o comportandosi in modo elusivo o rabbioso. Senza la possibilità d’intercettare questi segnali, secondo Wales è più difficile capire come orientare la domanda successiva. Tuttavia altri esperti di polizia ritengono che questi elementi, su cui si basano molti insegnamenti nelle accademie di polizia e tra gli agenti, siano pseudoscienza.

“La polizia valuta un sospetto convinta che sia colpevole”, spiega Trainum, esperto nelle tecniche d’interrogatorio. “Ma una persona può provare una forte ansia per altri motivi, per esempio il fatto di essere interrogata dalla polizia”.

Trainum sottolinea che la pandemia potrebbe creare l’occasione per migliorare la capacità di stabilire un rapporto con il sospettato durante l’interrogatorio. Gli agenti potrebbero dire frasi come “che rottura dover fare questa conversazione con le mascherine”. In questo modo potrebbero strappare una risata, avviare un dialogo e successivamente ottenere le informazioni di cui hanno bisogno.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è stato pubblicato da The Marshall Project.

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