I robot con troppa personalità ci fanno arrabbiare
Le nuove tecnologie ci permettono di entrare in contatto con persone provenienti da tutto il mondo, per questo non abbiamo di certo bisogno di “nuove personalità”, perlomeno non in forma di robot. La realtà è che parlare con un bot è decisamente fastidioso.
Elizabeth McGuane è un’esperta di linguaggio che lavora alla Intercom – un’azienda che produce piattaforme di messaggistica – e in un articolo su Tech Crunch scrive che i bot, gli assistenti virtuali e le altre applicazioni dovrebbero funzionare come gli strumenti tradizionali. Come un martello, per esempio: così come non pensiamo al manico di un martello ma ci limitiamo a usarlo, i nostri congegni tecnologici dovrebbero servirci silenziosamente e senza intrusioni. “Il successo più grande per un designer è riuscire a rendere invisibile la tecnologia”, scrive.
Elizabeth McGuane non è stata sempre di questo parere. Prima era convinta che agli essere umani piacesse interagire con le macchine, ma mentre testava un bot parlante insieme ai suoi colleghi si è resa conto che le parole della macchina irritavano gli utenti.
I progettisti che lavorano sulla tecnologia legata al linguaggio dovranno essere bravi a far sparire ancora di più il loro lavoro, rendendo gli strumenti invisibili e intuitivi da usare
“Mi occupo di linguaggio e lavoro con un team di progettazione prodotti, per questo dare un nome alle cose fa parte del mio lavoro. Quando abbiamo cominciato a testare un bot per la nostra app di messaggistica ero pronta a valutare centinaia di nomi: con un genere, senza genere, funzionali, e così via”. Ma prima di trovare il nome perfetto, si sono accorti di qualcosa d’inatteso: le persone detestano parlare con una macchina, in particolare quando ha un nome.
Durant i test, il bot si presentava ai suoi utenti come se fosse una persona, dicendo: “Ciao. Sono Bot, l’assistente digitale di Intercom”. Le persone lo odiavano. Allora il gruppo di progettisti ha provato ogni tipo di cambiamento, rendendo il bot più riservato, o più amichevole, usando nomi e voci diverse. “Ma non c’era alcun miglioramento. È stato solo quando abbiamo tolto il nome, eliminando il pronome di prima persona e la presentazione che le cose hanno cominciato a migliorare. Era il nome, più di qualsiasi altra cosa, a creare frizioni. Abbiamo capito che dare un’identità al bot non è sempre l’idea migliore. Chiamare un bot Siri non ha necessariamente lo stesso effetto, in termini di costruzione di una relazione, che chiamare la propria automobile ‘la mia vecchia carretta’”, scrive McGuane.
Una grossa parte della questione sta nella differenza tra parlare e digitare. Parlare rende tutto più umano e, secondo una ricerca recente, quando le persone ascoltano una frase tendono ad attribuirle un’origine umana. La voce rende la tecnologia più umana. “Ma quel che è umanizzante può anche essere irritante. È molto più faticoso dire ‘Ok Google’ 75 volte al giorno che aprire silenziosamente un computer portatile e fare una ricerca”, secondo McGuane.
Questo l’ha spinta a pensare in modo diverso alla progettazione tecnologica, e oggi pensa che non dovremmo avere un’interazione percepibile con le macchine.
Secondo lei Siri e Alexa, le personalità che stanno dietro agli assistenti personali di Apple e Amazon, sono abbastanza discrete, ma se lo fossero ancora di più sarebbero molto più efficaci.
I progettisti che lavorano sulla tecnologia legata al linguaggio dovranno essere bravi a far sparire ancora di più il loro lavoro, rendendo gli strumenti invisibili e intuitivi da usare, al punto da non farci neppure accorgere della loro esistenza.
“I nomi e l’identità portano gli strumenti sullo schermo a un livello superiore all’intuizione”, dice. “Ci fanno vedere lo strumento in tutto il suo splendore virtuale, mettendolo in un contesto totalmente differente per la persona che lo usa, e creando una relazione che non sempre questa persona richiede o apprezza”.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito su Quartz.
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