Vaccinarsi è una questione di coscienza
Questo testo è un estratto del libro “Immunità. Vaccini, virus e altre paure” (Luiss University Press 2021).
Un tempo, in difesa della vaccinazione forzata, quando c’erano epidemie ci si appellava al concetto di chiaro e imminente pericolo. E il termine obiettore di coscienza, ora associato anzitutto al servizio militare, si riferiva a coloro che rifiutavano di farsi vaccinare.
La legge britannica sulla vaccinazione obbligatoria del 1853 prescriveva di vaccinare tutti i bambini e suscitò una massiccia opposizione. Dopo che con una successiva legge fu consentito di multare ripetutamente coloro che vi si opponevano, quelli che non potevano pagare si videro confiscare e mettere all’asta le proprietà, oppure finirono in prigione. Nel 1898, il governo aggiunse una clausola di coscienza alla norma, permettendo ai genitori di fare domanda di esenzione. La clausola era piuttosto vaga, dato che si limitava a richiedere all’obiettore di “soddisfare” un magistrato riguardo al fatto che la propria obiezione era una questione di coscienza.
Ciò diede luogo a migliaia di casi di obiezione di coscienza, che a volte rappresentavano la maggioranza dei nuovi nati, e al contempo alimentò un dibattito su che cosa esattamente volesse dire possedere una coscienza. Prima che la definizione di obiettore di coscienza venisse messa per iscritto in una legge, era usata dagli oppositori del vaccino per distinguersi dai genitori negligenti che semplicemente non si preoccupavano di vaccinare i figli. La parola coscienza stava a segnalare che si trattava di una decisione intenzionale presa da genitori premurosi.
Gli obiettori di coscienza sostenevano che una coscienza non poteva e non doveva venire giudicata, e i magistrati a loro volta erano tormentati dal dubbio se richiedere o no qualche prova a supporto della rivendicazione di coscienza. “Io non comprendo la legge”, disse un magistrato in preda alla frustrazione. “Ricevo una persona e quella mi dice di avere un’obiezione di coscienza: non posso sapere se basti questo”. La parola soddisfare alla fine venne rimossa dalla clausola di coscienza e una serie di circolari precisò che un obiettore doveva avere una “onesta” convinzione che la vaccinazione avrebbe fatto del male al figlio, ma non era necessario che questa fosse “ragionevolmente fondata”. Nel discutere della legge i parlamentari giunsero alla conclusione che era molto difficile definire la coscienza.
In qualche misura dobbiamo l’esistenza degli Stati Uniti all’inoculazione obbligatoria
Dalla comparsa della clausola di coscienza fino a oggi, l’Oxford English Dictionary ha coerentemente definito la coscienza soprattutto in termini di giusto e sbagliato. Adesso la sua prima definizione è: “Il senso del giusto e dello sbagliato riguardo a ciò di cui si è responsabili”. Le successive sei definizioni fanno riferimento ai valori etici, alla giustizia, all’equità, ai giudizi corretti, allo scrupolo, alla conoscenza, all’intuizione e a Dio, con i sentimenti e il cuore che si inseriscono nell’ottava e nona definizione, a fianco delle notazioni “raro” e “obsoleto”. George Washington, che era sopravvissuto al vaiolo, si è trovato alle prese con il problema se ordinare o no l’inoculazione per i soldati della rivoluzione parecchio tempo prima che la vaccinazione diventasse una questione di coscienza. Nel 1775, durante l’assedio di Québec, circa un terzo dell’esercito continentale si ammalò di vaiolo. Alla fine furono costretti alla ritirata, nella prima sconfitta sul campo di battaglia nella storia di questo paese. La più letale epidemia di vaiolo che le colonie avessero mai visto stava per portarsi via centomila vite, ma il vaiolo era endemico in Inghilterra e la maggior parte dei soldati britannici immune al morbo, dato che gli erano sopravvissuti da bambini.
Tutto questo accadeva quando ancora non era stata inventata la vaccinazione, e Washington era riluttante a sottoporre le truppe alla variolizzazione, che si era rivelata pericolosa ed era illegale in alcune colonie. Diverse volte diede l’ordine dell’inoculazione, per poi ritirarlo qualche giorno dopo. Alla fine, a causa delle voci su un piano dei britannici di diffondere il vaiolo come forma di guerra batteriologica, Washington decretò definitivamente l’inoculazione per tutte le nuove reclute. Se in qualche misura dobbiamo l’esistenza degli Stati Uniti all’inoculazione obbligatoria, dobbiamo anche parte del loro modo di essere alla resistenza all’obbligo di vaccinarsi. Gli avversari originari del vaccino furono tra i primi a contestare su base legale la crescente portata del potere della polizia negli Stati Uniti. È loro che dobbiamo ringraziare se non è più consentito costringerci a vaccinarci sotto la minaccia delle armi, e forse anche per il fatto che alle donne non si può più negare di abortire.
Negli anni settanta, alcune cause cruciali per i diritti di riproduzione hanno citato come precedente Jacobson versus Massachusetts, un caso portato alla corte suprema nel 1905 in cui un reverendo difendeva il proprio diritto di rifiutare la vaccinazione sulla base del fatto che una precedente vaccinazione aveva nuociuto alla sua salute. Ma si è fatto ricorso a questo precedente anche per giustificare perquisizioni e arresti senza mandato di cittadini statunitensi. La sentenza nel caso Jacobson rappresentava un tentativo di bilanciare gli interessi della collettività e il potere statale, da un lato, e i diritti dell’individuo, dall’altro. Ha confermato le leggi sulla vaccinazione obbligatoria, ma ha preteso che i singoli Stati concedessero esenzioni agli individui potenzialmente vittime di ingiustizia e sopraffazione in base a quelle leggi. Gli Stati Uniti non hanno mai avuto una legge federale sulla vaccinazione obbligatoria.
Agli inizi del ventesimo secolo alcuni stati erano dotati di leggi del genere, ma due terzi non le avevano, e un paio avevano anzi leggi contro l’obbligatorietà. Per frequentare la scuola pubblica, in certi distretti si richiedeva – come succede anche ora – che i bambini venissero vaccinati, ma questo requisito spesso era imposto in modo blando. Un terzo degli scolari di Greenville, in Pennsylvania, per esempio, era stato esentato dalla vaccinazione. Il solo vaccino regolarmente raccomandato a quel tempo era quello contro il vaiolo, che presentava seri effetti collaterali e di frequente risultava contaminato da batteri. Una nuova, più blanda, forma di vaiolo ha fatto la sua comparsa negli Stati Uniti al volgere del secolo e questa variante del virus, che è conosciuta come Variola minor, si limitava a uccidere circa l’1 per cento delle persone che contraevano il morbo, di contro al trenta per cento che di solito moriva di Variola maior. Ora che il vaiolo si portava via meno vite, quella che era un’opposizione non organizzata al vaccino si trasformò in un vero e proprio movimento antivaccinazioni guidato da attivisti come Lora Little, che offriva consigli responsabilizzanti, del tipo: “Diventa il medico di te stesso. Guida da te la tua macchina”.
In certi posti, folle armate facevano allontanare i vaccinatori. “Le sommosse contro le vaccinazioni non erano affatto infrequenti”, scrive il giornalista Arthur Allen. Ben prima che venisse usato in riferimento alla malattia, il termine immunità era impiegato in ambito legale per descrivere l’esenzione da un servizio o da un dovere nei confronti dello Stato. Immunità è arrivato a significare libertà dalla malattia così come libertà dal servizio, alla fine del diciannovesimo secolo, dopo che gli stati avevano iniziato a imporre la vaccinazione. Per un bizzarro scontro di significati, l’esenzione dall’immunità resa possibile dalla clausola di coscienza ha rappresentato in sé una sorta di immunità. E il fatto di consentire a qualcuno di rimanere vulnerabile alla malattia resta tutt’oggi un privilegio legale.
Il giudice interiore
A parte i significati che si trovano sui dizionari, che cosa voglia dire avere una coscienza potrebbe non risultarci più chiaro adesso di quanto lo fosse nel 1898. Ci accorgiamo quando scarseggia: “È priva di coscienza” diciamo in riferimento a una persona. Ma che cosa esattamente le manca? Ho rivolto questa domanda a mia sorella, che insegna etica al collegio gesuita ed è membro della North American Kant Society. “È complicato rispondere” mi dice. “Nel diciottesimo secolo, Kant ha scritto che abbiamo l’obbligo verso noi stessi di indagare la nostra coscienza. Ciò implica che essa non sia limpida, che debba essere vagliata e decifrata. Kant considerava la coscienza un giudice interiore e si serviva della metafora dell’aula di giustizia per spiegare come funziona. Nel foro della coscienza, l’io è sia il giudice sia l’imputato”.
Le chiedo se ciò vuol dire che la nostra coscienza affiora dal pensiero ed è un prodotto delle nostre menti. “Si tratta di un concetto in evoluzione” mi dice. “Un tempo è stata associata più strettamente alle emozioni, ma tuttora diciamo di provare una fitta alla coscienza e ciò comporta l’unità di pensiero e sentimento”. Kant, mi dice, definiva il giudice del foro interiore uno “scrutatore di cuori”. “La parte complicata”, continua mia sorella, “consiste nel saper discernere tra un mero malessere e quello che la tua coscienza ti sta dicendo”. La questione resta aperta e io sono turbata all’idea di poter confondere il richiamo della mia coscienza con qualcos’altro.
Domando a una mia ex professoressa, una scrittrice che insegna l’Antico testamento come fosse un testo letterario, in che modo si possa riconoscere la voce della propria coscienza. Lei mi rivolge uno sguardo severo e dice: “Si tratta di un senso distinto. Non credo proprio che la coscienza possa essere confusa con qualsiasi altro sentimento”. “La morale non può essere un fatto totalmente privato”, mi dice mia sorella, “per molte delle ragioni per cui non lo può essere una lingua. Non si può risultare intellegibili solo a se stessi. Il fatto di pensare però alla coscienza nei termini di un personale senso del giusto e dell’ingiusto lascia intendere che la nostra concezione collettiva della giustizia può risultare insufficiente. Un individuo può opporre resistenza alle imperfezioni del codice morale dominante e gettare così le basi per una riforma: ci sono esempi storici di ogni tipo in proposito. Si può però pensare alla coscienza in un’altra maniera, come se fosse una voce interiore che allinea le nostre azioni alle norme morali pubblicamente difendibili. E ciò consente di riformare noi stessi”.
Una delle fortune dell’immunità prodotta dalla vaccinazione è che un piccolo numero di persone può astenersi dal vaccinarsi senza per questo esporre se stessi o gli altri a un rischio assai maggiore. Ma il numero esatto di queste persone che si può raggiungere – la soglia oltre la quale l’immunità di gregge va persa e il pericolo di ammalarsi cresce marcatamente sia per i vaccinati sia per i non vaccinati – varia a seconda della malattia, del vaccino e della popolazione in questione. In molti casi, scopriamo qual è la soglia solo dopo che l’abbiamo oltrepassata.
Questo pone perciò l’obiettore di coscienza nella incerta condizione di poter contribuire a diffondere un’epidemia. In tal caso potremmo subire le conseguenze di quello che gli economisti chiamano rischio morale, una tendenza ad assumersi imprudentemente dei rischi allorché si è protetti da un’assicurazione. Le nostre leggi consentono a certe persone di dispensare se stesse dalla vaccinazione, per motivi medici o religiosi o filosofici, ma stabilire se dovremmo rientrare in quel novero è davvero un problema di coscienza. In una sezione di The vaccine book intitolata “Rientra nella responsabilità che avete nei confronti della società vaccinare i vostri figli?”, il dottor Bob si chiede: “Possiamo biasimare i genitori perché antepongono la salute del proprio figlio a quella dei bambini che gli stanno attorno?”. Questa dovrebbe essere una domanda retorica, ma la risposta implicita che darebbe il dottor Bob non è la stessa che do io.
In un’altra sezione del libro, il dottor Bob scrive del consiglio che dà ai genitori che hanno paura del vaccino trivalente MPR: “Li avverto anche di non condividere i loro timori con i vicini perché, se troppe persone dovessero evitare il vaccino MPR, vedremmo probabilmente crescere in modo significativo i casi di malattia”. Non ho bisogno di consultare un esperto di etica per capire che in tutto ciò c’è qualcosa che non funziona, ma mia sorella mi chiarisce meglio la ragione del mio disagio. “Il problema sta nel prevedere una deroga speciale solo per te” dice. Ciò le fa venire in mente il ragionamento proposto dal filosofo John Rawls: immaginate di non sapere quale posizione assumerete nella società – se sarete ricchi, poveri, istruiti, assicurati, privi di accesso all’assistenza sanitaria, bambini, adulti, positivi all’hiv, con un sistema immunitario sano eccetera – ma di essere a conoscenza dell’intera gamma delle possibilità.
In una situazione del genere, ciò che vorreste è una politica che sia imparziale, a prescindere dalla posizione in cui effettivamente vi troverete. “Prova a pensare alle relazioni di dipendenza”, suggerisce mia sorella. “Non sei padrone del tuo corpo: i nostri corpi non sono indipendenti. La salute dei nostri corpi dipende sempre anche dalle scelte degli altri”. Esita per un attimo e non riesce a trovare le parole, il che le capita raramente. “Non so nemmeno come esprimermi a questo proposito” dice. “Il punto è che esiste un’illusione di indipendenza”.
(Traduzione di Albertine Cerruti)