I popoli nativi sfidano Amazon in Sudafrica
“Giù le mani dalla nostra terra”. “La terra indigena non è in vendita”. “Persone, non profitti”. Una manciata di persone, alcune mascherate da Jeff Bezos, altre vestite di pelli, espongono dei cartelli sui gradini dell’alta corte della provincia del Western Cape, a Città del Capo, in Sudafrica.
È la fine di gennaio di quest’anno e i manifestanti che si vedono nel video contestano il progetto immobiliare da 310 milioni di dollari approvato un anno prima dall’amministrazione municipale, che prevede la costruzione di un centro residenziale e commerciale su un’area verde alla confluenza dei fiumi Black e Liesbeek, nel quartiere di Observatory. Il pezzo forte del progetto The River Club sono i 70mila metri quadrati di uffici di Amazon, il gigante statunitense delle consegne a domicilio, che intende stabilire a Città del Capo il suo quartier generale africano, con la promessa di creare 19mila nuovi posti di lavoro.
Da subito è partita la mobilitazione dei rappresentanti delle comunità indigene e degli abitanti del quartiere per fermare il cantiere. Alle preoccupazioni di carattere ambientale – la piana adiacente al fiume Liesbeek è utile a contenere le alluvioni – si aggiungono le considerazioni sul valore storico di quelle terre che, come scrive Onke Ngcuka sul sito Daily Maverick, sono diventate uno spazio rituale e di connessione spirituale per i discendenti dei primi popoli, khoi e san, che abitarono questa parte dell’Africa. È riconosciuto che in quel punto, nel 1510, i guerrieri khoikhoi combatterono una dura e vittoriosa battaglia contro gli invasori portoghesi guidati dal condottiero Francisco de Almeida. Il sito è diventato un simbolo di resistenza. “Per noi è l’epicentro della resistenza al colonialismo”, spiega alla Reuters Tauriq Jenkins, capo del Goringhaicona khoi khoin indigenous traditional council, una delle organizzazioni che rappresentano i diritti dei popoli nativi. Il gruppo di Jenkins e la Observatory civic organisation sono stati ascoltati in tribunale alla fine di gennaio perché chiedono di fermare il progetto che, oltre ai problemi già citati, secondo alcuni è stato approvato in maniera poco trasparente, contro il parere del dipartimento di gestione ambientale della città. Il verdetto, affidato alla giudice Patricia Goliath, è atteso a giorni.
L’avanzata di Amazon
L’azienda immobiliare Liesbeek leisure properties trust e l’amministrazione di Città del Capo hanno insistito sui benefici per la comunità: tanti nuovi posti di lavoro, in un paese dove il tasso di disoccupazione l’anno scorso ha sfiorato il 35 per cento, e la promessa di fare della città un punto di riferimento per le nuove tecnologie. Se il progetto fosse bloccato, avvertono, Amazon potrebbe spostarsi da un’altra parte.
L’azienda di Jeff Bezos ha messo piede in Sudafrica all’inizio degli anni duemila, racconta il sito Rest of World. I clienti sudafricani e di alcuni paesi vicini possono ordinare dei prodotti su Amazon, ma in Africa l’attività principale dell’azienda sono i servizi cloud, sviluppati in due campus: il primo è stato quello di Città del Capo, poi ne è nato uno a Johannesburg. Nel 2020 Amazon ha annunciato un’espansione di questi servizi (a cui fanno concorrenza la Microsoft e la Huawei), con l’assunzione di tremila nuovi dipendenti. Negli stessi anni è cominciata la ricerca di una nuova sede centrale. La cosa strana, fa notare Rest of World, è che Amazon aveva indicato delle priorità nella ricerca del suo nuovo quartier generale, e tra queste era compreso il fatto che non ci fossero problemi di permessi e autorizzazioni sui terreni da edificare. Invece, già all’epoca, l’area del progetto The River Club era sottoposta a vincoli per il suo interesse storico e culturale.
Resta quindi il dubbio su come sia avvenuta la scelta del posto, tanto più che l’azienda mantiene il silenzio di fronte ai tentativi di fermare il cantiere.
Allo stesso tempo, i costruttori hanno cooptato un’altra associazione di discendenti dei popoli indigeni, il Western Cape first nations collective, che appoggia il progetto The River Club perché gli è stato promesso un centro culturale dedicato alla loro storia e un giardino della memoria. La giudice Goliath, dopo aver ascoltato le ragioni dei costruttori, ha commentato: “Sulla carta il progetto è lodevole. Ma basterà ad accontentare tutti i gruppi delle prime nazioni?”.
Più volte, durante i tre giorni di udienze all’alta corte del Western Cape, è stato richiamato il caso delle esplorazioni petrolifere della Shell al largo della Wild coast, bloccate da quando un tribunale ha stabilito che la multinazionale non aveva informato con chiarezza le comunità indigene delle conseguenze ambientali delle ricerche di idrocarburi.
“Le somiglianze tra i due casi riguardano le consultazioni con le comunità che potrebbero essere danneggiate”, mi spiega la giornalista Onke Ngcuka, contattata per email. “Queste consultazioni sono un elemento determinante nella concessione di un’autorizzazione ambientale in Sudafrica. Nel caso della Shell, l’azienda non aveva ascoltato le comunità costiere che hanno dei legami culturali e spirituali con l’oceano. Nel caso dei khoisan, Amazon pensava di essere a posto perché aveva accontentato una parte di loro. Ma il sostegno di un gruppo non implica necessariamente il consenso degli altri”.
“Una vittoria contro Amazon in Sudafrica sarebbe d’esempio per tutto il mondo”, scrive su Al Jazeera Michael Kwet, uno studioso di colonialismo digitale, molto critico verso il progetto e le modalità con cui i grandi giganti tecnologici diffondono i loro sistemi di sfruttamento dei lavoratori. “Insegnerebbe ad Amazon e alle altre big tech un’importante lezione: che una resistenza organizzata può farle chiudere. Se gli attivisti riuscissero a cacciare Amazon da Città del Capo, sarebbe una vittoria per i diritti indigeni, per la sostenibilità ambientale e per la lotta contro il colonialismo digitale”.
Aggiornamento del 21 marzo. L’alta corte del Western Cape ha ordinato l’interruzione temporanea dei lavori nel cantiere The River Club, che comprende la nuova sede di Amazon a Città del Capo, finché i costruttori non avranno consultato “in modo significativo” i rappresentanti dei popoli khoi e san.
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