Haiti è in mano a un governo autoritario e alle bande criminali
Finalmente gli Stati Uniti, principale attore politico ad Haiti, si sono decisi ad agire. Dal 2016, nonostante il tracollo del paese, Washington aveva sempre sostenuto il presidente Jovenel Moïse e il suo clan. Ma il 10 dicembre il dipartimento del tesoro degli Stati Uniti ha annunciato che imporrà una serie di sanzioni contro tre persone chiave del governo, due funzionari e il capo di una banda. I loro beni negli Stati Uniti saranno congelati e non potranno avere il visto.
La decisione colpisce al cuore la presidenza di Moïse, ormai diventata un’alleanza tra un potere autoritario e le bande criminali, con lo scopo di terrorizzare la popolazione e reprimere le mobilitazioni sociali che negli ultimi due anni non si sono mai fermate.
Le sanzioni riguardano uno dei peggiori massacri nella storia recente di Haiti, avvenuto il 13 novembre 2018 a La Saline, una baraccopoli della capitale Port-au-Prince. Quel giorno 71 persone sono state uccise a colpi di machete, ascia o arma da fuoco. Undici donne hanno subìto uno stupro collettivo, mentre decine di persone sono state ferite. Alcuni corpi sono stati gettati in una discarica, mentre gli altri sono stati bruciati o smembrati. Quattrocento case sono state distrutte.
La popolazione di La Saline era stata molto attiva nelle manifestazioni di protesta e il regime aveva deciso di punirla. Il dipartimento del tesoro ha confermato i risultati delle inchieste condotte dall’Ufficio per i diritti umani della missione delle Nazioni Unite e dalle associazioni haitiane per la difesa dei diritti umani.
Dichiarazione esplicita
Nel suo rapporto, il dipartimento del tesoro spiega che “l’architetto” della carneficina è il “rappresentante dipartimentale del presidente Jovenel Moïse”, un certo Joseph Pierre Richard Duplan. La pianificazione e l’organizzazione del massacro sono state fatte dal direttore generale del ministero degli interni e degli enti locali, Fednel Monchéry. Gli omicidi sono stati compiuti con l’aiuto di bande armate da Jimmy Cherizier, un ex funzionario della polizia nazionale e oggi potente capo banda di Port-au-Prince. Duplan e Monchéry hanno fornito armi da fuoco, veicoli e uniformi della polizia ai componenti delle bande.
Successivamente Cherizier ha organizzato altri omicidi in vari quartieri di Port-au-Prince, guadagnandosi il soprannome di “comandante barbecue”. Oggi è alla guida di G9, un’alleanza tre le nove bande principali della città. A novembre del 2020, in soli quattro giorni, Cherizier si è reso responsabile di una serie di omicidi e incendi in un altro quartiere popolare, Bel Air.
“La violenza e la criminalità delle bande armate ad Haiti sono rafforzate da un sistema giudiziario che non persegue i responsabili degli attacchi contro i civili”, si legge nel rapporto del dipartimento del tesoro. Nonostante le pressioni della comunità internazionale e delle ong haitiane, l’inchiesta sul massacro della Saline non ha mai prodotto risultati.
Washington, che finora era rimasta in silenzio, lo ha dichiarato esplicitamente: “Con il sostegno di alcuni politici haitiani, le bande criminali reprimono la dissidenza politica nei quartieri di Port-au-Prince più attivi nelle manifestazioni antigovernative. La bande ricevono soldi, protezione politica e armi da fuoco in abbondanza, tanto da essere meglio equipaggiate della polizia”.
L’industria del rapimento
Tutto questo a Port-au-Prince è noto da almeno due anni. Da tempo lo scrittore Lyonel Trouillot parla di una “macoutizzazione” del potere, riferendosi ai Tonton-macoutes, la milizia paramilitare che terrorizzava gli haitiani durante il regime della famiglia Duvalier.
L’annuncio delle sanzioni statunitensi è arrivato il 10 dicembre, in occasione della giornata internazionale dei diritti umani, che ad Haiti è molto sentita. A Port-au-Prince tutte le associazioni locali hanno collaborato per organizzare una marcia per la vita. Due giorni prima, la tradizionale processione religiosa dell’Immacolata concezione aveva coinvolto migliaia di persone e si era trasformata in una protesta contro l’insicurezza, i rapimenti e la paura.
Ad Haiti c’è una nuova industria, quella del rapimento. Le persone vengono prelevate dalle bande che poi chiedono un riscatto o semplicemente le violentano o le uccidono. All’inizio di dicembre due ragazzi sono stati sequestrati nel centro di Léogâne, a ovest della capitale. I rapitori, che hanno chiesto un riscatto di un milione di dollari, indossavano le uniformi della polizia ed erano armati. Le due vittime non hanno un lavoro e vengono da famiglie povere.
Il 1 novembre il paese è stato scosso dall’omicidio di una studente di 22 anni, Évelyne Sincère. Era stata rapita il 29 ottobre. Il suo corpo è stato ritrovato sopra un cumulo di rifiuti. Mentre la famiglia cercava di trovare i soldi per il riscatto, i rapitori hanno ucciso la ragazza.
Il presidente Jovenel Moïse governa per decreto e ha creato un esercito di mercenari simile a una milizia
Il 6 dicembre è toccato al direttore d’orchestra Dickens Princivil e a un’altra ragazza, Magdala Louis. I due sono stati rapiti da una decina di uomini armati. Dopo una finta esecuzione, sono stati liberati.
Il “G9, la più importante organizzazione criminale attiva ad Haiti dopo il 1986, è nato su iniziativa dell’amministrazione. Il G9 sfila nelle strade, rapisce, uccide, saccheggia, stupra, minaccia gli oppositori del governo e si prepara a seminare il caos alle prossime elezioni per favorire il Partito haitiano Tèt Kale (Phtk), a cui appartiene Moïse”, scrive Widlore Mérancourt sul sito indipendente Ayibo Post.
Il 10 dicembre, lo stesso giorno della marcia per la vita e dell’annuncio delle sanzioni da parte di Washington, decine di persone, tra cui diversi ministri e funzionari, si sono ritrovate davanti alla chiesa del Cristo re per i funerali dell’avvocato Gérard Gourgue, che nel 1978, ai tempi di Duvalier, fondò la Lega haitiana per i diritti umani.
L’arcivescovo di Port-au-Prince, monsignor Max Leroy Mésidor, ha approfittato della cerimonia per rivolgersi al governo: “La vita sociale è avvelenata dai rapimenti, dal banditismo e dal terrore. Il fondatore della Lega haitiana per i diritti umani si sarebbe unito ai vescovi cattolici per dire ‘no’ al caos, alla violenza, all’insicurezza, alla miseria. Ne abbiamo abbastanza”. Da mesi la chiesa si propone come mediatore tra il potere e i partiti dell’opposizione.
La volontà di Washington
Tra le voci che si sono fatte sentire c’è anche quella di Marie Suzy Legros, la presidente dell’ordine degli avvocati di Port-au-Prince. Il suo predecessore, Monferrier Dorval, aveva criticato Moïse denunciando che Haiti non è “né governata né amministrata”. Dorval è stato ucciso a colpi di arma da fuoco il 28 agosto, ma finora le indagini non hanno portato nessun risultato.
Davanti ai ministri, Marie Suzy Legros ha denunciato “la preparazione di leggi tiranniche e liberticide” e il progetto di una nuova costituzione, “un crimine di alto tradimento, un grave attentato all’ordine democratico, un’usurpazione illegittima del potere”. In questo caos generalizzato, alimentato dal governo, Moïse è ora nelle condizioni di governare da solo.
Dal gennaio del 2020 non esiste più un parlamento e le elezioni non vengono più organizzate. Moïse governa per decreto e ha creato un esercito di mercenari simile a una milizia personale. Sempre per decreto, ha istituito un’agenzia nazionale d’intelligence che ha le caratteristiche di un servizio segreto presidenziale.
Moïse ha nominato un consiglio elettorale incaricandolo di occuparsi delle prossime elezioni, e ha annunciato una nuova costituzione che sarà scritta da una comitato di cui ha personalmente scelto i componenti. E all’inizio di settembre ha imbavagliato la corte dei conti, obbligandola a emettere i propri giudizi (che saranno esclusivamente consultivi) entro cinque giorni.
Sono proprio le inchieste della corte dei conti ad aver svelato l’enorme scandalo finanziario del Petrocaribe (un’alleanza petrolifera tra alcuni paesi dei Caraibi e il Venezuela), che ha permesso ad alcuni leader politici di mettere le mani su quattro miliardi di dollari. Due anni fa la vicenda aveva provocato le prime manifestazioni contro la corruzione.
Tutto lascia pensare che il governo di Moïse si stia trasformando in un “regime dittatoriale”, come accusano gli oppositori. Forse le sanzioni statunitensi sono il primo segnale del fatto che Washington e il presidente eletto Joe Biden vogliono fermare la deriva autoritaria di un regime disprezzato da tutto il paese.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è stato pubblicato dal sito Mediapart.