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In Cina le persone lgbt escono dall’ombra ma con cautela

Ning Ning e la sua compagna Nuo Nuo nell’appartamento in cui vivono a Pechino, il 18 novembre 2012. (Jason Lee, Reuters/Contrasto)

Xin Ying apre la porta ma dall’altra parte qualcuno fa resistenza e la richiude sbattendola. “Oh, scusate”, esclama la donna e poi spiega: “Stanno facendo le iniezioni di ormoni, bisogna aspettare un attimo”. Xin, 30 anni, è la direttrice del Beijing lgbt center.

Piccola di statura, occhi severi e profondi dietro lenti rettangolari che la rendono molto ku (cool in cinese), si definisce “pansessuale”. Ogni volta che la invitano a “prendere il tè” (un eufemismo per indicare i colloqui con la polizia), quello che ormai è diventato il suo poliziotto le chiede: “Sei una brava ragazza, perché fai questo lavoro?”. Poi però la prende da parte e le dice di apprezzare quello che fa. “Solo che deve fare i conti con il suo capo, che non capisce niente”, spiega Xin.

Proprio mentre è in corso un nuovo giro di vite contro gli attivisti per i diritti umani, il movimento lgbt sembra uscire dalla dimensione underground dov’era stato finora e agire sempre più alla luce del sole.

Ne è un simbolo il centro gestito da Xin, al 26° piano di un palazzo in una zona semicentrale di Pechino: grande e visibile, 13mila renminbi di affitto al mese (più di 1.700 euro). “In passato abbiamo dovuto traslocare due volte perché i vicini ci accusavano di ‘corrompere’ i bambini, adesso invece ci esprimono solidarietà”. Illegale fino al 1997, cancellata dalle malattie mentali solo nel 2001, l’omosessualità in Cina è uno specchio delle contraddizioni latenti di questo grande paese.

Pochi giorni fa, Qiu Bai, una giovane attivista lgbt di Guangzhou, ha trascinato in tribunale addirittura il ministero dell’istruzione, colpevole, secondo lei, di non avere ancora rimosso dalle scuole i libri di testo che descrivono l’omosessualità come malattia. Ha poche speranze di vincere la causa, ma essere arrivati fin lì è già una vittoria simbolica.

Un’altra app molto popolare è Queers, che serve a organizzare xinghun, matrimoni di facciata tra gay e lesbiche

Il fatto che l’omosessualità sia sempre meno un tabù lo dimostra il successo di Blued, un’app già definita “il Grindr cinese”, il social network di incontri gay con quasi 30 milioni di utenti. In mancanza di dati ufficiali, si stima proprio da questi numeri che la comunità lgbt in Cina si aggiri intorno ai 70 milioni di persone.

Ma c’è un’altra app molto popolare: Queers, che serve a organizzare xinghun, matrimoni di facciata tra gay e lesbiche. Se nel 2009 nel paese le organizzazioni lgbt erano solo due, una ricerca del 2014 parla di almeno 33. Ma, via via che il movimento si è allargato, ha cominciato ad attirare le attenzioni delle autorità. Negli ultimi due anni, in occasione della giornata mondiale contro l’omofobia, alcuni attivisti sono stati arrestati. E aumenta la stretta sui finanziamenti, che arrivano spesso da organizzazioni statunitensi ed europee.

Da un lato la società cinese evolve, ma i gruppi che nascono devono stare attenti a non lambire la politica, a non diventare organizzazioni autonome rispetto al Partito comunista: nell’era di Xi Jinping più che mai c’è un solo imperatore sotto il cielo.

Sinonimi di realizzazione sociale
Per non correre rischi, il centro lgtb di Pechino non si è costituito in organizzazione non governativa – un settore nel mirino delle autorità – ma si è registrato come impresa. Gli affari, in Cina, sono un codice condiviso che fa da traino a comportamenti e piccole rivoluzioni quotidiane. Così, le attività centrali del Beijing lgbt center consistono in corsi di prevenzione dell’hiv, sostegno psicologico, servizi di assistenza telefonica, servizi legali per le vittime di discriminazione, stando attenti a non superare il confine con l’attivismo vero e proprio.

Alibaba, numero uno dell’e-commerce in Cina e nel mondo, ha colto la nuova tendenza: nel 2015 ha lanciato la promozione “We do it”, in partnership proprio con Blued, con il Beijing lgbt center e altri gruppi come Pflag China (genitori, famiglie, amici di lesbiche e gay). In quell’occasione gli utenti dell’e-commerce hanno votato dieci coppie omosessuali che hanno vinto un viaggio a Los Angeles: matrimonio e luna di miele, tutto incluso. Su Taobao – una sorta di e-bay, sempre del gruppo Alibaba – si trovano lenzuola a tema lgbt e pacchetti vacanza in paesi dove le nozze omosessuali sono legali. La chiamano fenhong jingji (economia rosa), è la creazione di valore attraverso i gusti e i bisogni della comunità lgbt: la fa conoscere al vasto mondo e le dà cittadinanza perché è funzionale al mercato.

La stanza all’interno del Beijing lgbt center finalmente si apre e ne escono tre ragazzi. Sono transessuali da donna a uomo, nati maschi in corpi di femmine che vanno al centro per prendere gli ormoni. Ran Ran, 24 anni, sceglie di non compiere del tutto la trasformazione da donna a uomo che prevederebbe, oltre agli ormoni, diversi interventi chirurgici. La sua condizione di “invisibile” gli fa prendere in considerazione l’idea di tornare in campagna, dai suoi. “Se lavoro da casa, come grafico, posso guadagnarmi da vivere e stare tranquillo”. E vorrebbe anche prendere la patente di guida. La casa e l’auto, sinonimi di realizzazione sociale per tutto il ceto medio globale. Ma anche per un giovane transessuale cinese.

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