Cinque cose che il governo Conte può fare subito per l’ambiente e il clima
La tutela dell’ambiente ha un posto molto in vista nel programma del nuovo governo Conte. Nel suo discorso alla camera, il presidente del consiglio ha promesso “un green new deal che promuova la rigenerazione urbana, la riconversione energetica verso un progressivo e sempre più diffuso ricorso alle fonti rinnovabili, la protezione della biodiversità e dei mari, il contrasto ai cambiamenti climatici”.
L’ambiente è uno dei pochi temi su cui Movimento 5 stelle e Partito democratico sembrano d’accordo, e le due forze politiche possono approfittare dell’assenza di un forte partito verde in Italia per raccogliere i voti dei sempre più numerosi elettori sensibili all’argomento. Il governo spera di agganciarsi al “green deal europeo” annunciato dalla presidente designata della Commissione europea Ursula von der Leyen. E lo spera anche per ottenere vantaggi concreti, come l’esenzione degli investimenti verdi dal computo del deficit chiesta dal neoministro dell’economia Roberto Gualtieri.
A livello europeo, sostenere Von der Leyen nel suo impegno per adottare obiettivi più ambiziosi – dalla riduzione delle emissioni di gas serra alle clausole ecologiche da inserire nei futuri trattati commerciali sottoscritti dall’Unione – è il modo migliore con cui il governo italiano può tener fede alle sue promesse. Entro dicembre, inoltre, l’Italia dovrà mandare a Bruxelles la versione definitiva del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, indicando come raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra per il 2030. La bozza del documento era stata definita insufficiente dalla Commissione europea: ora che la resistenza della Lega è venuta meno, una revisione darebbe un importante segnale di discontinuità. Ma ci sono alcune cose che il nuovo esecutivo può cominciare a fare subito per ottenere risultati concreti e dimostrare che fa sul serio.
Tagliare i finanziamenti alle fonti fossili
Secondo il ministero dell’ambiente, nel 2017 lo stato italiano ha erogato 19,3 miliardi di euro di “sussidi ambientalmente dannosi”. Di questi, 16,8 miliardi di euro sono andati a sostenere la produzione e il consumo di fonti fossili di energia: si tratta di esenzioni fiscali, fondi per la ricerca e lo sviluppo, e agevolazioni per le aziende ad alto fabbisogno energetico. Nella prossima finanziaria il governo starebbe ipotizzando di ridurre questi sussidi di appena un miliardo di euro. Secondo una proposta di Legambiente, però, sarebbe possibile eliminare almeno 14 miliardi di sussidi cosiddetti dannosi entro il 2025, mentre altri quattro miliardi potrebbero essere riconvertiti per sostenere l’innovazione e la riduzione delle emissioni.
Uscire dal carbone senza passare dal gas
In Italia restano in funzione otto centrali a carbone, che hanno una capacità complessiva di appena otto gigawatt su un totale nazionale di oltre cento. Abbandonare la più inquinante delle fonti fossili è quindi molto più facile che in altri paesi europei, e infatti la data per lo spegnimento di tutte le centrali a carbone è stata fissata al 2025. Il problema, come ha rilevato anche la Commissione europea nella sua valutazione del Piano per l’energia e il clima presentato dal governo italiano, è che il carbone sarà rimpiazzato principalmente con il gas, una fonte effettivamente meno inquinante, ma che dovrà a sua volta essere accantonata per rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni. Continuare a puntare sul gas installando nuove centrali, oltre che dare il segnale sbagliato agli investitori, potrebbe rivelarsi presto economicamente controproducente.
Eliminare gli ostacoli alle rinnovabili
Nel febbraio scorso Anev, Greenpeace, Italia Solare, Legambiente, Kyoto Club e Wwf si sono rivolte al ministero dello sviluppo economico per chiedere il recepimento della direttiva europea 2001/2018 sull’autoconsumo e le comunità energetiche. Attualmente in Italia l’unica forma ammessa di autoconsumo “prevede un sistema composto da un unico impianto che rifornisce un solo consumatore”. Le norme europee consentono ai consumatori di unirsi in comunità, per esempio a livello di condominio o di quartiere, per condividere l’energia prodotta da fonti rinnovabili. In attesa degli “investimenti verdi”, sarebbe un modo per far ripartire la diffusione delle rinnovabili in Italia, che negli ultimi anni ha subìto un forte rallentamento.
Mettere al bando i pesticidi e gli erbicidi pericolosi
Lo scorso luglio l’Unione europea ha rinunciato a limitare l’uso delle sostanze chimiche pericolose per gli esseri umani e per gli ecosistemi in agricoltura: cedendo alle pressioni di alcuni paesi, ha rinunciato a riformare i criteri di valutazione dei prodotti fitosanitari, da anni considerati inadeguati. Di fronte all’inerzia delle autorità europee, alcuni paesi stanno prendendo l’iniziativa: in Austria dal 2020 sarà vietato usare il glifosato, l’erbicida più diffuso al mondo, che secondo molti scienziati è probabilmente cancerogeno ed è tra le principali cause del crollo delle popolazioni di insetti e di animali insettivori registrato negli ultimi anni. Anche la Germania ha annunciato l’intenzione di vietare il glifosato, ma solo a partire dal 2023, quando scadrà l’autorizzazione concessa dall’Unione europea. Tra le sostanze pericolose per gli insetti impollinatori ci sono anche i pesticidi neonicotinoidi: nel 2018 l’Unione europea ne ha vietati tre, ma la Francia si è spinta più in là, aggiungendo al bando altri due prodotti. Per privilegiare un’agricoltura sostenibile e di qualità, l’Italia potrebbe cominciare adeguandosi a questi esempi virtuosi.
Dichiarare l’emergenza climatica
L’organizzazione ambientalista Extinction rebellion (Xr) ha espresso tre richieste ai governi di tutto il mondo: dichiarare lo stato di emergenza climatica, azzerare le emissioni nette di gas serra entro il 2025 e delegare le misure di giustizia ecologica a un’assemblea di cittadini. Se le ultime due richieste appaiono piuttosto complicate da realizzare, la prima non presenta nessuna difficoltà: il parlamento britannico lo ha fatto subito dopo la mobilitazione di massa con cui Xr ha bloccato il centro di Londra ad aprile. È un gesto che non avrebbe nessuna conseguenza pratica, ma che sarebbe coerente con le dichiarazioni del nuovo governo e servirebbe a mettere nella giusta luce tutte le altre misure per la tutela del clima e dell’ambiente. Riconoscere i problemi è sempre il primo passo per risolverli.
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