Ogni tanto durante le registrazioni del podcast Tintoria cade un bicchiere di vetro. A volte i conduttori, i comici Daniele Tinti e Stefano Rapone, lo fanno notare, fermano l’intervista e alzano lo sguardo verso gli spettatori seduti, come a cercare scherzosamente il colpevole. Può sembrare un dettaglio inutile, ma è proprio da situazioni come questa che nasce il successo di Tintoria, un podcast ormai di culto in Italia. La chiave di tutto, forse, è proprio l’intimità e il clima rilassato che si crea tra chi sta sul palco, cioè i conduttori e l’ospite, e gli spettatori.
Visto che è condotto da due comici cha fanno stand up, e molto spesso ospita dei comici, uno si aspetta che la missione di Tintoria sia quella di far ridere. Ma non è solo quello il punto. Il podcast è prima di tutto una lezione su come si fanno le interviste, e spesso riesce dove molti giornalisti e conduttori televisivi falliscono: entra nella vita degli ospiti con educazione, tenendosi alla larga dal sensazionalismo, dalla ricerca forzata dello scoop e della polemica, che è facile trovare su internet e in tv. Questo spinge molti ospiti a svelare aspetti poco conosciuti delle loro vite. Mentre i comici si tolgono la maschera e rivelano il loro lato più malinconico, com’è successo con Massimo Ceccherini.
Altri tirano fuori storie inaspettate: i racconti di Pietro Sermonti sulla sua carriera di calciatore nella provincia di Roma, oltre a essere spassosi, diventano quasi un romanzo di formazione. Paolo Rossi ricorda quando negli anni ottanta al Derby club di Milano un criminale gli disse: “Ora fammi ridere”, appoggiando la pistola sul tavolo. Paolo Calabresi, ai più noto per il personaggio di Biascica in Boris, spiega nei dettagli come riuscì a fingersi Nicolas Cage per entrare allo stadio Santiago Bernabeu di Madrid, in Spagna.
Dal vivo e online
Anche stasera è caduto un bicchiere, ed è rassicurante che sia successo. Siamo a Snodo, il locale che ospita la maggioranza delle puntate di Tintoria e che si trova al quartiere Mandrione, a Roma. È una serata fredda di fine dicembre e sul palco insieme a Tinti e Rapone c’è Greg, del duo Lillo e Greg, come sempre elegante e molto posato, capace di passare dalla serietà totale a momenti comici inaspettati. Parla dei suoi esordi nel mondo della musica e dello spettacolo, e anche lui racconta cose che finora non aveva detto a nessuno. La puntata sarà pubblicata prossimamente.
In sala c’è un centinaio di persone. I biglietti sono finiti in pochi minuti. Tintoria, del resto, è pensato anzitutto per essere uno spettacolo dal vivo, per volontà di Tinti e Rapone, anche se ha costruito il suo successo soprattutto online. Lo show ormai ha superato le 190 puntate e ha totalizzato 45 milioni di visualizzazioni su YouTube, ma ha anche un grande successo su Spotify.
La prima stagione di Tintoria Daniele Tinti l’ha registrata nel febbraio 2018 da solo, a casa sua, e solo in formato audio. Rapone si è aggiunto in un secondo momento. L’ospite della prima puntata era Lo Sgargabonzi e Tinti esordiva così: “Io seguo molti podcast di comici americani, mi piacciono tantissimo e ho deciso di fare finta che siamo in America e di pensare che possa essere una buona idea fare una cosa del genere in Italia. Quindi ho deciso d’invitare le persone che conosco e ritengo interessanti a parlare nel mio podcast”.
Sono passati quasi sei anni, e lo spirito di Tintoria non è cambiato. “Noi abbiamo sempre lo stesso approccio, ma il mondo che ci circonda è cambiato. Nel frattempo, in un certo senso, l’America è arrivata in Italia, per cui i podcast fatti da comici sono molto diffusi. Io e Stefano abbiamo imparato a farli meglio. Gli ospiti hanno capito che si tratta anzitutto di una chiacchierata, non è una classica intervista, mentre all’inizio avevano più difficoltà ad adattarsi al format”, raccontano Tinti e Rapone seduti a un tavolo nel cortile di Snodo, di fronte a un bicchiere di birra, poco prima del nuovo show. Sono come te li aspetti: Tinti più vivace, quasi inquieto. Rapone più flemmatico, con la sua voce baritonale.
Come funziona una puntata di Tintoria? “Parte tutto dalla scelta degli ospiti. Invitiamo persone che consideriamo interessanti ed evitiamo quelle con cui potremmo entrare in conflitto, sarebbe come tendergli una trappola. E non vogliamo fare interviste in cui si litiga. Magari farebbero tante visualizzazioni, ma proprio non c’interessa fare quella roba. Questa convergenza dei nostri interessi per esempio ci ha portato a escludere gli sportivi: abbiamo fatto solo Gigi Datome, e ci siamo detti che ci piacerebbe invitare Daniele De Rossi”, spiega Tinti. Certo ora che è diventato l’allenatore della Roma sarà difficile.
Tinti aggiunge: “Prima di ogni puntata c’incontriamo con l’ospite e gli spieghiamo le tre regole di Tintoria: puoi dire quello che vuoi; se dici qualcosa che non ti torna possiamo tagliarlo senza problemi; saliamo sul palco prima io e Stefano e ti presentiamo, poi tocca a te. Prima della registrazione non facciamo niente di particolare. Chiacchieriamo, cercando di non bruciarci le domande da fare durante la puntata. C’è una scaletta, ma noi cerchiamo di seguire l’ospite il più possibile, ci lasciamo guidare da lui”.
“Teniamo gli intervistati sul palco per un’ora e tre quarti, quindi li spremiamo per bene. Ma la cosa curiosa è che spesso gli argomenti più interessanti vengono fuori o prima o dopo l’intervista”, fa notare Rapone, che di solito fa sempre la prima domanda, quella che ormai è diventata una specie di tormentone: “Come stai?”. “Mi piace partire da cose semplici, perché spesso sono quelle che non vengono mai chieste: cos’hai mangiato? Che hai fatto oggi? Da queste domande apparentemente banali vengono fuori risposte curiose, come quando Lillo ci ha raccontato la sua passione per le miniature dipinte. L’ospite si sente subito a suo agio”.
Tra un sorso di birra e l’altro, viene naturale chiedere ai due comici: cosa vi fa ridere? Una domanda alla quale entrambi danno praticamente la stessa risposta: “Tante cose. Per esempio la stand up comedy fatta bene. I comici statunitensi bravi, quelli italiani, ma anche i comici super cani italiani, che magari sono all’inizio della carriera e fanno le battute che non fanno ridere. Nel pubblico non ride nessuno, tranne gli amici comici che hanno invitato. È successo anche a noi, all’inizio”.
Daniele Tinti e Stefano Rapone sono nati entrambi a Roma, ma Tinti è cresciuto all’Aquila. Si sono conosciuti anni fa all’Oppio caffè, un bar vicino al Colosseo che organizzava serate di stand up comedy. Gli chiedo cosa ricordano dei loro inizi: “Ho scritto le prime cose in inglese quando facevo l’Erasmus in Inghilterra, ma non funzionavano. Così ho deciso di passare all’italiano”, risponde Tinti. “Anche io ho fatto le prime serate di stand up in inglese. Ero in Giappone, facevo un tirocinio all’ambasciata italiana dopo la laurea in lingua e traduzione giapponese. Poi a un certo punto ho deciso di esibirmi anche in Italia e ho fatto leggere un testo che avevo scritto a Saverio Raimondo, che mi ha incoraggiato ad andare avanti. Una volta sul palco, ho visto che la gente rideva e quindi sono andato avanti”, racconta Rapone.
E qual è il confine tra le battute che fanno ridere e quelle che possono offendere qualcuno? “Il contesto è tutto. Se stai facendo uno spettacolo comico, spesso usi una cosa per esprimere il contrario, come quando io fingo di essere fascista e dico ‘i partigiani, degni avversari’ o quando chiediamo agli ospiti qual è il loro dittatore straniero preferito, perché quello italiano è fuori classifica. È chiaro che è una gag. Questo non significa che non bisogna stare attenti a molte cose, in particolare quando si toccano argomenti che possono danneggiare le minoranze. Non c’è una regola generale, bisogna valutare caso per caso. Penso solo che a volte la reazione sia spropositata: non si può crocifiggere una persona per una battuta venuta male”.
Cosa c’è nel futuro di Tintoria? “Andremo avanti a registrare le puntate qui a Snodo, magari facendo qualche trasferta in più a Milano e in altre parti d’Italia”, dice Rapone. Il 31 gennaio saranno a Genova per intervistare Gino Paoli. “La dimensione ideale per noi resta quella dal vivo, ci serve il pubblico. Per me l’esperienza in tv con il GialappaShow è stata bellissima, perché da piccolo ero un fan della Gialappa’s, ma resta una parentesi”, aggiunge.
E c’è la possibilità che richiamino qualche ospite? “Sì, ci piacerebbe, e probabilmente succederà. Per esempio Ceccherini lo richiameremmo volentieri, perché rifare una puntata con lui potrebbe farci andare in una direzione completamente diversa”, spiega Tinti.
Il tempo per l’intervista è finito, tra poco arriverà Greg. Ci salutiamo e spengo il registratore. Al tavolo accanto si è appena seduto Valerio Lundini, e Tinti e Rapone si alzano per salutarlo, oltre che colleghi sono amici. Poco più tardi, alle nove, Tinti e Rapone sono già in sala, aspettano che tutti si siedano per cominciare. Alle nove e mezzo salgono sul palco, fanno l’introduzione, che serve a citare lo sponsor del podcast. Ogni volta è diversa, ogni volta fa ridere. È come una parodia delle marchette che si fanno in radio e in tv. Poi entra Greg, tra gli applausi. Si siede, Tinti lo ringrazia per essere venuto. Poi passa la parola a Rapone, che dopo un breve silenzio gli chiede: “Come stai?”.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it