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Il caso Asia Bibi e la resa del Pakistan agli estremisti

Una manifestazione contro l’assoluzione di Asia Bibi a Islamabad, Pakistan, il 2 novembre 2018. (Aamir Qureshi, Afp)

Il Pakistan è stato virtualmente preso d’assalto dagli estremisti islamici dopo che la corte suprema ha prosciolto Asia Bibi dalle accuse di blasfemia. Il presidente e fondatore di Tehreek-e-labbaik Pakistan (Tlp), il religioso Molvi Khadim Hussain Rizvi, ha invitato alla protesta su scala nazionale, e nel giro di poche ore il paese è stato paralizzato da folle inferocite.

Le autostrade e i punti d’ingresso di quasi tutte le città sono stati bloccati dai manifestanti. Dal 31 ottobre al 3 novembre persone armate di bastoni si sono riversate per le strade bruciando auto, danneggiando proprietà pubbliche e picchiando cittadini comuni al grido di “consegnateci Asia la blasfema”.

I principali organizzatori della protesta di fronte all’assemblea del Punjab a Lahore, Khadim Rizvi e il suo collega Afzal Qadri, hanno chiesto l’immediata sospensione del verdetto, insultando i giudici e chiedendone le dimissioni. Qadri ha anche chiesto le dimissioni del capo dell’esercito, il generale Javed Bajwa, e ha invitato gli ufficiali a ribellarsi.

Arrendersi al fanatismo
Il caos si è diffuso ovunque, e dopo tre giorni di proteste il governo del Pakistan si è arreso alla pressione dei fanatici del Tlp, firmando con loro un accordo che soddisfa le richieste di questi ultimi.

L’accordo prevede che la corte suprema si riunisca per ascoltare una richiesta di revisione della sentenza con cui è stata prosciolta Asia Noreen (nota come Asia Masih o Asia Bibi), il cui nome sarà inserito nella lista delle persone che non possono espatriare. Il governo ha anche accettato di scarcerare le persone che hanno bruciato proprietà pubbliche e bloccato le strade, e le denunce contro di loro saranno ritirate. Il Tlp si è detto dispiaciuto se i suoi sit-in e le sue manifestazioni hanno ferito qualcuno oppure danneggiato le proprietà o i negozi delle persone, e il governo si è accontentato di queste scuse.

Il Pakistan che emerge dopo questa resa è un paese in ostaggio di estremismo, bande violente e religiosi

Firmando questo documento di resa, si è dimostrato che se sei in grado di radunare alcune migliaia di uomini armati e di giocare la carta della religione, lo stato accoglierà tutte le tue richieste: alla fine accetterà le tue scuse e firmerà un documento col quale certificherà la sua resa. Anche l’esercito pachistano non ha detto una parola quando Rizvi e i suoi colleghi lo hanno attaccato pubblicamente, chiedendo ai militari di ribellarsi al loro capo.

Il primo ministro Imran Khan, prima di andare in Cina, aveva assicurato massima severità con gli estremisti, per poi fare marcia indietro invitando i suoi ministri a negoziare con i leader del Tlp. Dopo che lo stato si è arreso e l’avvocato di Asia Bibi, Saiful Malook, ha dovuto lasciare il paese in fretta e furia temendo per la sua incolumità, è facile immaginare cosa succederà ora ad Asia Bibi, anche se la donna è stata prosciolta dal tribunale. In ogni caso lo stato, con quel documento, ha garantito che saranno i mullah e i fondamentalisti a decidere il destino di prigionieri come Asia Bibi e in futuro saranno loro a determinare la mentalità e il livello del dibattito nel paese.

Per tutte le minoranze del Pakistan, la vita sarà più difficile. Estremisti come Khadim Rizvi potranno adesso accusare di blasfemia chiunque vorranno, in qualsiasi momento. Essere un cittadino di prima o di terza classe dipenderà dalla propria religione.

Sembra che, come è successo a noi, anche i nostri figli cresceranno in una società dove la ricerca e il dibattito si limiteranno al reciproco controllo e al dichiararsi blasfemi l’un l’altro. Ogni compromesso che una società accetta impone nuovi compromessi: questa resa ha compromesso la nostra crescita ideologica, politica e sociale. È una sconfitta della società progressista e pacifica.

L’industria della fede
Gli estremisti e i loro simpatizzanti sono riusciti a prendere in ostaggio la vera essenza del Pakistan creato da Muhammad Ali Jinnah.

Il paese che emerge dopo questa resa è un paese in ostaggio di estremismo, bande violente e religiosi. Il codice della sopravvivenza è ormai il silenzio: un silenzio che si adatta solo ai cimiteri, non alle società vive.

È straziante che anche milioni di persone la pensino allo stesso modo e che milioni di credenti si sentano minacciati da qualche migliaia di musulmani ahmadi, cristiani o altre minoranze. Conoscendo lo stato mentale delle persone religiose, questi mercanti della fede stanno facendo il proprio interesse dichiarando che la religione e le personalità sacre sono in pericolo.

L’industria della fede sostiene di difendere la religione e Dio. I devoti e i credenti, come drogati di oppio, li seguono. Nessuno pensa, in maniera razionale, che la violenza genera altra violenza. Così è nato l’estremismo nella società pachistana ed è responsabile della creazione di milioni di cervelli incapaci di contribuire al miglioramento o al progresso della civiltà contemporanea.

Provate a immaginare un paese che, nel ventunesimo secolo, delega agli estremisti le decisioni che riguardano lo stato e la formazione delle menti delle generazioni future. Ed è paradossale che il nostro stato non sia pronto a capire che questa resa, in futuro, ne genererà molte altre, a vantaggio dei fondamentalisti.

Fino a quando lo stato non deciderà di prendere completamente le distanze dalle questioni religiose e non dichiarerà che la fede è una questione personale, finché l’establishment non smetterà di permettere che organizzazioni estremistiche come il Tlp indeboliscano partiti politici e governi eletti, non c’è alcuna possibilità che questo estremismo e questa violenza abbiano fine.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato sul sito Asia Times.

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