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Il rasoio di Occam e il potere della semplicità

Maciej Toporowicz, Getty Images

Nel mio tragitto quotidiano per andare al lavoro all’università del Surrey passo davanti a un segnale stradale che indica Ockham. Forse perché è scritto in modo leggermente diverso mi ci è voluto un po’ per afferrare il collegamento tra quel paesino e uno dei concetti più importanti della scienza – oserei dire il più importante, nello stato di illuminazione in cui mi trovo oggi.

Sto parlando del rasoio di Occam. Creato dal teologo del quattordicesimo secolo con una storia particolarmente vivace, si tratta di un principio spesso formulato come segue: “Le entità non dovrebbero essere moltiplicate oltre il necessario”. In sostanza, ci ricorda di scegliere le spiegazioni o i modelli più semplici per qualsiasi fenomeno che possiamo osservare: dunque, se vedete delle luci che si muovono nel cielo di notte, pensate a entità esistenti e conosciute come aeroplani, satelliti o stelle cadenti prima di prendere in considerazione i dischi volanti.

È stato uno strumento di progresso scientifico oltre che principio ispiratore per i nostri pensieri fino a oggi. Secondo me però la scienza moderna ha perso di vista l’elementare fatto che è la semplicità a guidarci con maggiore chiarezza alle più grandi verità.

Il rasoio
Il collegamento tra Ockham e il rasoio di Occam è Guglielmo di Ockham. Nato nel paesino intorno al 1285, Guglielmo frequentò una scuola francescana locale prima di essere mandato a Oxford per studiare teologia, all’epoca definita “la regina delle scienze”. La definizione era dovuta in larga misura all’influenza del teologo italiano Tommaso d’Aquino, che aveva da poco cristianizzato le opere del grande scienziato dell’antica Grecia Aristotele.

Quella fusione mentale aveva fornito cinque “prove” scientifiche dell’esistenza di Dio, una varietà di essenze metafisiche di realtà definite “universali” e svariate spiegazioni di oggetti in termini del loro scopo finale, o telos. Il fine ultimo delle ghiande è quello per esempio di nutrire i maiali, mentre il fine dei maiali è quello di nutrire gli umani e il fine degli umani è adorare dio.

Gli studiosi di teologia dell’epoca esaminavano con diligenza la realtà sezionandola nella sua pletora di universali, ma una volta giunto a Oxford, Guglielmo se ne sbarazzò. Brandì il suo rasoio per la prima volta proclamando che si trattava di entità moltiplicate senza alcuna necessità. Proseguì insistendo che scienza e religione non dovrebbero mai essere mischiate, perché la scienza si basa sulla ragione mentre la religione deriva dalla fede. Credo sia stata la prima persona a separare con tanta lucidità la scienza dalle sue pastoie religiose, un passaggio di cruciale importanza per il successivo sviluppo laico della scienza.

Non tutti apprezzarono queste innovazioni. Guglielmo fu accusato di insegnare eresie e gli ordinarono di comparire davanti a papa Giovanni XXII ad Avignone, in Francia. Il suo processo andò avanti per circa quattro anni ma non giunse mai a termine. Guglielmo fu costretto a fuggire, inseguito da una folla di soldati papali, dopo aver accusato a sua volta il papa di essere un eretico. Accettò la protezione di Ludovico IV di Baviera, imperatore del sacro romano impero e all’epoca ai ferri corti con il papa, e trascorse quasi interamente il resto della sua vita a scrivere quelli che potrebbero essere interpretati come trattati moderatamente sarcastici sulla natura dell’autorità politica e religiosa.

Nel mondo attuale delle grandi collezioni di dati, il rasoio di Occam sembra passato di moda

Il suo rasoio nel frattempo acquisì molti seguaci. Nicolò Copernico fu uno dei primi ad adottarlo. Davanti alla “mostruosa” complessità dell’idea dominante secondo cui gli altri corpi celesti ruotavano attorno alla Terra, nel suo Commentariolus del 1543 dichiarò che i moti dei pianeti “si potevano risolvere con costruzioni meno numerose e complesse”. Fu grazie alla ricerca di una maggiore semplicità che giunse al modello che vede i pianeti orbitare attorno al Sole. Giovanni Keplero andò ancora oltre sulla strada della semplificazione, individuando le tre leggi matematiche del moto dei pianeti che potevano essere applicate a tutti i corpi orbitanti, princìpi che più avanti sarebbero stati spiegati nei termini delle leggi di moto e gravità di Isaac Newton, valide sia sulla Terra sia nei cieli. Una conferma delle riflessioni formulate dallo stesso Guglielmo che, circa 350 anni prima, aveva affermato: “Mi sembra che… la materia nei cieli sia dello stesso tipo della materia qui in terra. E questo perché la pluralità non dovrebbe mai essere postulata senza necessità”.

Aggiornare le conoscenze
La storia della scienza è costellata di simili vicende di scienziati che si lasciano guidare dalla semplicità per raggiungere una maggiore comprensione. Tuttavia, nel mondo attuale delle grandi collezioni di dati, il rasoio di Occam sembra passato di moda. Questo nonostante sia incorporato in uno degli strumenti più potenti che abbiamo per trattarli, ritenuto sempre più fondamentale nella scienza che si basa sui dati: l’inferenza bayesiana. Sviluppata da Thomas Bayes – un altro religioso, in questo caso presbiteriano – nel diciottesimo secolo, l’inferenza bayesiana è uno strumento che ci consente di aggiornare una ipotesi precedentemente acquisita in un modello, una teoria o una spiegazione mano a mano che arrivano nuove informazioni.

Pensiamo a due dadi, uno con sei lati e l’altro con sessanta. Supponiamo di lanciarne uno. Non vi dico quale, ma vi svelo che ho ottenuto un 4. Ancora non sapete quale dado ho lanciato, ma l’inferenza bayesiana fornisce un quadro matematico attraverso il quale è possibile affermare che è molto più probabile si sia trattato di quello a sei facce (per la precisione, dieci volte più probabile), per il semplice fatto che il dado a sessanta facce avrebbe potuto produrre un numero molto maggiore di numeri.

Teorie o modelli semplici, come il sistema solare eliocentrico di Copernico, sono come il dado a sei facce: producono previsioni definite. Teorie o modelli complessi, come il modello tolemaico secondo cui tutto orbitava attorno al nostro pianeta, sono come il dado a sessanta facce e producono previsioni più approssimative che possono adattarsi a una gamma più ampia di dati. Quando acquisiamo informazioni che si adattano sia ai modelli semplici sia a quelli complessi, l’inferenza bayesiana, un’incarnazione matematica del rasoio di Occam, ci suggerisce di accettare l’opzione più semplice perché è più probabile che sia essa l’origine dei dati.

Dove fermarsi?
Nel mio campo, la biologia dei sistemi complessi, che si occupa di elaborare dei modelli di sistemi biologici complessi, accade il contrario. La disciplina è nata nel 2000, quando è stata svelata la prima bozza della sequenza genomica umana. Inizialmente, la nuova epoca della medicina, basata sulla conoscenza del nostro genoma promessa da quella scoperta, ha fatto fatica a decollare. La colpa sarebbe stata del modo in cui i biologi trattavano i geni, gli uni isolati dagli altri invece che come componenti di sistemi complessi e dinamici. È arrivato in soccorso il mio campo di studi, offrendo modelli matematici complessi di geni multipli e delle loro innumerevoli interazioni. Poi però è sorto un problema: dove fermarsi? Quanti geni dovrebbero essere inclusi nei modelli? Dieci, cento, mille? L’intero genoma umano?

Il mio interesse nel rasoio di Occam si è risvegliato circa dieci anni fa, quando uno dei fondatori della biologia dei sistemi, il mio collega e amico Hans Westerhoff, ha presentato un seminario nel Surrey intitolato “Niente rasoio di Occam per la biologia dei sistemi”. Sosteneva che i modelli del funzionamento della vita dovevano essere il più possibile complessi per poter cogliere proprietà emergenti di alto livello dipendenti dalle interazioni tra i geni e i loro prodotti.

Non sono d’accordo. È certamente vero che nelle cellule viventi esistono vie e interazioni complesse. Tuttavia, in assenza di prove del fatto che la loro presenza sia necessaria a spiegare i dati che vediamo, dovremmo eliminarle dai nostri modelli se non vogliamo riempirli di rumore sperimentale. Con i colleghi Katharina Nöh e Axel Theorell del Jülich research center in Germania faccio parte di una squadra che sta sviluppando strumenti che, a colpi di rasoio, eliminano milioni di modelli di metabolismo candidati per trovare il più semplice tra quelli che funzionano.

La verità nella semplicità
Il mio dibattito con Westerhoff e gli altri continua, ma dopo essermi addentrato nella logica di Guglielmo mi sono convinto del fatto che il rasoio di Occam non è solo uno strumento della scienza, ma è la scienza. Sia che costruiamo ponti usando la meccanica newtoniana o che utilizziamo la nostra comprensione del codice genetico per creare vaccini contro il covid-19, la scienza è fondamentalmente una ricerca di modelli più semplici. Per trovarli e sviluppare da essi concetti e tecnologie, facciamo ricorso a ulteriori strumenti, come la sperimentazione, la matematica e la logica.

Nessuno di questi strumenti però è specifico del campo scientifico. I cuochi sperimentano nuove ricette, proprio come i musicisti che sperimentano le armonie, mentre matematica e logica sono essenziali per i contabili tanto quanto per i fisici. E non è l’uso degli strumenti a rendere qualcosa una scienza. Nonostante secoli di sperimentazione, l’alchimia non si è sviluppata in una scienza perché le sue “teorie” erano discariche di entità del tutto prive di necessità. Gli astrologi hanno sprecato secoli utilizzando la matematica per fare previsioni inutili.

Alcuni citano il criterio di “falsificabilità” di Karl Popper – cioè che le teorie scientifiche possono essere confutate – come l’elemento che distingue la scienza da, poniamo, la religione. Tuttavia, oltre a essere ugualmente applicabile a molte attività umane come la legge, il principio di falsificabilità non funziona. Confutare o dimostrare un’ipotesi è ugualmente impossibile. La cosa migliore che possiamo fare è confrontare le probabilità di ipotesi contrapposte. Ed è in questo genere di cose che la semplicità, incarnata dal rasoio di Occam, ha sempre fornito la via migliore per andare avanti.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico New Scientist.

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