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Una storica sentenza sulle sterilizzazioni forzate in Giappone

Il principe Akihito e la principessa Michiko in visita a una scuola dell’infanzia a Kumamoto, Giappone, 11 maggio 1962. (The Asahi Shimbun/Getty Images)

A 81 anni il signor Kita dice che non potrebbe essere più felice. Fuori dall’aula di tribunale dove il giudice Saburo Tokura ha appena emesso la sentenza storica che, se non gli cambierà la vita, almeno renderà un po’ più sereni gli anni che gli rimangono, l’uomo regge un cartello con scritto “vittoria”. La vasectomia che gli fu imposta quando aveva 14 anni e viveva in un orfanotrofio fu, alla luce della sua disabilità, un chiaro atto di discriminazione e una violazione della sua dignità. Sua e di altre 25mila persone come lui sottoposte a sterilizzazione dal governo giapponese nell’arco di 48 anni sulla base di una legge appena dichiarata incostituzionale.

La legge sulla protezione dell’eugenetica nacque nel secondo dopoguerra dall’idea che, dopo la grave sconfitta, fosse necessario “migliorare la qualità della nazione”. In senso letterale, “prevenendo la nascita di discendenti inferiori”, come recita il testo della legge, introdotta nel 1948 e abrogata solo nel 1996.

Alle sterilizzazioni forzate furono sottoposte all’inizio “persone con ritardo mentale ereditario” e poi fu allargata a chi aveva condizioni o patologie non ereditarie. Su 25mila interventi, 16.500 furono eseguiti senza il consenso dei pazienti, per il 70 per cento donne o ragazze. In altri ottomila casi il consenso fu firmato da altri, probabilmente sotto le pressioni delle autorità, e in almeno due casi furono operati bambini di nove anni. A decidere chi dovesse essere sottoposto a sterilizzazione erano gli psichiatri e in molti casi il personale degli istituti dov’erano ricoverate persone con disturbi mentali.

Questi dettagli sono contenuti in un rapporto presentato nel 2023 dal governo al parlamento, che quattro anni prima aveva approvato una legge sui risarcimenti alle vittime. Oltre alle scuse ufficiali, il governo offriva, a chi ne faceva richiesta entro l’aprile di quest’anno, l’equivalente di 18mila euro. Troppo tardi, troppo poco, secondo chi difende i diritti delle vittime, che hanno continuato la loro battaglia in tribunale contro la posizione del governo, secondo cui dopo vent’anni il fatto cadeva in prescrizione. Per gli esperti, poi, il rapporto ha dei grossi limiti perché non affronta il cuore della questione: come mai una legge simile è rimasta in vigore così a lungo? E come fare perché una cosa simile non accada più in futuro?

La gran parte degli interventi risale agli anni cinquanta, sessanta e settanta, dopodiché, anche grazie al cambiamento dei costumi e del sentire comune, si sono ridotti. La sentenza dei giorni scorsi è stata accolta quindi con grande sollievo perché, tra le altre cose, sancisce l’invalidità del limite di vent’anni e apre quindi la strada ai risarcimenti per tutti. Per i giudici la legge sull’eugenetica violava lo spirito dell’articolo 13 della costituzione giapponese, che sancisce il diritto alla dignità individuale e il rispetto della personalità, e l’articolo 14, che stabilisce l’uguaglianza dei cittadini.

Per molte vittime vivere senza poter avere figli ha significato non potersi sposare, dato che nei primi decenni in cui la legge era in vigore quello era lo scopo del matrimonio. Altri testimoni hanno parlato di vite vissute nell’umiliazione e nella vergogna.

Questo testo è tratto dalla newsletter In Asia.

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