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L’Europa può frenare la prossima ondata di pandemia?

Barcellona, Spagna, 19 luglio 2020. (Nacho Doce, Reuters/Contrasto)

“Rischiamo di vanificare tutti i risultati ottenuti”. L’allarme è stato lanciato il mese scorso dal virologo Christian Drosten sul settimanale tedesco Die Zeit, e pur essendo riferito alla Germania vale per tutta l’Europa. Dopo aver arginato il covid-19 in primavera, infatti, gran parte del vecchio continente sta registrando un aumento dei casi.

La Spagna conferma circa diecimila nuovi casi al giorno, più di quanti non fossero in primavera. Anche in Francia i nuovi positivi sono migliaia ogni giorno. In Germania i numeri sono ancora contenuti, ma in costante aumento. La pandemia sta colpendo anche paesi dove in primavera si registravano pochi casi, come Grecia e Malta, ed è tornata in forze in luoghi che hanno già sofferto moltissimo, tra cui le città di Madrid e Barcellona.

Drosten, medico dell’ospedale universitario della Charité di Berlino, è uno dei molti esperti ad aver chiesto di alzare nuovamente la guardia, e propone una strategia di controllo che sostituisca al blocco generale con misure pensate specificamente per i focolai di contagio, che ricoprono un ruolo di primo piano nella diffusione del covid-19. “Abbiamo respinto con successo la prima ondata. Ora dobbiamo fare in modo che non ne arrivi una seconda”, spiega l’epidemiologo Christian Althaus dell’università di Berna.

Il messaggio sbagliato
È opinione diffusa che l’Europa si sia dimostrata all’altezza della prima sfida contro il virus sars-cov-2. A Bergamo, in Lombardia, nel mese di marzo, i forni crematori erano talmente sovraccarichi che l’esercito ha dovuto inviare un convoglio per portare le salme in altre città. Eppure il 24 maggio, per la prima volta, la Lombardia non ha registrato alcun nuovo decesso da covid-19. All’inizio di luglio l’Unione europea e il Regno Unito registravano in media meno di cinquemila casi al giorno, mentre negli Stati Uniti e in Brasile (due paesi che complessivamente hanno circa la stessa popolazione) i nuovi positivi erano rispettivamente cinquantamila e quarantamila al giorno. Gli europei si sono goduti un’estate sorprendentemente normale, con i turisti del nord che hanno affollato le spiagge del Mediterraneo.

L’attuale aumento nel numero dei casi non è paragonabile al picco di aprile, perché oggi le autorità effettuano molti più test. Eppure il fenomeno dimostra che l’Europa ha allentato la presa troppo presto e in modo eccessivo, sostiene il virologo Ab Osterhaus dell’università di medicina veterinaria di Hannover. “È stato dato il messaggio sbagliato, ovvero che avevamo fatto un ottimo lavoro ed era arrivato il momento di rilassarsi”.

La disponibilità della popolazione a mantenere a rispettare le regole tende a svanire rapidamente

Devi Sridhar, esperta di salute globale dell’università di Edimburgo e collaboratrice del governo scozzese, è convinta che l’Europa avrebbe fatto meglio a seguire l’esempio della Nuova Zelanda, che ha fermato il contagio all’interno delle comunità e si è difesa con impegno dai possibili contagi dall’esterno. Fin dall’inizio la Scozia si è impegnata a portare il numero dei casi a zero, ma altri paesi non hanno fatto lo stesso. Ora quasi tutti registrano un aumento dei contagi.

La disponibilità della popolazione a mantenere alta l’attenzione e a rispettare le regole tende a svanire rapidamente, spiega Cornelia Betsch, psicologa dell’università di Erfurt che ha monitorato le inclinazioni dei tedeschi nei confronti della pandemia. “Tra l’altro l’emergenza va avanti ormai da tempo e non abbiamo idea di quando finirà”. Secondo Gianfranco Spiteri, esperto di salute pubblica del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, alcuni paesi hanno registrato un aumento dei contagi nell’ambiente lavorativo dopo il rientro dalle vacanze, mentre in altri l’incremento è stato causato soprattutto “dai giovani che fanno festa e dalle persone che hanno ripreso a condurre la loro vita di sempre”. Dato che molti nuovi contagiati sono giovani, i decessi sono relativamente poco numerosi, “ma è solo questione di tempo prima che siano colpiti gli anziani”, avverte Spiteri. La riapertura delle scuole in tutto il continente potrebbe peggiorare la situazione.

Regole in ordine sparso
Come già successo in primavera, ogni paese sta portando avanti una strategia diversa per contrastare l’epidemia. Questo, inevitabilmente, genera confusione. Il Belgio ha una delle politiche più restrittive sull’uso delle mascherine, ma attraversando il confine i belgi possono fare spese a Maastricht senza doverne indossare una. Anche all’interno dei singoli paesi le regole possono cambiare con velocità disarmante.

La Germania è passata dai 14 giorni di quarantena obbligatoria per le persone in arrivo dai paesi a rischio ai semplici test volontari in aeroporto e negli altri punti d’ingresso, senza nessuna quarantena per chi risultasse negativo. In un secondo momento i test sono diventati obbligatori, e infine è tornata la quarantena obbligatoria con test dopo cinque giorni. “Sarebbe fondamentale definire un’unica politica europea”, sottolinea Osterhaus. “Il problema è che nessuno sembra intenzionato a farlo”. L’Unione europea, infatti, non ha il potere di coordinare i provvedimenti sanitari.

Resta il fatto che stavolta i governi sono più preparati. A febbraio il virus si diffondeva silenziosamente, mentre oggi i test effettuati in massa permettono di rilevarne i movimenti (nella maggior parte dei paesi europei meno del 3 per cento dei test risulta positivo, segno di un’intensa attività di monitoraggio). Le mascherine che in primavera scarseggiavano e in alcuni casi non erano nemmeno raccomandate, oggi sono onnipresenti nella maggior parte dei paesi. Più di una decina di governi ha sviluppato applicazioni per effettuare il tracciamento dei contatti, mentre l’introduzione di nuove terapie permette di salvare un maggior numero di vite umane.

In Germania adesso i focolai sono più numerosi all’interno degli ambienti di lavoro

Nel frattempo l’aumento delle conoscenze sulla diffusione del virus sta consentendo l’introduzione di misure di controllo più specifiche. C’è meno enfasi sull’igiene delle mani da quando è apparso evidente che le superfici contaminate non hanno un ruolo primario nel contagio. In primavera alcuni paesi hanno vietato quasi tutte le attività all’aria aperta, compresa la corsa, mentre ora ci si concentra su quelle al chiuso. “Abbiamo imparato che in generale il campeggio è accettabile, così come l’apertura anche dei negozi non essenziali, purché tutti si coprano il viso. Anche i trasporti pubblici non sembrano così rischiosi”, spiega Sridhar.

Gli esperti sanitari insistono sempre di più sulla necessità di concentrarsi su focolai e sugli eventi superdiffusori. Secondo alcuni studi circa l’80 per cento dei contagi è provocato da un 10 per cento dei pazienti infetti, mentre molti contagiati non infettano nessuno. Drosten invita le persone che si occupano del tracciamento a focalizzarsi sulla ricerca della fonte di un contagio (e dei relativi contatti) piuttosto che sui contatti della persona dopo che è stata contagiata. Il paziente identificato potrebbe non contagiare più nessuno, ma è probabile che abbia contratto il covid-19 all’interno di un focolaio, spiega Drosten.

Adam Kucharski, esperto di modelli della London School of Hygiene & Tropical Medicine, è d’accordo con Drosten. “Guardare indietro nel tempo regala grandi vantaggi nell’identificare i contagi”, spiega. In un recente studio preliminare, Kucharski e i suoi colleghi hanno stimato che “il tracciamento a ritroso” può scongiurare il doppio dei contagi rispetto a quello in avanti. L’esperienza vissuta in Corea del Sud, dove nella prima fase l’epidemia è stata enormemente favorita dai focolai nelle chiese, conferma la validità di questa valutazione, come sottolinea la biostatistica dell’università della Florida Nathalie Dean.

Concentrare gli sforzi
Drosten propone inoltre una nuova strategia nel caso in cui le autorità sanitarie si trovassero nuovamente sopraffatte dall’epidemia: mettere in quarantena solo le persone che potrebbero aver partecipato a un evento superdiffusore con un contagiato accertato, ma andrebbe fatto immediatamente e poi, dopo cinque giorni, bisognerebbe fare un test. In questo modo, secondo Drosten, le persone che si occupano del tracciamento potrebbero concentrare i propri sforzi nel modo più utile, permettendo di contenere rapidamente gli eventi superdiffusori (la popolazione potrebbe contribuire stilando una lista quotidiana dei potenziali focolai in cui si è trovata).

Sforzarsi maggiormente di identificare i focolai potrebbe inoltre aiutare gli epidemiologi a capire dove e come emergono le concentrazioni di contagi, spiega Hitoshi Oshitani dell’università Tohoku. Le tendenze dei focolai, infatti, sembrano cambiate rispetto alla primavera. “Dall’inizio della pandemia abbiamo registrato un enorme cambiamento nella struttura sociale e nelle interazioni tra la popolazione”, conferma Kucharski. Le condizioni che in precedenza facilitavano la diffusione del virus “non sono necessariamente le stesse che creano un rischio in questo momento”. In Germania, per esempio, molti focolai iniziali sono esplosi nelle strutture di assistenza a lungo termine, mentre in questo momento i focolai sono più numerosi all’interno degli ambienti di lavoro.

Probabilmente l’introduzione di provvedimenti più mirati non basterà a evitare un ritorno del virus, spiega Althaus. “Arriveremo sicuramente al punto in cui saranno necessarie misure più vincolanti”. Tuttavia Althaus è convinto che sarà sufficiente applicare una versione più leggera del blocco, come quella adottata in Svezia, con le persone incoraggiate a lavorare da casa e il divieto di grandi assembramenti, ma con i negozi e i ristoranti aperti. Di recente le autorità scozzesi hanno chiuso i pub e i ristoranti di Aberdeen per più di due settimane dopo lo scoppio di un focolaio, chiedendo agli abitanti di non allontanarsi per più di otto chilometri dalla città e ai visitatori di stare lontani. Ma le scuole sono rimaste aperte.

Rispetto agli Stati Uniti, l’Europa ha un grande vantaggio in vista del suo primo inverno “pandemico”: le misure di controllo sono meno controverse che sull’altra sponda dell’Atlantico. Ad agosto sono state organizzate diverse manifestazioni di protesta contro l’uso delle mascherine e contro il distanziamento sociale, ma gli oppositori sono solo una piccola minoranza, spiega Betsch. In Germania il sostegno per le misure di controllo è leggermente calato dopo il picco primaverile, ma esiste ancora una solida maggioranza che le approva. Secondo Betsch l’aumento del numero dei casi “sta già rafforzando la fiducia nelle misure di controllo”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sulla rivista scientifica statunitense Science. Il titolo originale era: Can Europe tame the pandemic’s next wave?
Reprinted with permission from Aaas. This translation is not an official translation by Aaas staff, nor is it endorsed by Aaas as accurate. In crucial matters, please refer to the official English-language version originally published by Aaas.

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