L’8 gennaio 2020 il presidente del consiglio italiano Giuseppe Conte ha cercato di far incontrare i due rivali libici, Fayez al Sarraj, primo ministro del governo di accordo nazionale (Gna), e Khalifa Haftar, comandante delle Forze armate arabe libiche (Faal, il modo in cui Haftar chiama le sue forze sui mezzi d’informazione arabi). Il Gna è il governo riconosciuto dalla comunità internazionale, ma di fatto è sostenuto da Turchia e Qatar. Haftar gode dell’appoggio di Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Francia e Russia.
Al Sarraj si trovava a un vertice con alcuni rappresentanti dell’Unione europea a Bruxelles dopo il quale avrebbe dovuto fare una tappa a Roma, ma quando ha scoperto il presunto piano italiano ha modificato il suo itinerario ed è tornato direttamente a Tripoli. I sostenitori del Gna hanno lodato la decisione di Al Sarraj. Per un uomo come Haftar le apparenze sono tutto, e in questo caso non ha fatto una bella figura. Per minimizzare questa notizia umiliante, gli autori della propaganda di Haftar hanno creato una cortina di fumo e hanno cominciato a parlare di un arresto di Al Sarraj al suo arrivo a Tripoli. Queste dicerie si sono diffuse in un lampo e sono state condivise da diversi organi di stampa, compreso il Corriere della sera.
Forse è vero che alla fine sono i vincitori a scrivere la storia, ma al momento in Libia la storia la stanno raccontando mille voci diverse, ciascuna con il suo miscuglio di fatti e bugie, le narrazioni si contraddicono tra loro e le notizie false volano da una parte all’altra.
Messaggi universali
L’attacco sferrato da Haftar su Tripoli, cominciato il 4 aprile 2019, all’inizio era stato presentato come una vittoria rapidissima. Tuttavia le milizie occidentali si sono unite per difendere la capitale e sono riuscite, sotto la guida del Gna, a fermare le forze di Haftar alla periferia meridionale della capitale. Da allora gli scontri non si sono fermati. Gli sfollati sono più di 140mila e intorno alla capitale sotto assedio si è creata una striscia di territorio vuota, una sorta di terra di nessuno. Nelle ultime settimane questa striscia si è lentamente ampliata e le forze armate affiliate al Gna hanno costretto molte famiglie che erano rimaste nelle loro case ad andarsene per avere salva la vita. D’altro canto ormai non sono più sicuri nemmeno i quartieri a nord di Tripoli, colpiti da bombardamenti aerei più frequenti, più casuali e capillari.
I canali televisivi vicini al Gna mandano in onda senza interruzione la propaganda anti Haftar, compresi i video delle interviste dei suoi combattenti fatti prigionieri. Queste interviste lasciano l’amaro in bocca: non riesci né a mandarle giù né a sputarle. I prigionieri mescolano confessioni e rimpianti, ammettendo di essere stati ingannati. Tutto questo riporta alla mente ricordi del 2011, quando sulle tv di Gheddafi andavano in onda ventiquattr’ore su ventiquattro video di ribelli catturati e, contemporaneamente, sui canali dell’opposizione erano trasmessi video di soldati di Gheddafi imprigionati. La novità di oggi è che i carcerieri consentono ai detenuti di telefonare alle famiglie per avvertirle che sono stati catturati ma che stanno bene. A questi si aggiungono i video di mercenari sudanesi e ciadiani prigionieri e di mercenari ucraini e russi che combattono a fianco dei soldati delle Faal.
Notizie false e video manipolati rendono difficile capire dove comincia e dove finisce la verità
Oltre alle emittenti libiche vicine all’Enl, molti canali emiratini ed egiziani offrono una piattaforma alla propaganda filo Haftar mandando in onda immagini dei combattenti siriani schierati dalla Turchia a fianco del Gna. Per non parlare degli esperti, ciascuno con una diversa lettura della situazione e analisi totalmente divergenti le une dalle altre. Notizie false e video manipolati rendono difficile capire dove comincia e dove finisce la verità. I discorsi d’odio e incendiari da una parte e dall’altra hanno raggiunto nuove vette e ormai sui social network temi come la pulizia etnica sono diventati il pane quotidiano. A volte spuntano confessioni non solo tra i due opposti schieramenti della propaganda, ma anche all’interno dello stesso campo.
Come la notte del 5 gennaio 2020, quando un drone ha bombardato l’accademia militare Hadaba di Tripoli, una struttura dove i cadetti sono sottoposti a un addestramento formale dopo essersi diplomati alla scuola superiore. Quella sera i cadetti sono stati colpiti da un attacco aereo delle Faal durante la loro formazione serale. Ventotto sono morti sul colpo, altri due sono morti in seguito. I feriti sono stati decine. Un’ondata di indignazione ha attraversato Tripoli nelle ore successive: una folla è scesa in piazza a manifestare urlando slogan contro Haftar, il principe emiratino Mohammed bin Zayed e il presidente egiziano Al Sisi, mentre tante altre persone si sono precipitate a donare il sangue per i cadetti.
Il generale Khalid al Mahjoub, portavoce delle Faal, ha confermato l’attacco in diretta tv. Ha giustificato il massacro affermando di essere stato informato che l’accademia era vuota e che i cadetti erano in realtà miliziani. Sui social network un esercito di account collegati ad Haftar ha messo in dubbio i fatti, diffondendo voci che negavano si fosse trattato di un attacco aereo. Alcune si sono spinte fino ad affermare che i cadetti erano stati condannati a morte dal Gna. Quella notte un altro portavoce di Haftar, Ahmed al Mismari, durante una conferenza stampa ha fatto le sue condoglianze alle famiglie delle vittime, negando ogni collegamento con l’accaduto.
Il giorno dopo il Gna ha pubblicato un video girato dalle telecamere a circuito chiuso che confermava l’attacco aereo. I rottami dei missili erano coerenti con quelli dei droni cinesi usati dagli Emirati in Libia. L’ambasciata statunitense in Libia ha condannato il raid e ne ha attribuito la responsabilità alle forze di Haftar, mentre la missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia, Unsmil, si è astenuta dal menzionare Haftar e gli Emirati in tutte le dichiarazioni di condanna.
Come una cupa mietitrice nei cieli di Tripoli, la lunga serie di attacchi aerei quotidiani ha causato la morte di civili. Il 12 gennaio è entrato in vigore un cessate il fuoco tra le forze in guerra ma senza una risposta forte da parte della comunità internazionale la situazione non cambierà presto.
Su entrambi i fronti la propaganda usa tutti gli strumenti a disposizione per alimentare il fuoco, gettando sulla pira un numero crescente di giovani a fare da carburante. Da un lato il Gna invoca il jihad, la guerra santa contro gli infedeli mercenari russi, contro il vecchio-nuovo tiranno giunto con le sue armate tribali di beduini primitivi e contro i sostenitori di Gheddafi, tornati per vendicarsi. Dall’altro s’invoca la guerra santa contro l’imperatore ottomano (il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan), giunto per conquistare la Libia e riportare in vita la gloria perduta dei suoi antenati, garantendo centomila dinari libici (circa 64mila euro) alle famiglie dei combattenti che muoiono in questa guerra.
Un passato che non passa
Il 6 gennaio 2020 le televisioni filoHaftar hanno mandato in onda un singolare discorso di Abu Zaid Dorda, un importante simbolo del regime di Gheddafi che fino a oggi era rimasto in silenzio ed era stato dimenticato. Dorda fu governatore di Misurata negli anni settanta e successivamente ha ricoperto diversi incarichi importanti sotto Gheddafi. Poi seguì Gheddafi nella sua caduta: arrestato l’11 settembre 2011 ha trascorso otto anni in carcere, finché il Gna non lo ha liberato per le sue precarie condizioni di salute, con un decreto firmato dal ministro dell’interno di Tripoli Fathi Bashaga, in un gesto che avrebbe dovuto dimostrare l’importanza della riconciliazione nazionale tra i libici.
Dorda era utile a creare nuovi simboli ed è riuscito a diventare un elemento d’attrazione per molti: nostalgici lealisti gheddafiani e tanti giovani che contestano sia Al Sarraj sia Haftar, e non sanno cos’ha fatto Dorda in passato. Nel suo discorso Dorda ha chiesto alla gente di schierarsi con Haftar: “Non vi piace Haftar? Be’, non vi chiediamo di sposare sua figlia, ma ditemi in questo momento chi altri ha quello che serve per vincere la battaglia?”. Ha parlato molto di Gheddafi e di quanta fiducia avesse in lui, poi ha raccontato di nuovo la storia dell’ascesa di Haftar. Lo ha chiamato più volte “fratello”, lo stesso appellativo che usava per Gheddafi. Il suo è stato un racconto romantico pieno di simbolismi e atti di eroismo.
Ha definito la bandiera libica un umiliante straccio e ha dichiarato che dovrebbe essere eliminata, come nel 1969. Finché i libici non si metteranno d’accordo su una nuova bandiera, ha proseguito, tutti dovrebbero combattere sotto le insegne delle Faal o sventolare una bandiera bianca con l’immagine di Omar Mokhtar (l’eroe della resistenza libica al colonialismo italiano). Dorda ha criticato Al Sarraj per le sue origini turche, affermando che lui e i suoi simili originari da tribù turche dovrebbero essere sradicati dal paese. Ha concluso il suo discorso di due ore con queste parole: “Tutti quelli che non sostengono Haftar sono terroristi, agenti stranieri o gente attaccata al potere”.
Il giorno dopo una brigata salafita madkhalita che controllava la città di Sirte ha cambiato schieramento e si è unita ad Haftar. Combattendo al fianco dei lealisti gheddafiani nella città è riuscita a scacciare le forze del Gna. Dopo aver visto il video degli abitanti di Sirte che festeggiavano per le strade invocando Gheddafi, mi sono ritrovato a pensare a quanto debba essere stato difficile per i profeti convincere la gente a smetterla di adorare gli idoli. Ma forse dovrei chiedermi se ci sono riusciti davvero.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
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