La settimana scorsa una squadra di trenta medici è arrivata in Italia da Tripoli per aiutare nella lotta contro il nuovo coronavirus. Questo gesto è stato accolto da reazioni contrastanti, tra chi ha espresso apprezzamento e chi ha fatto notare che in caso di incendio sarebbe meglio badare alla propria casa in fiamme prima di aiutare il vicino. Anche l’Egitto ha inviato aiuti medici all’Italia, nonostante le critiche di chi nel paese si preoccupa della carenza di mascherine e di altre attrezzature sanitarie. Le cose si fanno ancora più interessanti quando si viene a sapere che l’Egitto ha mandato qualcosa di ben diverso in Libia, il vicino della porta accanto.

Fonti vicine al Governo di accordo nazionale (Gna) hanno dichiarato che una nave partita dall’Egitto è arrivata a Tobruk, città portuale nella Libia orientale, trasportando 40 container di armi e munizioni. Il carico era destinato alle forze di Khalifa Haftar. Poiché le forze affiliate al maresciallo hanno preso di mira l’ospedale di Al Khadra, a Tripoli, dove sono ricoverati più di 300 pazienti tra cui due malati di covid-19, mi capirete se dirò che nessuna donazione di mascherine, per quanto grande, potrà mai lavare le mani sporche di sangue di Haftar e dei suoi sostenitori.

Seguire i soldi delle armi
Nonostante le pessime infrastrutture e il grave debito interno, l’Egitto sta negoziando un accordo per la fornitura di armi del valore di 9,8 miliardi di dollari (circa 8,3 miliardi di euro) con l’Italia, soldi che avrebbe potuto e dovuto spendere, per esempio, per la sanità. Restando sull’argomento, trovo che troppo raramente si parli del fatto che gli stessi paesi che vendono armi per miliardi di dollari a regimi dittatoriali destinino contemporaneamente grandi parti del loro bilancio al respingimento dei migranti in fuga da guerre e povertà.

I dati da incubo sulle violazioni dei diritti umani in Egitto non sono l’unico segnale di allarme: il paese è anche uno dei principali fornitori di armi di Haftar. Armi e munizioni continuano ad arrivare via mare e via terra, destinate ad alimentare la guerra civile libica, nonostante le Nazioni Unite abbiano imposto un embargo sulle armi in Libia già dal 2011. Emirati Arabi Uniti ed Egitto sono in cima alla lista dei fornitori di armi di Haftar.

L’operazione Irini lanciata dall’Unione europea m’ispira davvero poco ottimismo

Il Gna può rivolgersi solo alla Turchia per ricevere aiuti militari, che li invia soprattutto via mare. Il 27 novembre 2019 il Gna e la Turchia hanno firmato un memorandum d’intesa sulla sicurezza e la cooperazione militare che fissa anche nuovi confini marittimi nel Mediterraneo.

Stando così le cose, l’annuncio dell’operazione Irini lanciata dall’Ue m’ispira davvero poco ottimismo. Irini, che ha il suo quartier generale in Italia, ha l’obiettivo di far rispettare l’embargo sulle armi in Libia, ma solo quello navale. Ogni iniziativa che abbia lo scopo di bloccare le ingerenze straniere in Libia è un passo nella giusta direzione, ma l’offensiva su Tripoli, sostenuta dagli alleati stranieri di Haftar, ha creato sul campo una mappa politica complessa e densa di conflitti, che porterà a un futuro segnato da ulteriori violenze.

Il ministro degli esteri del Gna, Mohamed Taher Siala, si è detto preoccupato e deluso perché l’iniziativa dell’Unione non prevede di controllare anche il passaggio di armi via terra e via aria. A suo avviso, questi limiti alimentano il sospetto che i divieti colpiscano unicamente il Gna, e che si voglia rinunciare a controllare i rifornimenti di armi ad Haftar. Un membro del consiglio presidenziale del Gna, Mohamed Ammari Zayed, ha messo in relazione l’approvazione, a fine marzo, dell’operazione Irini con le contemporanee conquiste militari sul terreno delle forze alleate al suo governo. A suo avviso si tratta di una risposta diretta ai contraccolpi subiti da Haftar. Mentre tonnellate di armi arrivano al maresciallo da Emirati Arabi Uniti e Giordania e attraverso l’Egitto, ha precisato Zayed, “non abbiamo visto nessun provvedimento da parte dell’Unione europea o della comunità internazionale per bloccare gli aerei in arrivo dagli Emirati Arabi Uniti”.

Interessi di parte
L’Unione europea non sta lavorando alla soluzione di cui la Libia ha bisogno, ma non si sta nemmeno schierando con Haftar. Sta semplicemente facendo i suoi interessi nel Mediterraneo, che per puro caso in questo momento coincidono con quelli di Haftar. L’operazione Irini segue di una settimana l’inizio di “Tempesta di pace”, un’iniziativa militare lanciata dalla Turchia e dalle forze del Gna il 26 marzo in reazione ai precedenti attacchi sulla capitale. Nonostante i combattimenti proseguano a sud di Tripoli, la neutralizzazione dei raid aerei con l’aiuto della Turchia ha ridotto in modo significativo la potenza aerea dispiegata da Haftar, consentendo al Gna di avanzare in nuovi territori. Su diversi fronti il Gna ha bombardato le linee di approvvigionamento di Haftar e località strategiche, come Al Wataya, la più grande base militare dell’ovest della Libia, la base aerea di Al Jufra nella Libia centrale e Sirte, 450 chilometri a est di Tripoli. Nei bombardamenti sono morti circa duecento combattenti di Haftar.

Il 13 aprile truppe affiliate al Gna hanno assunto il controllo di alcune città chiave a ovest di Tripoli, tra cui Sorman e Sabrata. Da allora si sono intensificati i bombardamenti indiscriminati su Tripoli. Il portavoce del Gna Muhammad Qanunu ha dichiarato che “le forze di Haftar stanno sfogando la loro rabbia lanciando decine di razzi”. Haftar sta inoltre soffocando lentamente la capitale, interrompendo le forniture di acqua potabile ed energia elettrica. Ha infatti bloccato gli oleodotti che trasportano il petrolio necessario ad alimentare i generatori di corrente e all’esportazione (che genera più del 90 per cento delle entrate del paese).

Tripoli, mia ninna nanna maledetta, quelli che ti visitano per una settimana scrivono libri su di te, ma chi ti vive da una vita intera fa ancora fatica ad abbozzare le parole per descriverti. Chi potrebbe cogliere i toni amari di un padre che urla davanti alla bara del figlio? Il giovane è morto insieme a sei amici a un posto di blocco nella città di Jadu, bombardata la notte prima dalle forze affiliate ad Haftar. Il padre urlava: “Per te, o Libia, per te, o Tripoli, per te, o capitale”.

Come scrisse Sadeq al Naihoum: “Sei solo ad aspettare il mattino e a tremare di terrore davanti all’ombra del tuo cappotto. Sei solo perché sei un libico. E leggi i quotidiani libici. E questo è doloroso”.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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