Il governo indiano usa la gestazione per altri come arma politica
Meena ha messo in affitto il suo utero per la seconda volta in tre anni. Questa donna di 35 anni originaria dello stato del Gujarat, nell’India occidentale, ha lasciato la scuola a dodici anni e ha svolto una serie di lavori umili, l’ultimo dei quali in una fabbrica di prodotti calcarei in cui, racconta, guadagnava tra le 50 e le 60 rupie (meno di un dollaro) al giorno.
Suo marito l’ha lasciata sola con due figli adolescenti. Nel 2017 si è proposta come madre surrogata all’Akanksha hospital & research institute, una clinica della fertilità ad Anand, una cittadina a due ore da Gandhinagar, la capitale dello stato.
La maternità surrogata, che frutta circa 400mila rupie (più o meno 5.300 dollari), è diventata una via di uscita dalla povertà estrema per molte donne nell’India rurale, sebbene non esistano dei dati affidabili sul numero effettivo di persone che si sono sottoposte alla procedura. Secondo le donne intervistate ad Anand, quella somma “enorme” può cambiarti la vita. “Sono diventata una madre surrogata per pagare l’istruzione dei miei figli e provvedere alle loro necessità”, racconta Meena. “Non lo rimpiango, lo sto facendo per i miei figli”.
Settore a rischio
Sebbene praticata da tempo in ambito informale, la gestazione per altri a pagamento è stata legalizzata in India nel 2002, una scelta che ha dato vita a un settore che, secondo le stime della Commissione giuridica indiana, nel 2009 valeva 250 miliardi di rupie (circa 280 milioni di euro). Questi sono gli ultimi dati disponibili sulle dimensioni del settore.
Ospedali come l’Akanksha, una clinica all’avanguardia di tre piani con una residenza per le madri surrogate nel seminterrato, funzionano grazie all’abbondanza di medici professionisti di cui dispone l’India, ai costi relativamente bassi e all’offerta di donne disposte a fare da madri surrogate. Dalla prima nascita grazie a questa pratica, risalente al 2004, in questa clinica sono nati circa 1.500 bambini.
Adesso questo settore potrebbe andare in crisi. Secondo i critici, il governo di stampo nazionalista indù guidato dal primo ministro Narendra Modi propugna in modo sempre più agguerrito il suo punto di vista conservatore sui “valori familiari” e ora ha preso di mira il settore della gestazione per altri. Nell’agosto 2019 la camera bassa del parlamento indiano ha approvato un provvedimento di legge, poi aggiornato nel febbraio 2020, che sta compiendo tutto l’iter legislativo nonostante il caos provocato dall’epidemia di coronavirus nei lavori parlamentari. Se dovesse essere approvato, l’unica forma di maternità surrogata ammessa in India resterebbe quella cosiddetta altruistica, mentre quella a pagamento sarebbe proibita.
La vicenda mette in luce divisioni complesse di classe e genere che si fanno sempre più profonde in India
Secondo i sostenitori nel Bharatiya janata party (Bjp), il partito di governo, la legge serve a proteggere le donne dagli abusi e dallo sfruttamento. Tuttavia, molte persone che operano nel settore e nelle organizzazioni in difesa dei diritti delle donne la ritengono una delle molte decisioni prese dal governo centrale per conto di donne indiane svantaggiate, le cui voci sono messe a tacere in un dibattito che ha al centro i loro diritti. Secondo questo punto di vista, la vicenda mette in luce divisioni complesse di classe e genere che si fanno sempre più profonde in un’India spaccata da una guerra culturale guidata dal nazionalismo conservatore indù del Bjp.
“Senza dubbio questo governo esprime una posizione conservatrice”, ha dichiarato l’analista politico Narayan Bareth. “Tutti i gruppi che sono oggetto di emarginazione nel paese, come le donne, i popoli indigeni, le minoranze religiose e i dalit o indù di bassa casta hanno la stessa opinione sul governo”.
Il Bjp, ha sottolineato Bareth, si fa guidare da organizzazioni estremiste come il Rashtriya swayamsevak sangh (Rss). “Molti gruppi indù nel paese hanno messo in discussione la libertà delle donne”, ha affermato Bareth. “Però quando si è al governo non si rappresenta un solo credo o un solo genere, si rappresenta l’intero paese”.
Turismo medico
Era stato il governo targato Bjp di Atal Bihari Vajpayee a legalizzare per primo la maternità surrogata commerciale quasi vent’anni fa, nel tentativo di espandere il settore del turismo medico in India. Le amministrazioni successive hanno cercato di promuovere il settore, pubblicizzando attivamente gli ospedali privati indiani come destinazioni a basso costo e di qualità per clienti internazionali e facilitando le procedure per ottenere un visto turistico per persone in cerca di trattamenti medici. Nel 2010, secondo i dati del ministero del turismo, il turismo medico valeva circa due miliardi di dollari e si prevedeva una crescita di dieci volte entro il 2020.
Quelle ambizioni non si sono avverate. Nel 2017, il ministro del turismo nel governo Modi, K.J. Alphons, aveva informato il parlamento del fatto che il valore del turismo medico indiano aveva toccato i tre miliardi di dollari nel 2015 e che le previsioni per il 2020 erano state corrette a nove miliardi di dollari.
Le tecniche di riproduzione assistita (le cure per la fertilità) in generale e la maternità surrogata in particolare erano considerate settori in cui il paese si sarebbe potuto ricavare una sua nicchia. La procedura che prevede il concepimento di un embrione attraverso la fertilizzazione in vitro e il successivo inserimento nell’utero di una madre surrogata, può costare fino a centomila dollari nelle cliniche statunitensi. Le cliniche indiane possono offrire lo stesso servizio per un terzo di questa cifra. Molti stranieri colgono questa opportunità. Secondo una ricerca di Lancet del 2012, fino a quell’anno erano 25mila i bambini nati ogni anno in India da madri surrogate, metà delle quali per conto di clienti occidentali.
Dopo la legalizzazione della maternità surrogata commerciale in India il settore è cresciuto, ma sono aumentate anche le controversie.
“Con la diffusione della pratica medica aumentano anche le accuse, come quella di trasformare un bambino in merce o di sfruttare le madri surrogate”, afferma Archana Jyoti, un’editorialista di New Delhi che si occupa di salute. La copertura giornalistica delle controversie che coinvolgono cittadini stranieri hanno ulteriormente infiammato il dibattito.
Il caso più noto si è verificato nel 2008, quando una coppia giapponese aveva avuto una bambina, Manji, grazie a una madre surrogata indiana. Prima che la bambina nascesse la coppia aveva divorziato e i due coniugi si sono a lungo contesi la custodia della piccola.
Sono stati compiuti molti sforzi per regolamentare questo settore e nel 2012 sono state introdotte maggiori restrizioni per la concessione del visto a stranieri che vogliono accedere al servizio della gestazione per altri. Nel 2015 il governo ha annunciato che non avrebbe più concesso visti per la maternità surrogata, mettendo di fatto fine al settore. “Alcune vicende, principalmente casi riguardanti persone straniere, hanno attirato molta attenzione di tipo sensazionalistico”, ha osservato Sneha Banerjee, ricercatrice presso il Center for women’s development studies.
Tuttavia il mercato interno ha continuato a prosperare. Le ragioni per le quali una coppia ricorre alla maternità surrogata sono tante, ma le pressioni esercitate dalla società sulle donne affinché abbiano dei figli sono molto forti, così come lo stigma contro l’adozione.
Controversie legali
La legge per riformare la maternità surrogata è stata presentata alla camera bassa del paese ma si è fermata con lo scioglimento del parlamento dopo le elezioni generali dell’aprile-maggio 2019. I tentativi di regolamentare il settore comunque risalgono al periodo immediatamente successivo alla sua legalizzazione.
Uno dei primi tentativi di irrigidire i controlli risale al 2012, quando il governo all’epoca presieduto dalla United progressive alliance aveva introdotto delle direttive secondo cui gli stranieri avrebbero dovuto richiedere un visto speciale per accedere al servizio di maternità surrogata in India e non avrebbero più potuto usare il visto turistico. Poi nel 2015, dopo più di un anno dell’arrivo al governo del Bjp di Modi, è stato annunciato che non sarebbero stati più rilasciati visti con questa finalità.
Secondo la legge originaria, solo una coppia sposata eterosessuale può fare richiesta di accesso al servizio di maternità surrogata
Dopo una prima approvazione alla camera bassa dominata dal Bjp nell’agosto 2019, l’ultima proposta di legge dovrebbe essere ripresentata in parlamento alla sua riapertura dopo la fase più rigida del lockdown imposto nel paese per contenere il covid-19. Il lockdown ha già danneggiato il settore della maternità surrogata, strozzando la domanda e obbligando le cliniche a concentrarsi solo sui servizi essenziali.
Se dovesse essere approvata, la proposta di legge vieterebbe qualsiasi forma di maternità surrogata a pagamento e imporrebbe delle limitazioni sui criteri di idoneità ancora più rigide delle modifiche più recenti. Secondo la proposta di legge originale, solo una coppia sposata eterosessuale può fare richiesta. La coppia deve inoltre essere senza figli, eccezione fatta per bambini affetti da gravi disabilità. La madre surrogata deve avere già un figlio suo e deve avere tra i 25 e i 35 anni.
Il governo ha cercato di presentare la proposta di legge come un modo per proteggere le donne dallo sfruttamento. “Oggi questa legge è necessaria”, ha dichiarato il ministro della salute Harsh Vardhan al momento di presentarla alla camera bassa lo scorso anno. “Il suo scopo è l’effettiva regolamentazione della maternità surrogata, proibisce la maternità surrogata a scopi commerciali e rende possibile quella altruistica. Questo impedirà lo sfruttamento delle madri surrogate e dei bambini nati grazie a questa procedura”.
R.S. Sharma, direttore del dipartimento per la biologia riproduttiva e la salute materno-infantile del consiglio per la ricerca medica dell’India, un organo del ministero della salute e della famiglia, ha dichiarato che la legge è necessaria “perché in India la madre surrogata è usata come incubatrice ed è vittima di sfruttamento”. Ha citato inchieste giornalistiche che riferiscono dello sfruttamento e della morte di madri surrogate e ha affermato la necessità di chiudere le cliniche non autorizzate.
Situazioni di vulnerabilità
Per esempio, nel 2019 a New Delhi è morta una madre surrogata di 42 anni, vedova alla diciassettesima settimana di gravidanza e incinta di due gemelli. Era stata inviata da un ospedale privato al prestigioso All India institute of medical sciences, un’istituzione governativa, per degli accertamenti riguardo a delle complicazioni legate alla sua gravidanza. Secondo quanto rivelato dalla rivista Rfp Indian Journal of Hospital Administration, “è emerso che era diventata una madre surrogata in cambio di un compenso economico e aveva nascosto i suoi trascorsi medici che comprendevano tubercolosi, idrocefalo e depressione”. Nell’articolo si leggeva inoltre che la donna “è stata costretta a nascondere le sue malattie o ha mentito di sua iniziativa sui suoi trascorsi clinici per poter guadagnare dei soldi”.
Anche alcune sostenitrici dei diritti delle donne hanno appoggiato la proposta di legge, affermando che se non altro ha avuto il merito di aprire un dibattito su quanto siano vulnerabili allo sfruttamento le donne con redditi bassi e poco istruite. “Speriamo che nasca un dibattito su questo argomento”, ha dichiarato Manasi Mishra, direttrice della ricerca presso il Center for social research, che ha spesso manifestato le sue preoccupazioni sul trattamento delle madri surrogate. “Il loro sfruttamento dovrebbe essere fermato perché hanno un potere negoziale minimo quando accettano di diventare madri surrogate”, ha affermato Mishra. “Nella maggior parte dei casi sono semianalfabete perciò non sanno se è presente o meno un vero e proprio contratto”.
Mishra non è a favore di un divieto totale ma invoca regole più rigide, tra cui l’istituzione di un registro nazionale delle madri surrogate.
Secondo gli oppositori della proposta di legge, se l’intenzione era quella di impedire lo sfruttamento ci si doveva concentrare sulla questione del consenso e sulla protezione di tutte le donne coinvolte nella pratica della maternità surrogata, non solo di quelle che lo fanno in cambio di un pagamento.
“Se ci sarà una forte domanda e nessuna offerta, la maternità surrogata finirà sul mercato nero”, dice la direttrice di una clinica
I critici avvertono inoltre che questa proposta di legge impone un’interpretazione rigida della famiglia, in linea con il conservatorismo religioso dell’attuale governo.
Ai loro occhi questo provvedimento va inquadrato nel contesto di una serie di posizioni assunte dal Bjp che, secondo le accuse, persegue con aggressività il suo programma di hindutva, il nazionalismo induista, da quando è al governo e ancora di più dopo la vittoria schiacciante riportata alle elezioni del 2019. Da allora il governo ha revocato lo statuto speciale della regione a maggioranza musulmana del Jammu e Kashmir e ha modificato le regole sulla cittadinanza presumibilmente per marginalizzare i musulmani, scatenando proteste diffuse in tutto il paese. Gli attacchi più espliciti alle minoranze sono stati accompagnati da quello che secondo i critici è uno strisciante conservatorismo di stampo reazionario a più livelli.
In questo contesto, secondo gli attivisti la decisione di mettere al bando la maternità surrogata a pagamento può essere interpretata come un’aggressione ai diritti e all’autonomia delle donne e ai diritti di qualsiasi gruppo si discosti dall’idea di famiglia professata dal Rss.
Il rischio della clandestinità
Com’era prevedibile, l’intero settore è contrario al divieto. Nayana Patel, che gestisce l’Akanksha hospital & research institute di Anand, concorda con la possibilità di introdurre delle regole ma afferma che un divieto assoluto è uno strumento troppo radicale che finirà per relegare la pratica della maternità surrogata a contesti di clandestinità o trasferirla all’estero.
“Se sarà proibita, il trattamento sarà effettuato in clandestinità o si spingeranno le madri surrogate ad andare all’estero per sottoporle alla procedura”, ha affermato Patel. “Quando il divieto imposto dal governo entrerà in vigore, non si potrà impedire alle madri surrogate di uscire dal paese o di praticarla da sole grazie all’intervento di persone non autorizzate. Se ci sarà una forte domanda e nessuna offerta la maternità surrogata opererà sul mercato nero e in clandestinità”.
In previsione della stretta, alcune agenzie si sono già trasferite all’estero. Gaurav Wankhede, fondatore e direttore dell’agenzie Become parents, con sede a Mumbai, ha trasferito già da quattro anni gran parte delle sue attività fuori dell’India. “Era solo una questione di tempo prima che il governo prendesse questa decisione”, ha dichiarato.
Wankhede, la cui agenzia è oggi attiva in Kenya, Russia, California (negli Stati Uniti) e Messico, è convinto che dopo l’entrata in vigore del divieto gli indiani andranno all’estero per ottenere i servizi di maternità surrogata. “Avere un figlio proprio è il sogno più grande di qualsiasi coppia”, dice. “Sono disposti a rimandare l’acquisto di una casa o di una automobile… Se questa pratica dovesse essere vietata nel loro paese, andranno ovunque pur di ottenerla. La soluzione non è proibire le cose”, ha aggiunto. “La soluzione è avere delle buone regole e applicarle con molta severità”.
Le donne che si sottopongono alla pratica della maternità surrogata affermano che per loro è un modo per uscire dalla povertà
Anche le madri surrogate intervistate, ossia le donne che in teoria dovrebbero essere protette da questo divieto, hanno messo in discussione la decisione di porre fine alla maternità surrogata a pagamento. Molte raccontano delle grandi difficoltà economiche prima di diventare madri surrogate e, anche se hanno dovuto sopportare lo stigma associato alla loro decisione, grazie ai soldi guadagnati hanno potuto assumere il controllo delle loro vite.
Geeta, 36 anni, alla sua seconda maternità surrogata, ha raccontato di essere stata pagata 700mila rupie (7.920 euro) per partorire due gemelle per una coppia tailandese prima dell’entrata in vigore del divieto per i clienti stranieri. Ha speso i soldi per riparare la sua casa e per pagare le cure mediche del marito. Stavolta pensa di spendere i soldi per l’istruzione dei suoi figli. Sumitra, 30 anni, ha usato il ricavato di una maternità surrogata nel 2016 per acquistare un autorisciò che oggi affitta per 200 rupie (2,2 euro) al giorno.
Le donne che si sottopongono alla pratica della maternità surrogata affermano che per loro è un modo per uscire dalla povertà. Una donna di 31 anni che ci ha chiesto di restare anonima è andata via di casa dicendo a familiari e amici di aver ottenuto un lavoro temporaneo. Solo suo marito è al corrente di quello che sta facendo. “Anche se lavorassi tutta la vita non sarei in grado di guadagnare così tanti soldi”, ha raccontato, nascondendosi il viso con una stola nella clinica di Patel ad Anand.
In un paese tra i peggiori al mondo in rapporto all’uguaglianza di genere, posizionato al 112° posto nel rapporto sulla disparità di genere del Forum economico mondiale del 2019, i fattori sociali ed economici che spingono una donna a scegliere di diventare una madre surrogata sono molto complessi. Tuttavia il divieto sulla pratica della maternità surrogata a pagamento è uno strumento molto radicale che secondo i critici è dettato più da posizioni politiche che da una vera comprensione delle scelte a disposizione delle donne nelle comunità a basso reddito in India.
Secondo Daru Arun Kumar, docente associata di sociologia alla Netaji Subhas university of technology, alcune delle condizioni della proposta di legge sono di stampo “patriarcale”.
“Sebbene il settore abbia bisogno di regole, dovrebbe essere la donna a decidere se vuole diventare una madre surrogata o no”, ha detto. “Se si vuole proibire la maternità surrogata a pagamento si dovrebbe prima fornire sostegno economico o un’occupazione a queste donne che sono semianalfabete, economicamente svantaggiate e nella maggior parte dei casi non supportate dai coniugi, tutte condizioni che le inducono a scegliere la maternità surrogata e, in un modo o nell’altro, a mettere a rischio la loro salute”.
“Non c’è motivo di elogiare la maternità surrogata”, afferma Sneha Banerjee. “Al tempo stesso, non c’è bisogno di vittimizzare le persone che compiono determinate scelte con le quali si può non essere d’accordo”. Tutto il dibattito è, a suo modo di vedere, sintomatico di un problema endemico, quello della stigmatizzazione e del ruolo marginale delle donne nella società indiana.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è uscito su Nikkei Asian Review.