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I privati hanno un ruolo sempre maggiore nella sanità pubblica

L’ospedale covid 3 dell’Istituto clinico Casalpalocco, Roma, 17 marzo 2020. (Antonio Masiello, Getty Images)

“La repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”, dice l’articolo 32 della costituzione italiana. Lo stato garantisce questo diritto attraverso il sistema sanitario nazionale (Ssn), che permette a tutti l’accesso alle cure – a prescindere dal proprio reddito – e fa sì che la salute sia un bene universalmente fruibile dai cittadini. Ma come funziona?

In Italia il Ssn esiste dal 1978, quando sotto l’allora governo Andreotti, su proposta della ministra della sanità Tina Anselmi, fu approvata la legge 833. Il provvedimento sopprimeva il sistema mutualistico in vigore [fino a quel momento](https://it.wikipedia.org/wiki/Servizio_sanitario_nazionale_(Italia) (che si basava su “casse mutue” legate alle diverse categorie di lavoratori) e istituiva il Ssn, basato su universalità, uguaglianza ed equità. In base a questi princìpi le prestazioni sanitarie furono estese a tutta la popolazione. I servizi del Ssn sono erogati dalle aziende sanitarie locali (Asl), dalle aziende ospedaliere, ma anche dalle strutture private convenzionate. E tutti lavorano con lo scopo di garantire i livelli essenziali di assistenza (Lea).

In base alla riforma del titolo V della costituzione la tutela della salute è di “competenza concorrente” tra stato e regioni: lo stato, attraverso il piano sanitario nazionale, stabilisce i Lea; le regioni, in piena autonomia, programmano e gestiscono la sanità sul territorio, mentre le Asl forniscono i servizi.

I privati accreditati
In Italia le prestazioni garantite dal sistema sanitario nazionale possono essere fornite sia dalle strutture pubbliche sia da quelle private, purché accreditate. Per esserlo, i privati – che stipulano accordi con le regioni e le Asl competenti – devono garantire degli standard di sicurezza e di qualità.

Secondo l’Associazione italiana ospedalità privata, sulle 520 strutture sanitarie private da loro rappresentate, il 93 per cento (490) è accreditato con il servizio sanitario nazionale, per un totale di 52mila posti letto. In questi istituti sono ricoverate un milione di persone ogni anno.

I costi delle strutture e dei professionisti accreditati sono addebitati al Ssn e il cittadino che vi si rivolge non sostiene spese aggiuntive rispetto a quelle che pagherebbe se si rivolgesse al pubblico. Pagherà solo il ticket.

A disciplinare l’autorizzazione e la vigilanza sui privati nella sanità sono le leggi regionali. Il che può creare differenze anche enormi tra un territorio e un altro. Secondo il report Osservatorio sulla sanità privata dell’università Bocconi, “in seguito alle riforme del Ssn, iniziate negli anni novanta, le aziende sanitarie private hanno visto una significativa modificazione del proprio ruolo che, da integrativo rispetto agli erogatori pubblici e regolato da convenzioni, è diventato più concorrenziale e governato dai sistemi regionali di accreditamento e di finanziamento. A seguito del processo di regionalizzazione, peraltro, il ruolo attuale e prospettico del privato accreditato risulta significativamente differente da regione a regione”.

I numeri
In Italia, il servizio sanitario nazionale può contare su circa 191mila posti letto per le degenze ordinarie. Il 23,3 per cento è nelle strutture private accreditate. Nel 2017 hanno prestato l’assistenza ospedaliera mille istituti di cura, il 51,8 per cento pubblici e il 48,2 per cento privati accreditati.

Come fa notare il sindacato dirigenti medici (Anaao-Assomed) in uno studio pubblicato il 4 febbraio 2020, negli ultimi anni c’è stato un progressivo calo del numero degli istituti di cura e del numero di posti letto.

Sono cambiate inoltre le percentuali tra le due realtà: nel 2010 gli istituti pubblici rappresentavano il 54 per cento del totale, nel 2017 sono scesi al 51,8; nel 2010 i privati accreditati erano il 46 per cento, mentre nel 2017 sono saliti al 48,2 per cento.

Il primo cliente
Ma qual è il peso della sanità privata nella spesa complessiva del servizio sanitario nazionale? Nel 2018 la media è stata di “392 euro per abitante, pari al 20,3 per cento della spesa complessiva del Ssn, in aumento rispetto al 2017 (362 euro, 18,8 per cento)”.

Il Ssn fornisce il 63 per cento dei servizi richiesti dai pazienti (69,8 miliardi di euro), mentre acquista dal settore privato il restante 37 per cento (41,5 miliardi di euro), secondo la ricerca Pubblico e privato nella sanità italiana condotta dall’università degli studi di Milano.

Lo stato è il primo cliente per la sanità privata: il Ssn acquista infatti il 60 per cento delle sue prestazioni, per un valore di 41 miliardi di euro.

Disparità
Secondo il rapporto Censis sulla sanità pubblica e privata tutto questo crea disservizi e disuguaglianze. In media bisogna aspettare più di 60 giorni per poter accedere alle strutture del Ssn, mentre si ricorre spesso a visite specialistiche e ad analisi in strutture private perché non si trova posto nel pubblico, o non lo si trova nei tempi che servono, spendendo circa 580 euro ogni anno. Il Censis individua il motivo dell’avanzata della sanità privata nel “federalismo sanitario che ha favorito disuguaglianze territoriali sempre più marcate” .

“Nelle regioni del nordest la spesa sanitaria privata assolve prevalentemente a una funzione integrativa del Servizio sanitario nazionale. Nelle regioni del centro sud invece la spesa sanitaria privata risponde a due bisogni fondamentali: la riduzione delle liste di attesa per i ricoveri e la gestione delle lungodegenze in assenza di una adeguata assistenza territoriale”.

Nel 2019 l’Italia ha destinato alla spesa sanitaria l’8,7 per cento del suo prodotto interno lordo (pil), secondo i dati Ocse. Per fare un confronto, la Francia e la Germania impiegano più dell’11 per cento del loro pil.

La gran parte dei servizi sanitari è coperta dai Lea, ma le spese non rimborsabili dal Sistema sanitario nazionale e sostenute dalle famiglie risultano comunque alte (il 24 per cento). Il sistema sanitario italiano è finanziato principalmente dalle tasse, e poi dalle imposte regionali sul reddito delle imprese e delle persone fisiche, e infine dalla partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie direttamente a carico del paziente.

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