Le voragini delle grandi opere
I cittadini del modenese che il 18 aprile si sono dati appuntamento per una cena nella sala della parrocchia di San Giovanni Evangelista, a Modena, hanno un obiettivo: fermare la costruzione della bretella autostradale tra Campogalliano (un casello sulla A22 Modena-Brennero) e Sassuolo. Raccolgono fondi per un ricorso al consiglio di stato, ultimo baluardo di giustizia amministrativa prima dell’avvio dei cantieri per un’opera “rimasta sulla carta per 30 anni, che oggi rischia di diventare realtà”, spiegano. Una realtà fatta di quattro corsie per 15,5 chilometri, asfalto che correrà lungo il fiume Secchia, con due attraversamenti del corso d’acqua, undici viadotti, quattro gallerie, otto svincoli, dieci cavalcavia, 23 sottopassi.
I cittadini attivi – quelli di Legambiente Modena, o di Italia Nostra, per esempio – sanno che le istituzioni non sono con loro: l’ex assessore regionale alle infrastrutture, Alfredo Peri, e l’ex presidente della provincia di Modena ed ex sindaco di Sassuolo, Graziano Pattuzzi, sono indagati nell’ambito dell’inchiesta Sistema sulle grandi opere, quella che un mese fa ha portato alle dimissioni del ministro delle infrastrutture Maurizio Lupi e all’arresto di un alto dirigente dello stesso ministero.
Leggendo le carte del Sistema, la documentazione raccolta dai pubblici ministeri, emerge la capacità dei soggetti coinvolti e indagati di influenzare non solo l’iter di autorizzazione di singole opere ma anche l’attività legislativa, attraverso interventi diretti tanto nella legge di stabilità (per concedere finanziamenti, per esempio) quanto in provvedimenti complessi, come il decreto sblocca Italia, approvato alla fine dell’agosto 2014 dal governo Renzi con l’obiettivo di “far ripartire le grandi opere in Italia”.
Alla luce di queste considerazioni, appare oggi importante la scelta del nuovo ministro delle infrastrutture, Graziano Delrio, che nell’ambito del documento di economia e finanzia ha scelto di cancellare dall’elenco delle opere strategiche molte nuove autostrade in via di autorizzazione (sono oltre una trentina, in tutto, tra quelle in progettazione e in costruzione, secondo un censimento realizzato tre anni fa).
Tuttavia, è impellente che il governo – per rendere “strutturale” questo indirizzo – intervenga profondamente sull’apparato legislativo creato per “sostenere” la filosofia delle grandi opere: dev’essere cancellata la legge obiettivo del 2001, quella che rende più fluido l’iter autorizzativo, in particolare disponendo la valutazione d’impatto ambientale (Via) solo per il progetto preliminare, e non per quello definitivo; dev’essere cancellata – come ha già chiesto Tomaso Montanari – la legge sblocca Italia, che dal novembre 2014 ha introdotto meccanismi perversi come quello che limita la capacità d’intervento delle amministrazioni periferiche sull’iter di approvazione delle opere strategiche, un paradosso che Salvatore Settis nel libro Rottama Italia ha descritto come “dissenso-assenso”; dev’essere, infine, bloccato l’avvio di ogni cantiere in regime di finanza di progetto, a meno che i promotori non abbiano raccolto il capitale necessario presso istituti di credito.
Quest’ultimo intervento avrebbe, per esempio, bloccato i cantieri della BreBeMi (la direttissima Brescia-Milano), visto che l’opera non è stata finanziata dal privato ma da Cassa depositi e prestiti (per l’80 per cento di proprietà del ministero del tesoro) e dalla Banca europea d’investimenti, di proprietà dei 28 Paesi dell’Unione europea.
Proprio il “caso BreBeMi” aiuta a capire il ruolo che i mezzi d’informazione potrebbero giocare nel modificare l’universo culturale degli italiani. Il fatto che le banche private non finanziassero l’opera, avrebbe dovuto portare a facili conclusioni: l’opera non è “bancabile” perché il mercato non crede che possa avere successo. Oggi sono i dati del traffico a confermare questa lettura. Ma la BreBeMi è lì, ed è difficile rimuoverla.
Nelle ultime settimane è emerso uno scandalo legato ai viadotti Anas che crollano perché mancherebbero di una adeguata manutenzione, cosa che avrebbe comportato “avvisi di garanzia” ai dirigenti siciliani della società, mentre una galleria lungo la nuova statale Quadrilatero Umbria-Marche sarebbe poco sicura. Quest’opera – inserita nella legge obiettivo – sta sventrando l’Italia di mezzo, le colline tra le Marche e l’Umbria. La necessaria verifica sulla qualità dei manufatti, però non può prescindere da una domanda: serviva davvero? La risposta è “probabilmente no”, e sono i dati economici a confermarlo. Il modello di finanziamento scelto per l’opera, quello della “cattura di valore”, si è dimostrato un fallimento: nessuno ha voluto investire lungo le nuove statali in costruzione parallelamente alle due direttrici, intervenendo in quelle che erano state pomposamente definire “aree leader”, e che sarebbero state urbanizzate in deroga a ogni piano urbanistico vigente. Eppure, quest’opera che alla fine costerà più di due miliardi di euro, avrebbe dovuto portare “sviluppo”. Sviluppo per chi?